Per risorgere da Covid-19 bisogna pensare a crescita economica e politica industriale. O il “new normal” = tragedia

di Filippo Astone ♦︎ La pandemia ha portato il Paese in recessione e sotto una montagna di debiti. Per pagarli c'è una sola strada: aumentare le entrate grazie alla crescita economica. Che è assolutamente possibile con piani di politica industriale modellati sui percorsi di successo già intrapresi da altri (Germania, Usa di Obama, Israele) e basati sulla manifattura e le tecnologie. Riscoprendo il giusto ruolo dello Stato e dell'Unione Europea. Peraltro, tornare a come eravamo prima sarebbe insostenibile: perché quel "prima" era in forte ribasso e insopportabile

La crisi da Covid-19 ha fermato l’industria e ha messo l’Italia sotto shock, costringendo il Governo a indebitare il Paese oltremisura per garantire la sopravvivenza a cittadini che non possono lavorare e guadagnare. Le stime più attendibili prevedono una riduzione del pil che va dal 6% ottimisticamente calcolato da Confindustria all’11,6% di Goldman Sachs e addirittura all’19% stimato dall’istituto di ricerca tedesco Ifo. Ieri l’ufficio parlamentare del Bilancio ha calcolato un -15% su base semestrale e un -7% su base annua. Un altro dato drammatico sarà il venir meno di almeno 26 miliardi di entrate fiscali. Per quanto riguarda il debito pubblico, è prevedibile che si passi dall’attuale 134% al 160% del pil. Il record europeo.

In questo contesto drammatico, il dibattito politico e mediatico è tutto concentrato sulla riapertura: come si farà, con quale distanziamento, quando ed a quali condizioni potranno riaprire fabbriche e negozi, quali aiuti si potranno erogare ed a chi. L’aspetto economico viene affrontato solo in termini di che cosa chiedere, anzi pretendere, dall’Unione Europea in termini di cash e su come architettare operazioni di ingegneria finanziaria per rendere un po’ meno schiacciante l’enorme debito che si va creando.







Non si vede l’ora di tornare alla “normalità”, a come si era prima, a quello che abbiamo lasciato, volendo credere, o fingendo, che andasse bene. E sognando che basti distribuire denaro a catinelle per ripristinare un Eden che non è mai esistito.

 

Ciò che abbiamo lasciato era insopportabile

Perché la realtà è che quello che abbiamo lasciato era per noi insopportabile, e diventerà insostenibile in relazione alla montagna di  debiti che stiamo di necessità creando e che bisognerà pagare. Abbiamo lasciato un’Italia che da 20 anni cresce meno di tutti e nel 2020 ha visto il pil declinare dello 0,3% e la produzione industriale dello 0,5%, mentre gli investimenti in ricerca e sviluppo come al solito stagnavano alla ridicola percentuale dell’1,38%. Dal 2000 ad oggi, il pil italiano è aumentato appena del 3%, mentre quello tedesco è cresciuto del 30% e quello francese del 21%. Ancora nel 2019, l’Italia non aveva recuperato (a differenza di tutti i Paesi europei, Spagna e Portogallo inclusi) i livelli di pil e di produzione industriale precedenti la crisi del 2008-2009. Nel 2019 l’ufficio studi di Mediobanca ha fatto delle stime sul bilancio aggregato 2018 di 1880 società industriali medie e grandi, pari al 49% del totale. Ne è emerso che il fatturato aggregato era di 538 miliardi rispetto a costi industriali aggregati di 510 miliardi. Come dire: a pochi passi dalla perdita netta. Per non parlare di ciò che era già sotto gli occhi di tutti e che è stato evidenziato dai fatti recenti: un sistema sanitario sguarnito, una digitalizzazione incompiuta, un apparato burocratico inefficiente e grottesco, un sistema produttivo troppo dipendente dall’estero a monte e a valle.

Nei primi due trimestri 2020, causa Covid, affondano produzione e Pil. Fonte Centro Studi Confindustria

Può essere questo il New Normal? E consentirà di pagare i debiti?

Certo che no.

Sia i servizi che il manifatturiero a marzo 2020 sono in forte contrazione causa Covid-19. Fonte Centro Studi Confindustria

 

La rassegnazione al peggio non ha senso

Non c’è alcun motivo per rassegnarsi alla stagnazione economica e al lento declino. Non c’è proprio niente di ineluttabile in tutto questo. La crisi da Covid-19, invece, potrebbe essere un formidabile occasione per elaborare e attuare una politica industriale finalizzata alla crescita dell’Italia, utilizzando le esperienze positive degli Stati Uniti di Obama, di Israele e della Germania dei suoi anni migliori. Per costringere la politica e le classi dirigenti a fare delle scelte. A tracciare un solco in grado di indicare e facilitare una strada alle imprese. E per ripensare anche al ruolo centrale dello Stato e dell’Unione europea, facendo marcia indietro rispetto ai luoghi comuni neoliberisti che in questi ultimi anni hanno prodotto solo povertà, come è sotto gli occhi di tutti.

