6,3 miliardi a Fca: il “Decreto Rilancio” non rilancia proprio niente

di Filippo Astone ♦︎ Con 155 miliardi (oltre la metà del pil perduto nel 2020) di finanziamenti a pioggia e di scarso impatto su una reale ripresa economica lo Stato si è sostanzialmente giocato l'ultima cartuccia. Almeno fino al 2022. Privilegiate le grandi aziende rispetto alle piccole. Pochissime condizioni (molti finanziamenti possono essere goduti anche da chi ha aumentato il fatturato e ha una liquidità abbondante in cassa) e nessun vincolo sulla destinazione o sulla tenuta dei livelli occupazionali. Nulla per i settori più promettenti in termini di sviluppo del Paese e delle relative professionalità: industria 4.0, IoT, Big Data, Automazione, Robotica, Intelligenza Artificiale, machinery, farmaceutica

Una linea di credito di 6,3 miliardi di euro garantita dallo Stato. L’ha appena richiesta a Banca Intesa Fca Italy, la società di Fca che raggruppa le poche attività italiane rimaste dell’azienda olandese-americana, avvalendosi delle norme del “Decreto Rilancio” appena emanato da Giuseppe Conte e che abbiamo già raccontato e commentato qui. In questo modo, la società automobilistica, che ha un rating piuttosto basso (BBB) potrà risparmiare – grazie alla benevolenza dello Stato italiano – qualche centinaio di milioni di euro rispetto all’emissione di obbligazioni o al normale costo del credito bancario a prezzi di mercato. E, stando al Decreto (che non pone alcun vincolo) potrà utilizzare questo denaro come meglio crede, verosimilmente per pagare debiti pre-esistenti verso fornitori e anticipi verso concessionari, visto che l’azzeramento delle vendite di veicoli causa Covid ha privato Fca Italy del circolante normalmente utilizzato per queste operazioni.

La notizia, appena resa pubblica ha suscitato un vespaio di polemiche sui media e in tv, con dichiarazioni agguerite, per esempio, dell’ex Presidente del Consiglio Romano Prodi o del vicesegretario Dem Andrea Orlando circa l’assurdità di finanziamenti ad aziende non italiane.







 

Un finanziamento che sarà ottenuto regolarmente, come da Decreto Rilancio

Il presidente del Consiglio dei ministri Giuseppe Conte. Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Queste dichiarazioni sono politicamente incongrue, e ricordano quel tale che gridava ai buoi quando erano già scappati dalla stalla da un bel pezzo. Fca Italy, infatti, è una società al 100% italiana, e il Decreto Rilancio non pone alcun limite circa la nazionalità delle holding di controllo. Anzi, di limiti ne pone quasi zero: non c’è traccia di vincoli sui livelli occupazionali o sulla destinazione dei fondi ricevuti.

 

Una gigantesca occasione perduta

Il “caso Fca” dimostra che il Decreto Rilancio è una gigantesca occasione perduta. Sono previsti stanziamenti (155 miliardi di euro pagati con l’incremento del debito pubblico) pari ad almeno un paio di finanziarie senza una visione complessiva di rilancio, senza una politica industriale, senza una logica che non fosse quella di fingere di accontentare un po’ tutti. Non c’è nulla sul rilancio degli investimenti privati, nulla per la crescita della manifattura, nulla per la ricerca e sviluppo, nulla per i settori più promettenti in termini di sviluppo del Paese e delle relative professionalità: industria 4.0, IoT, Big Data, Automazione, Robotica, Intelligenza Artificiale, machinery, farmaceutica

La cifra è talmente importante da far dire che per un paio di anni ci siamo giocati tutte le cartucce andando sostanzialmente a vuoto. Prima di poter fare un altro intervento di entità assimilabile si dovrà attendere almeno il 2022.

Decreto Rilancio- le misure per le imprese. Il Decreto Rilancio contiene misure imponenti, per un importo complessivo vicino ai 100 miliardi di euro, volte a garantire liquidità e sostegno alle imprese italiane, per assicurarne la tenuta nel periodo dell’emergenza e favorirne il rilancio nel momento della ripresa. Particolare attenzione è stata dedicata alle imprese più piccole ed alla difesa dei posti di lavoro, accompagnando questi sforzi al tentativo di indirizzare la ripartenza dell’economia lungo sentieri virtuosi di investimento, innovazione, individuazione di nuovi indirizzi strategici, crescita dimensionale.

