La meccanica? Si evolverà in meccatronica, se vuole rimanere sul mercato! Parla Diego Andreis

di Laura Magna ♦︎ Il numero uno di Fluid-o-Tech ha lasciato la guida del Gruppo Meccatronici di Assolombarda a Laura Rocchitelli di Rold. In questa intervista fa il punto dei suoi sei anni da presidente, parlandoci delle prospettive della manifattura italiana tra nuovi modelli di business e pnrr.

Diego Andreis, managing director di Fluid-o-Tech

Cambio al vertice del Gruppo Meccatronici di Assolombarda. Diego Andreis, managing Director Fluid-o-Tech lascia, dopo sei anni, a Laura Rocchitelli, presidente e ceo di Rold, che raccoglie un’eredità forte e intende mantenersi in continuità. Anche perché sposa da sempre la sua linea e lei stessa, nella sua azienda (specializzata in componenti per elettrodomestici) è stata fra i pionieri della trasformazione della meccanica in meccatronica, sensorizzando e interconnettendo i suoi prodotti, e realizzando (in collaborazione con Samsung) un’infrastruttura avanzata di connessione (Rold Smart Fab) da proporre anche sul mercato esterno. Le vicende del Gruppo Meccatronici di Assolombarda –  a proposito delle quali Andreis nell’intervista che segue farà un bilancio – interessano a Industria Italiana per due motivi. Il primo è l’estrema rilevanza del gruppo; il secondo è il loro significato nel più ampio contesto della manifattura italiana e globale: la aver detto che la metalmeccanica non ha altra scelta che trasformarsi in meccatronica, e l’averlo fatto per primi, è una sorta di passo del Rubicone.

Per quanto riguarda la rilevanza, il Gruppo è il più numeroso di Assolombarda: più di 1.750 aziende associate, che danno lavoro a quasi 100.000 dipendenti nelle province di Milano, Monza, Lodi e Pavia. Tra gli iscritti ci sono quasi tutte le grandi multinazionali delle tecnologie abilitanti ed elettroniche in Italia, da Bosch ad Abb, da Siemens a Ibm a StMicroelectronics. Ma anche società di consulenza come Acceture e nomi di primordine della meccanica come General Electric, Candy Haier, Whirlpool. Numerosi i nomi delle piccole e medie. Basta leggere chi fa parte del consiglio e si trovano per esempio Project Automation, Rta, Hydroservice, Abete, Brambati, Brugola, Cerliani, Cifarelli, Disa, Dell’Orto, Mgf, Atom, Giovanardi, Fontana Luigi spa, Meccanica Vimercati, Elettrotec, Rollwash. Come di diceva, il Gruppo di Assolombarda, nella sua impostazione attuale, ha assunto una fisionomia molto peculiare, che prende le mosse dalla sua nuova denominazione, da meccanici a meccatronici. «Un nome che è molto più di un’etichetta, ma è l’espressione di un nuovo paradigma, in cui meccanica, elettronica e digitale convergono e si fondono sia nei processi delle nostre fabbriche, sia nei prodotti e non solo, abilitando nuovi modelli di business. Tecnologia tanta, ma non solo. Meccatronica vuol dire anche centralità della persona, migliore organizzazione, maggior sicurezza, maggiore qualità dei luoghi di lavoro, maggior valore», dice Andreis. Con lui abbiamo voluto fare un bilancio di questi sei anni, parlare di quello che è stato fatto e di cosa c’è ancora da fare. Nel settore della meccatronica che continua a mutare vorticosamente, anche in relazione al contesto. E in generale nel Paese, la cui economia combatte per resistere alle batoste della pandemia recrudescente e ha bisogno, oggi, più che mai di una direzione chiara. Nei prossimi giorni, pubblicheremo anche un’approfondita conversazione con Laura Rocchitelli







 

D. Ingegner Andreis, qual è il bilancio del percorso compiuto alla guida del gruppo meccatronici? Quali punti del programma che si era prefisso all’inizio sono stati raggiunti? E su quali c’è invece ancora da lavorare?

