IIoT e reti intelligenti mettono il turbo all’Indy Autonomous Challenge! E alla manifattura! Ne parlano Cisco, Dallara e Cfi

di Marco de' Francesco ♦︎ Da Las Vegas a Indianapolis passando per il Politecnico di Milano: si moltiplicano le applicazioni delle reti intelligenti per la macchina autonoma sviluppate da Cisco. Applicazioni che poi possono venire usate anche in campo manifatturiero. Ne parlano Cisco stessa, Dallara (che le ha sperimentate all'Indy Challenge ed è anche un manifatturiero) e il Cluster Fabbrica Intelligente (per gli aspetti di politica industriale e di sistema). E sul 5G…

«Vediamo la fusione di diversi mondi: l’industria tecnologica, Internet e l’industria automobilistica. La fusione di questi mondi è come uno smartphone su ruote» – ha affermato una volta l’ex ceo di Daimler Dieter Zetsche a proposito dell’auto autonoma.  Devono averlo pensato anche membri dei team che agli inizi di gennaio hanno partecipato ad una gara molto speciale a Las Vegas, competizione preceduta una decina di giorni prima da una sessione di prova sempre nel contesto della Indy Autonomous Challenge (Iac). Ad oggi, il self driving serve per parcheggiare o per evitare gli incidenti. Altra cosa è inserire un computer in superbolidi “Indy” sensorizzati messi a disposizione dalla Dallara – l’azienda di auto da competizione guidata da Andrea Pontremoli – per farli correre da soli a 300kmh. Significa che devono sterzare, frenare, superare, e operare secondo strategie tipicamente umane; e ciò è reso possibile da una potente e capace interconnessione, perché imponenti flussi di dati provenienti dall’auto (e dalla pista) – relativi a velocità, pressioni, distanze, stato dell’asfalto e altro, e pertanto costantemente variabili – devono essere restituiti dalla rete alla centralina a bordo della macchina, per un esame istantaneo e continuo.  Il “salto” è epocale.

Per questo l’Indy Autonomous Challenge è stata soprattutto un’operazione di open innovation: hanno partecipato le università di tutto il mondo, perché negli atenei ci sono le competenze per lo sviluppo del software – l’elemento attorno al quale si giocava la partita. Alla fine, per la cronaca, l’ha spuntata “PoliMove”, la squadra del Politecnico di Milano. Ma tornando alla citazione di Zetsche, c’è un altro elemento che torna: la rete. La gara è stata possibile perché Cisco, multinazionale americana del networking, ha realizzato quella “intelligente” che ha fornito la connettività wireless da auto a pista durante le gare. Dall’unione tra l’hardware di Dallara, il software sviluppato dagli atenei e dalle reti di Cisco ci si attendono avanzamenti non solo nel campo della macchina autonoma, ma anche in quello della manifattura. Ad esempio, la precisione richiesta ai bolidi per sfrecciare in pista può essere altrettanto utile nelle componenti presenti nello shopfloor. Inoltre, l’intelligenza nella gestione delle reti può trovare applicazione nel manufacturing.







L’evento ha anzi messo in rilievo il ruolo delle reti intelligenti per il manufacturing. D’altra parte, Cisco Italia, guidata da Gianmatteo Manghi, nell’ottobre del 2020 è entrata nel Cluster Fabbrica Intelligente (Cfi) come “Pathfinder”, e cioè come partner tecnologico, in grado di immaginare il futuro e le traiettorie delle tecnologie di cui si occupa, aiutando la community del cluster a prendere la giusta direzione. E Cfi è l’associazione che – presieduta da Luca Manuelli, Ceo di Ansaldo Nucleare e Cdo di Ansaldo Energia – riunisce tutte le tipologie di portatori di interesse della manifattura avanzata: aziende, università e centri di R&S, associazioni, Regioni. Cfi ha nella sua missione anche il compito di elaborare scenari di politica industriale da condividere con gli stakeholders istituzionali in tema di innovazione e sviluppo tecnologico nel manufacturing.

E perché le reti intelligenti rappresentano un tema strategico per Cfi? Perché tra gli scenari immaginati dall’associazione per la manifattura ci sono le politiche di Innovability (Innovation for Sustainability) – concetto che associa tre importanti trend dell’industria. Secondo Manuelli, infatti, integra «anzitutto la Sostenibilità Industriale, intesa come un insieme di tecnologie e strategie che consentano al settore Manifatturiero di dare un contributo fondamentale al conseguimento delle sfide indirizzate dalla Transizione Ambientale ed Energetica con Net Zero Emission (Nze). In secondo luogo, la Transizione Digitale che deve coinvolgere in maniera integrata tutta la Filiera e che va ripensata nello scenario indirizzato dal Pnrr anche per rispondere rapidamente ai cambiamenti improvvisi della domanda e per adattarsi ad interruzioni impreviste. Questo passaggio, però, non può avvenire senza il potenziamento delle infrastrutture di comunicazione dei dati lungo la catena del valore. In terzo luogo la centralità del Capitale Umano in questo scenario evolutivo: nessun mutamento, nessuna “rivoluzione” tecnologica o green è possibile senza la disponibilità delle competenze necessarie per sviluppare ed applicare tecnologie e processi innovativi. Ma anche lo sviluppo delle competenze va collegato alle diverse sfide delle Transizioni indirizzate dal Pnrr e perseguito attraverso un ecosistema collaborativo che permetta di collegare tutti gli attori fondamentali». Insomma, senza le reti nessuno di questi obiettivi del Cluster è conseguibile. Questo articolo trae anche spunto del webinar “Industrial IoT, reti intelligenti e uso strategico dei dati: ma quali condizioni producono veramente valore economico per la fabbrica” – organizzato da Cfi e Cisco. All’evento è intervenuto anche Pontremoli di Dallara.