La vergogna del taglio Irap per tutti

Il taglio Irap (costo da 2 a 4 miliardi) per le aziende fino a 250 milioni di euro di fatturato è senza condizioni. Possono usufruirne anche coloro che non hanno sofferto per la crisi del Covid-19 e non sono in crisi di liquidità. Persino coloro (e non sono pochi) che durante la crisi hanno aumentato il loro fatturato.

 

Prestiti convertibili per i Big

La possibilità per le grandi aziende di ottenere prestiti convertibili in azioni da Cassa Depositi e Prestiti è anch’essa priva di condizioni e senza alcun criterio industriale. Eppure, visto che lo Stato si troverà azionista di alcune di esse, una logica industriale sarebbe stata assolutamente necessaria. E potrebbe produrre valore economico.

Decreto Rilancio: le norme sul fisco. Con il decreto-legge “Cura Italia” e con il successivo Decreto Liquidità, il Governo ha sospeso un’ampia gamma di versamenti di ritenute, tributi e contributi, stabilendo il differimento delle scadenze e la sospensione dei versamenti fiscali e contributivi. Con il Decreto-legge Rilancio vengono ulteriormente prorogate le sospensioni dei versamenti di marzo, aprile e maggio, fino al settembre 2020 e vengono introdotte ulteriori misure fiscali volte a sostenere da un lato l’attività imprenditoriale e dall’altro a ridurre gli oneri per i dispositivi di protezione, le spese di sanificazione ed adeguamento degli ambienti di lavoro e spazi commerciali. Con questo decreto il Governo ha voluto inoltre cancellare definitivamente le clausole di salvaguardia che prevedevano l’aumento i Iva e accise a partire dal 2021.

 

Ai piccoli elemosine che serviranno a poco

Le elemosine per le piccole aziende hanno un carattere sostanzialmente offensivo. Sono previsti finanziamenti a fondo perduto calcolati su una piccola percentuale del fatturato perso solo nel mese di aprile. Peccato che le centinaia di migliaia di srl ed esercizi che hanno perduto fatturato in quel mese, lo hanno anche perduto in marzo e in maggio, e molto probabilmente anche in giugno. E dovranno riaprire sostenendo costi importanti. Il ristorno economico erogato loro dallo Stato, quindi, sarà, nel migliore dei casi, pari a una cifra fra il 2% e il 5% delle perdite reali.

Cristiano Antonelli l’ha spiegato in modo molto efficace su La Verità in un ottimo articolo che vi invitiamo a leggere per intero.

Decreto Rilancio: Autonomi e partite iva

 

L’articolo di Cristiano Antonelli che illumina la logica delle elemosine

John Elkann, presidente di Fca e presidente e ad di Exor. Foto credits Di Exor S.p.A.

«Le piccole e le medie imprese, comprese quelle rette da commercianti e artigiani, avranno diritto a un contributo una tantum in base alla perdita di fatturato che hanno registrato lo scorso mese di aprile. Il termine di paragone è aprile 2019 il cui fatturato viene calcolato artificialmente prendendo i ricavi complessivi dello scorso anno e dividendoli per 12. Se il calo è stato almeno del 33%, si può aspirare a chiedere i soldi», scrive Antonelli, e prosegue: «Immaginate una officina meccanica che nel 2019 ha avuto un giro di affari di 600.000 euro e magari ha due dipendenti e che ad aprile abbia lavorato a spizzichi e bocconi. Potrà chiedere un contributo di 2.500 euro. Certo, se il crollo di fatturato fosse limitato solo ad aprile, sarebbe un sostegno utile. Ma è impossibile. Sappiamo che il crollo c’ è stato a marzo, ad aprile e pure a maggio. Nessuno sa cosa accadrà a giugno e luglio. Perché nessuno sa quando gli automobilisti ritorneranno a circolare come prima. E gli incassi dell’officina dipendono da tali incognite. Di conseguenza, potrebbe perdere da marzo a luglio 150.000 euro di fatturato e a quel punto con 2.500 euro ci paga le bollette della corrente. Forse»