Il presidente e ceo di Rold Laura Rocchitelli, ora alla guida del Gruppo Meccatronici di Assolombarda

R. In questi sei anni è cambiato il mondo. Il Gruppo stesso ha mutato pelle. Quando sono entrato, nel 2014, era focalizzato principalmente sul Contratto dei metalmeccanici, contratto che era essenzialmente focalizzato sui temi salariali. Io sono arrivato fortemente convinto della centralità dell’industria come vero motore dell’Italia e poiché l’industria stava subendo una grande trasformazione, questo richiedeva un ampliamento delle priorità e delle modalità di lavoro. Tutto questo, ovviamente, senza far venir meno in alcun modo la rilevanza dei temi contrattuali e delle relazioni industriali. Siamo dunque partiti con un approccio strategico, per cogliere questa trasformazione in atto ed esserne promotori. Quanto al futuro, penso che sia importante continuare su questa strada, promuovendo un ruolo centrale di un’industria in grande trasformazione con un’immagine rinnovata, per farne la prima scelta per i nostri giovani.

 

D. Uno dei punti caratterizzanti il suo progetto è l’evoluzione della meccanica in meccatronica, un fenomeno globale inarrestabile. Secondo Lei, a livello italiano e lombardo, a che punto siamo con questo processo di cambiamento?

R. Il processo è inarrestabile, ma l’accelerazione che ha avuto in questi ultimi mesi è spaventosa. Questa crisi è un doppio salto mortale. Perché da un lato amplifica l’utilizzo delle tecnologie digitali e dall’altro costringe a compiere riflessioni importanti intorno a modelli di business consolidati. Tengo sempre a mente quello che mi disse un professore negli Usa durante un corso che come sempre veniva costruito attorno ad un case study. Ovvero che bisogna farsi sempre due domande: cosa potrebbe far scomparire la nostra impresa domani e cosa potrebbe farci fare un salto in avanti di un ordine di grandezza. Dieci anni fa la rapidità con cui evolveva la tecnologia era lineare, oggi è esponenziale e questo vale, in entrambi i sensi per le crescite così’ come le uscite delle imprese dal mercato. Tutto viaggia con un ritmo 10x. Le categorie del passato, gli incrementi progressivi, il + o – 10%, non funzionano più. Oggi siamo 0X e 10X.

 

D. Da qui il cambio di nome…

R. Il cambio di nome che abbiamo portato  al Gruppo, quello di Meccatronici, doveva fotografare la mutazione genetica della nostra meccanica: ne ho parlato per la prima volta nel discorso per il cambio del nome del Gruppo all’Assemblea generale di Assolombarda nel giugno 2016, un discorso attualissimo in cui raccontavo una situazione che però purtroppo, in Italia, è ancora in gran parte quella di oggi. Ovvero un mondo che viaggia a due velocità, con un gruppo di imprese che guida, cresce e innova e altre, ancora tante, che restano indietro.

 

D. In questo mondo a due velocità, come si sono evolute le aziende meccaniche lombarde? 

Gualtiero Mago, Group Vice President Italy Human Resources presso ST Microelectronics, vicepresidente e membro del Consiglio Generale del Gruppo Meccatronici

R. La sensazione è che la rivoluzione che stiamo vivendo sia difficile e complessa. Tante aziende raccontano di una grande trasformazione ma in realtà sono ben lontane dall’averla ancora davvero compresa e scaricata a terra. La rivoluzione digitale non è marketing, ma è la capacità di trasformare la tecnologia in processi e prodotti innovativi e trasformare, a volte in modo significativo, il proprio business. E perché ciò avvenga ci vuole consapevolezza, quella che abbiamo lavorato per creare con un lavoro di comunicazione e coinvolgimento costante. Lamentiamo che non abbiamo giovani nella meccatronica, parliamo tanto di upskilling e reskilling quando spesso il problema nasce proprio dall’alto dove sono gli stessi imprenditori e manager che devono prendere coscienza di questa nuova trasformazione e guidarla, coinvolgendo tutti.

 

D. L’attività produttiva metalmeccanica aveva segnato numeri in negativo fin dal 2019, con settori come quelli connessi all’automotive, in brusco calo. Il Covid è arrivato in un momento di profonda debolezza del settore, non solo in Italia. Quali sono a suo avviso oggi i passi da compiere per invertire la rotta?