Le diminuzioni del valore aggiunto mostrate in questa tabella sono state ponderate dalla quota dei settori nel valore aggiunto lordo totale. Fonte Goldman Sachs Global Investment Research

Ci vuole politica industriale basata sulle tecnologie e le nostre eccellenze, dal packaging alla componentistica auto

La politica industriale (ne parleremo più diffusamente nei prossimi articoli) dovrà far leva sulle eccellenze dei distretti e della manifattura italiana: componentistica auto, packaging, macchine utensili e machinery in generale, biomedicale, farmaceutica (siamo il primo produttore d’Europa! davanti a Germania, Francia e Svizzera) … Eccellenze che non vanno irrorate di denaro che a lungo andare può essere anche un veleno, ma vanno messe a sistema, supportate, organizzate, sostenute. E devono essere collegate ad abbondanti investimenti in ricerca e sviluppo, dove la mano pubblica è essenziale per la sua capacità di investire capitali pazienti e per il ruolo delle Università. Per esempio, la filiera della componenstica auto, che vale ormai più dell’automotive stessa, va riorganizzata e ripensata e rilanciata in relazione al prossimo avvento dell’auto elettrica, che cambierà tutto. Tutta la politica industriale deve far perno sulle nuove tecnologie digitali: IoT, Big Data, interconnessione e industria 4.0, Intelligenza artificiale, supercomputer, nanotecnologie e nanomateriali. Da questo punto di vista, un esempio eccellente di politica industriale a livello regionale è il nascente Big Data Technopole che abbiamo raccontato qui e che produrrà valore economico e sociale tale da fare la differenza.

I partecipanti all’Associazione Big Data

Il ruolo centrale dello Stato: Mariana Mazzucato e la commissione di Colao

Marianna Mazzuccato

Il ruolo essenziale dello Stato coi suoi capitali pazienti e i suoi investimenti in ricerca e sviluppo è stato portato all’attenzione mondiale dall’economista italiana docente a Oxford Mariana Mazzucato, autore del saggio “Lo Stato innovatore” edito in Italia da Laterza nel 2014. Ed è una grande notizia che la Mazzucato sia stata scelta dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte come consigliere economico e faccia parte della commissione sulle attività post Covid-19 guidata da Vittorio Colao. Commissione che, per come si presenta oggi, è fortemente sospettabile di inconcludenza e di incremento della confusione generale, ma aspettiamo e vedremo che cosa produrrà.

 

Solo la manifattura (in versione modernizzata) ci potrà salvare

La politica industriale, e in generale ogni azione di sviluppo, dovrà far leva su ciò che garantisce da sempre l’esistenza di questo Paese: l’industria alimentata dalla tecnologia e dalla scienza. Certo, sono importanti anche il turismo, la ristorazione, l’alimentare e la moda, ma rispetto all’industria contano assai meno. Sono su un gradino sotto, forse anche due gradini, e messi insieme non generano nemmeno un quarto delle ricadute economiche della nostra industria. Negli anni scorsi, purtroppo, siamo stati sommersi da un fiume di melensa retorica sulla bellezza che ci salverà, i cuochi, il cibo e altre iperboli fuori dalla realtà. Sciocchezze fuori dalla realtà! La bellezza non ci salverà! Ammesso e non concesso che ci salvi qualcuno, potrà essere solo l’industria!

 

Anche gli imprenditori dovranno fare la loro parte, e smettere di piangere

Il premier Giuseppe Conte

In questo nuovo scenario post-Covid-19 non basterà l’azione dello Stato. Dovranno fare la loro parte anche gli imprenditori. Dovranno avere coraggio e investire. Purtroppo, però, fino ad oggi non hanno sempre dato buona prova di sé. Troppi di loro tendono alla piagnoneria, al non sapere fare altro che invocare gli aiuti di Stato, a non investire. Certo, c’è una minoranza di eletti, i famosi quattromila imprenditori del Quarto Capitalismo delle medie imprese, veri eroi, uomini e donne d’impresa che investono, innovano, fanno ricerca e sviluppo, esportano e mettono in azienda tutte le loro risorse. E poi ci sono tanti altri che si dovrebbero solo vergognare per i danni che hanno prodotto negli ultimi anni, per il loro parassitismo, per l’evasione fiscale e per la piagnoneria. In mezzo, una grande massa di color che stan sospesi e che se si risvegliassero potrebbero contribuire fortemente a cambiare la Storia.

Politica industriale e nuovo senso dello Stato e dell’Unione europea potrebbero essere in qualche modo facilitati da ciò che sta accadendo in queste settimane, durante le quali l’Italia ha fatto un salto quantico in termini di digitalizzazione di massa, iniziando per forza di cose a vivere quella “data driven society” di cui abbiamo parlato tante volte su Industria Italiana. E rendendosi conto che i processi di trasformazione digitale devono accelerare, che senza il ruolo dello Stato non è possibile alcuna coesione sociale ed economica, che si impone un importante reshoring di alcune produzioni per riacquisirne il controllo locale, che il sistema sanitario necessità di investimenti. In queste settimane di pandemia, inoltre, si è scoperto che senza un ruolo attivo dello Stato non si va da nessuna parte. E si è risvegliato l’orgoglio di essere italiani. Il mito dello Stato minimo era già Stato demolito dall’evidenza delle privatizzazioni fallite per la rapacità e incapacità degli “imprenditori” che si sono appropriati a prezzo basso o nullo di gioielli come Autostrade e Telecom Italia, sostanzialmente annientandoli. Non a caso, il poco che sopravvive di grande industria competitiva e redditiva per ragioni di mercato (Eni, Enel, Leonardo-Finmeccanica) è ancora in mano dello Stato come azionista di controllo. Adesso, si tratta di costruire il futuro partendo dal reale e mettendo da parte una narrazione mainstream tanto popolare quanto falsa e pericolosa.

Di tutto questo, e in particolare dei tre aspetti di un nuovo possibile percorso di crescita (politica industriale, nuovo ruolo dello Stato, più Europa) cercheremo di parlare il più possibile sulle pagine di Industria Italiana. Grazie a tutti coloro che ci seguiranno.














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