Antonelli sposta poi l’esempio nel settore della ristorazione dove, a parità di fatturato, e con un aprile senza alcun incasso, il piccolo imprenditore avrebbe diritto a 7.500 euro. Sempre una tantum. Certo molto più di 2.500 euro, ma pur sempre insufficiente. «È stato fermo tre mesi, ma se a giugno volesse ripartire dovrà fare i conti con regole così assurde che si troverà a fatturare il 20% di quanto portava a casa nel 2019, ma con costi decisamente in aumento. Menù invariato e dipendenti proporzionati alla tipologia delle offerte. Affitti a prezzo pieno e bollette senza sconti. Inoltre, dovrà adeguarsi alle norme e spendere molti quattrini per sanificare gli ambienti. E solo una piccola parte di questi interventi potrà portarli in detrazione. Sempre che l’anno prossimo riesca a pagare le tasse. Certo, siamo consapevoli che c’ è la cassa integrazione e quindi la possibilità di ridurre il costo del personale. Ma con la cassa integrazione le aziende non ripartono e con esse non riparte il Pil».

Decreto Rilancio: Cassa integrazione. con 16 miliardi vengono rafforzati gli istituti della Cassa Integrazione e del Fondo di Solidarietà per ulteriori 9 settimane: in particolare vengono estese le tutele previste dal Cura Italia fino al 31 agosto 2020 e incrementate di successive 4 settimane per i periodi dal primo settembre al 31 ottobre 2020. La Cig straordinaria viene estesa a 18 settimane da fruire entro il 31 ottobre 2020

Conclude sconsolato il giornalista: «Ciò che manca ai giallorossi è la comprensione stessa del fare impresa. Perché di sussidi se ne intendono, ma sostenere le imprese è tutt’ altro. Offrire l’elemosina a chi produce ricchezza e tiene in piedi il Pil è offensivo. Meglio niente. Certo, cadono le braccia e viene l’amaro in bocca se si pensa che ad Alitalia è destinato l’ 8% dell’ intero deficit prodotto dal dl Rilancio: ben 3 miliardi. E altri 2,4 vanno ai bonus vacanze che sono un finto sostegno al turismo».

La totale mancanza di una visione di Rilancio

Roberto Gualtieri, ministro dell’economia e delle finanze. Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

Ma il vero Delitto è la totale mancanza di una visione di rilancio, di scelte sui settori da fare e da sostenere non solo per tornare come prima, ma per crescere finalmente con decisione. Invece, come abbiamo già scritto qui non si vede l’ora di tornare alla “normalità”, a come si era prima, a quello che abbiamo lasciato, volendo credere, o fingendo, che andasse bene. E sognando che basti distribuire denaro a catinelle per ripristinare un Eden che non è mai esistito.

 

La “normalità” che abbiamo lasciato prima del Covid era insostenibile, adesso (con la montagna di debiti da pagare) sarebbe drammatica. Sarà drammatica

Perché la realtà è che quello che abbiamo lasciato era per noi insopportabile, e diventerà insostenibile in relazione alla montagna di debiti che stiamo di necessità creando e che bisognerà pagare. Abbiamo lasciato un’Italia che da 20 anni cresce meno di tutti e nel 2020 ha visto il pil declinare dello 0,3% e la produzione industriale dello 0,5%, mentre gli investimenti in ricerca e sviluppo come al solito stagnavano alla ridicola percentuale dell’1,38%. Dal 2000 ad oggi, il pil italiano è aumentato appena del 3%, mentre quello tedesco è cresciuto del 30% e quello francese del 21%. Ancora nel 2019, l’Italia non aveva recuperato (a differenza di tutti i Paesi europei, Spagna e Portogallo inclusi) i livelli di pil e di produzione industriale precedenti la crisi del 2008-2009. Nel 2019 l’ufficio studi di Mediobanca ha fatto delle stime sul bilancio aggregato 2018 di 1880 società industriali medie e grandi, pari al 49% del totale. Ne è emerso che il fatturato aggregato era di 538 miliardi rispetto a costi industriali aggregati di 510 miliardi. Come dire: a pochi passi dalla perdita netta. Per non parlare di ciò che era già sotto gli occhi di tutti e che è stato evidenziato dai fatti recenti: un sistema sanitario sguarnito, una digitalizzazione incompiuta, un apparato burocratico inefficiente e grottesco, un sistema produttivo troppo dipendente dall’estero a monte e a valle.