R. Nel 2019 la meccanica ha vissuto una forte debolezza. Perché da un lato la meccanica strumentale aveva vissuto un boom grazie al piano Calenda, un miraggio di politica industriale italiano, per poi ritracciare pesantemente. E allo stesso tempo l’automotive ha subito un forte rallentamento verso la fine 2019 per l’incertezza causata dalla transizione verso nuovi paradigmi della mobilità. Il 2020 è stato un doppio schiaffo, che ha generato una battuta di arresto ulteriore, perché l’acquisto di auto come di ogni bene durevole diventa fanalino di coda nell’agenda delle famiglie. Da osservare altresì come il mercato in questo secondo semestre sembri ripartito, ma siamo cauti perché oggi siamo sull’orlo di una nuova paralisi. Come Fluid-o-Tech, che opera nella progettazione e produzione di pompe volumetriche e sistemi per muovere, dosare e gestire fluidi con grande per il settore foodservice, automotive, medicale ed industriale con oltre 300 persone impiegate nel mondo ed un insediamento produttivo all’avanguardia alle porte di Milano, non abbiamo arrestato sugli investimenti, anzi. Abbiamo assunto personale e continuato ed addirittura accelerato gli investimento sia su ricerca e sviluppo che sui processi in questi primi 10 mesi, nella convinzione che quando ci sono le crisi, potendo, bisogna accelerare, cercando di non farsi intrappolare dello short-termism dei mercati, ma continuare a guardare al lungo termine. Chi investe nei periodi di crisi e lo fa bene, aumenta le probabilità  di uscirne rafforzato.

 

D. Con la seconda ondata della pandemia, lo spettro di un lockdown è diventato attuale. Cosa significherebbe per l’industria meccanica una simile eventualità? E quali sarebbero a suo avviso le misure necessarie da attuare per evitare un tracollo mortale? 

Fabrizio Felippone, ceo Project Automation, vicepresidente e membro del Consiglio Generale del Gruppo Meccatronici

R. La crisi oggi obbliga le imprese a mettersi a nudo: ci sono imprese che nelle crisi tagliano i costi e quelle che nelle crisi vedono le opportunità. In questo preciso momento, nonostante non penso si possa arrivare ad un lockdown dell’industria, oggi tra i luoghi più sicuri, è evidente che anche i lockdown parziali hanno e continuano ad avere un peso sulla domanda, perché impattano sulla fiducia nel futuro da parte delle persone e quindi incertezza. Quando c’è incertezza la gente non consuma e tantomeno investe, l’economia si inviluppa in un vortice e si cola a picco. Il nostro settore è dunque in grande difficoltà, una difficoltà legata al calo della domanda. La domanda tornerà, ma potrebbe virare altrove se le nostre aziende non sapranno avere la capacità di fare un salto culturale e tecnologico. Perché se continueranno a fare quello che facevano prima come lo facevano prima, la forbice tra aziende che sperimentano e innovano e quelle che non lo fanno, si amplierà in maniera sempre più importante. Sul fronte della politica, serve ovviamente intensità dei fondi che vengono messi a disposizione, ma anche un chiaro messaggio di visione industriale e di scelta di tornare a scommettere sull’industria. Prima ho detto del miraggio della politica industriale con Calenda, un miraggio perché durato troppo poco, serve una politica di lungo termine, ma questa è un’affermazione banale, perché le aziende non possono fare una programmazione corretta se hanno visibilità solo sull’anno, ma necessitano di almeno un triennio, oltre che una visione 2030 di fondo. Il tema è però anche un altro: dopo Calenda, le risorse a disposizione delle aziende non sono sparite, ma quello che invece è scomparso è stata la comunicazione, l’industria è scomparsa dall’agenda del governo e con essa gli investimenti indotti.

 

D. Parliamo di innovazione e di competenze….

Alberto A. Abete. L’azienda produce pezzi aeronautici e lavora direttamente per realtà del calibro di Boeing, Avio Aero, Rolls Royce, Pratt & Whitney e Leonardo, per gli aerei civili e militari. Il suo presidente Giovanni Abete è consigliere del Gruppo Meccatronici

L’Italia è strutturalmente indietro sui temi dell’innovazione (in cui investe poco sia in termini di risorse pubbliche che da parte dei privati, da venti anni almeno). Non è un caso che siamo quartultimi nell’indice Desi che misura la digitalizzazione dell’Ue e ultimi sulle competenze. E questa mancanza di competenze è anche ciò che frena uno sviluppo ulteriore delle nostre aziende meccaniche, anche eccellenti. È il limite su cui fare un grande lavoro. Ma c’è anche un altro tema, quello della scala. Gli italiani hanno grandi capacità di innovazione e combinazione di idee e grande passione imprenditoriale. Però non basta: è necessaria un ecosistema a supporto ed una cabina di regia per selezionare le migliori iniziative, che possono essere migliaia ed embrionali, e farle crescere. E questo vale per tutto, gli investimenti, le nuove tecnologie, il modo di fare impresa. Non tutto deve essere grande, ma se tutto resta piccolo, da piccoli si fa una fatica enorme a competere nell’arena internazionale. Le sfide che abbiamo davanti non possono essere giocate se non crescendo e diventando rilevanti.