 

Palazzo Chigi, 13/05/2020 – La conferenza stampa del Presidente Conte, con i Ministri Gualtieri (Economia e Finanze), Speranza (Salute), Patuanelli (Sviluppo Economico) e Bellanova (Politiche Agricole, Alimentari e Forestali), sul #DecretoRilancio approvato dal Consiglio dei Ministri n. 45

 

Ci vuole una politica industriale basata su ciò che sappiamo fare meglio

La politica industriale (ne parleremo più diffusamente nei prossimi articoli) dovrebbe far leva sulle eccellenze dei distretti e della manifattura italiana: componentistica auto, packaging, macchine utensili e machinery in generale, biomedicale, farmaceutica (siamo il primo produttore d’Europa! davanti a Germania, Francia e Svizzera)… Eccellenze che non vanno irrorate di denaro che a lungo andare può essere anche un veleno, ma vanno messe a sistema, supportate, organizzate, sostenute. E devono essere collegate ad abbondanti investimenti in ricerca e sviluppo, dove la mano pubblica è essenziale per la sua capacità di investire capitali pazienti e per il ruolo delle Università. Per esempio, la filiera della componentistica auto, che vale ormai più dell’automotive stessa, va riorganizzata e ripensata e rilanciata in relazione al prossimo avvento dell’auto elettrica, che cambierà tutto. Tutta la politica industriale deve far perno sulle nuove tecnologie digitali: IoT, Big Data, interconnessione e industria 4.0, Intelligenza artificiale, supercomputer, nanotecnologie e nanomateriali. Da questo punto di vista, un esempio eccellente di politica industriale a livello regionale è il nascente Big Data Technopole che abbiamo raccontato qui e che produrrà valore economico e sociale tale da fare la differenza.

La politica industriale, e in generale ogni azione di sviluppo, va basata su ciò che garantisce da sempre l’esistenza di questo Paese: l’industria alimentata dalla tecnologia e dalla scienza. Certo, sono importanti anche il turismo, la ristorazione, l’alimentare e la moda, ma rispetto all’industria contano assai meno. Sono su un gradino sotto, forse anche due gradini, e messi insieme non generano nemmeno un quarto delle ricadute economiche della nostra industria. Negli anni scorsi, purtroppo, siamo stati sommersi da un fiume di melensa retorica sulla bellezza che ci salverà, i cuochi, il cibo e altre iperboli fuori dalla realtà. Sciocchezze fuori dalla realtà! La bellezza non ci salverà! Ammesso e non concesso che ci salvi qualcuno, potrà essere solo l’industria!

Decreto Rilancio: Dopo il pacchetto di misure da 25 miliardi di euro del Decreto “Cura Italia”, il Governo con il “Decreto Rilancio” stanzia ulteriori 155 miliardi per avviare la Fase 2 dell’economia italiana che dovrà affrontare la crisi senza precedenti innescata dalla pandemia del Covid-19 e sostenere la ripresa del Paese.

Una visione è ancor più indispensabile alla luce della montagna di investimenti che, in teoria, potrebbero in futuro arrivare dalle istituzioni internazionali: Mes, Bei, Cig Europea, Recovery Fund. Sono tutti soldi non dati a fondo perduto o comunque, ma a fronte di precisi progetti, esaminati e accettati. Sarebbe necessario iniziare a pensare e scrivere quei progetti.














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1 commento

  1. Sono molto d’accordo. La politica industriale manca da almeno 15 anni. Manca la programmazione dello sviluppo. Trionfano le consorterie.
    Su turismo, ambiente e cultura andrebbe applicata la logica della programmazione e dell’innovazione. Lei saprà che un albergo a 5 stelle ha la consistenza di una media impresa…..

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