 

D. Questi temi non sembrano essere in cima all’agenda di governo: secondo lei potrebbe essere il Recovery Fund lo strumento che consente di tornare a parlare di innovazione, R&S, formazione sulle tecnologie abilitanti nel nostro Paese?

Con i soldi del Recovery fund abbiamo un’occasione straordinaria. Possiamo davvero cambiare l’Italia e recuperare tanto di quanto non fatto, anche usando bene solo la metà dei 209 miliardi che ci sono destinati. Però l’Italia non è nuova a perdere opportunità come queste. Ha concluso con un pochissimo di fatto quanto messo a disposizione da Draghi con il suo leggendario whatever it takes. Avendo la possibilità di prendere denaro sì in prestito ma di fatto senza interessi e l’ha persa. Oggi la posta in gioco è ancora maggiore e non dobbiamo, davvero non possiamo farcela sfuggire. Anche se ne spendiamo solo una parte sull’industria, i ritorni possono essere enormi. Gli investimenti sull’industria sono da sempre amplificatori di crescita, ricchezza e consumi. Quanto alle cose da fare, la pandemia ha solo reso investimenti e riforme più urgenti, ma non ha modificato le priorità, già note. Il tema delle persone è tra i più importanti. Porterei avanti un grandissimo piano sulle competenze. Se da una parte l’Ue non ha competenza sulle scelte nel campo dell’education delle nazioni, dall’altra mette a disposizione molti fondi, strumenti e piattaforme che ogni Paese decide se e come usare. Bisogna arrivare preparati al momento in cui i fondi saranno erogati con un piano strutturato sulla scuola, sui giovani che si fondi su una strettissima collaborazione tra scuola e mondo del lavoro. Ci vuole osmosi tra Its, che stanno funzionando bene al di là dei piccoli numeri, Itis, università e sistema scolastico complessivo e imprese. La relazione tra accademia e impresa non deve essere solo un rapporto cliente fornitore. O meglio, deve mutare come è mutato il rapporto clienti fornitori: non esiste più un’offerta fissa in base a cui il cliente sceglie guardando parametri di prezzo o di qualità, ma le due parti della relazione lavorano insieme, progettano insieme la soluzione, in co-design. E lo stesso va fatto con le scuole, progettando e formando insieme le competenze. Il secondo tema è la R&S, che è ancora vede al centro le persone. Servono ecosistemi abilitanti con champion di filiera. Cluster, centri di ricerca, università, centri di competenza, Dih e ovviamente imprese devono poter lavorare su progettualità di interesse comune. Oggi c’è una forte focalizzazione su alcune dimensioni tecnologiche come Ai, bigdata, robotica, e va bene. Bisogna stanziare fondi importanti sulle dimensioni chiave della trasformazione tecnologica e bisogna entrare in sinergia con la progettualità europea e poi sviluppare programmi specifici per coinvolgere le imprese. I cluster sono un ottimo strumento per questo, ma bisogna volerci costruire sopra.

I principali punti del Piano Transizione 4.0. Fonte mise.gov

D. Ci sono altri interventi che finanzierebbe con il Recovery Fund?

R. Infrastrutture digitali e cybersecurity sono fattori abilitanti necessari. È inoltre necessario investire sul trasferimento tecnologico. Abbiamo preziosissime competenze e proprietà intellettuale, spesso nascosta nei cassetti universitari e dei centri di ricerca, che non aspetta altro che poter essere valorizzata, conditio sine qua non per crescere dimensionalmente. Ultimo, ma non meno importante, continuare a supportare l’integrazione e l’interconnessione delle tecnologie Ci siamo focalizzati in questi anni sull’integrazione dentro i processi all’interno delle mura aziendali, ma rimane moltissimo da fare sulla connessione tra aziende e le filiere, per renderle più efficienti e resilienti. Si parte quindi lavorando all’interno delle mura aziendali per poi progettare soluzioni end to end. L’ultimo intervento necessario è quello in comunicazione: occorre un racconto nuovo dell’industria che io continuerò a portare avanti, ma che è necessario sia fatto da più voci, all’unisono e mettere in piedi una singola grande iniziativa nazionale per creare scala e consapevolezza della rivoluzione che nelle fabbriche sta già avvenendo, a volta in maniera silenziosa. L’industria è il luogo dove stanno avvenendo tra le più grandi trasformazioni del nostro secolo e l’industria del futuro, la meccatronica, è uno dei settori indubbiamente più attrattivi per i nostri giovani di domani. Tutte queste misure, devono avere un orizzonte minimo triennale, con una politica industriale però di fondo che parla 2030.

[Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 12/11/2020]














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