 

The Autonomous Challenge al Ces Las Vegas Motor Speedway 

L’open innovation per avanzare con la macchina autonoma 

1)    La gara di Las Vegas del 7 gennaio 2022 

Si diceva dell’exploit di “PoliMove”, che ha avuto la meglio su altre quattro équipe, rappresentanti di sette università del mondo; e in particolare su Tum Autonomous Motorsport della agguerrita Technische Universität München, uno dei più prestigiosi atenei tedeschi.  La gara si è tenuta il 7 gennaio a Las Vegas in occasione del Ces, la fiera dell’high-tech più importante del mondo. Tutte le squadre si sono sfidate con vetture a guida interamente autonoma e a motore endotermico della Formula Indy, le Dallara AV-21. Qualche giorno prima, durante le prove, PoliMove aveva fatto registrare il record assoluto di velocità di 175,96 mph (oltre 280 kmh) per autonomous car.

l’Indy Autonomous Challenge è stata soprattutto un’operazione di open innovation: hanno partecipato le università di tutto il mondo, perché negli atenei ci sono le competenze per lo sviluppo del software – l’elemento attorno al quale si giocava la partita

2)     La competizione di Indianapolis del 23 ottobre 2021

Tutte le squadre all’Indy Autonomous Challenge si sono sfidate con vetture a guida interamente autonoma e a motore endotermico della Formula Indy, le Dallara AV-21. Ha vinto PoliMove, la squadra del Politecnico di Milano

Il 23 ottobre dello scorso anno, nel famoso circuito automobilistico di Indianapolis, si era tenuta una competizione “preparatoria” in vista della gara di gennaio, l’Indy Autonomous Challenge (Iac). Dopo una prima gara di simulazione, tenuta in via virtuale, e dopo le qualificazioni del 21 e 22 ottobre, la competizione vera e propria, “testa a testa” e della durata di quattro giri. Tutti i team, che raggruppavano inizialmente 37 università, avevano a disposizione la stessa vettura, la citata Dallara AV-21, lo stesso hardware. Come vedremo, la differenza la faceva lo sviluppo del software.  Alla fine, il primo posto è andato al citato team Tum Autonomous Motorsport; il secondo all’équipe “Euroracing”, che univa l’università di Modena e Reggio Emilia, quella di Pisa, l’Accademia polacca delle scienze e l’ETH di Zurigo; il terzo a PoliMove. Gli americani sono rimasti fuori dal podio, in casa. Per gli italiani è stato comunque un ottimo risultato, spiega Pontremoli, «dal momento che hanno superato università di importanza globale come il Mit, Berkeley, John Hopkins, Purdue e altre; e che PoliMove, molto veloce, ha rallentato per un banale errore di programmazione nel numero dei giri di warm up, di quelli chilometrati e quelli di cool down».  L’evento, che ha visto Cisco tra gli sponsor corporate, ha riscosso un grande successo sui media, con 1,3 miliardi di visualizzazioni.

 

3) Dallara in pillole

Andrea Pontremoli, ceo Dallara Automobili

Ma che c’entra Dallara con Indianapolis? Già alla fine degli anni Novanta, Dallara ha progettato la sua prima vettura per il campionato americano, ottenendo diversi successi. E nel 2012 l’azienda ha aperto un centro d’ingegneria ad Indianapolis, dove produce ed assembla le IndyCar del futuro. Perché la Dallara Automobili è un’azienda che costruisce bolidi da competizione. È stata fondata nel 1972 a Varano de’ Melegari (Parma) da Gian Paolo Dallara, uno degli ultimi “grandi vecchi” dell’industria dell’auto internazionale. Ingegnere, ha lavorato in Ferrari, Maserati e Lamborghini (dove ha progettato la mitica “Miura”) prima di dar vita alla sua azienda, che ora ha un fatturato di circa 100 milioni, il 40% dei quali realizzati da attività di ingegneria sia per le vetture da competizione, che per quelle stradali ad alte prestazioni.  La Dallara investe molto in ricerca: infatti ha primo simulatore di guida professionale di tipo F1. A parte questo campionato e l’IndyCar, Dallara fornisce macchine anche per Indy Lights, F2, F3, World Series by Renault, Super Formula e Formula E.  In occasione del cinquantesimo anno di vita della società, proprio in questi giorni l’azienda ha lanciato un’edizione speciale della Dallara Stradale, ispirata alla SP 1000 del 1972, il primo modello della casa.

4)     Le ragioni alla base di questi eventi

Dall’unione tra l’hardware di Dallara, il software sviluppato dagli atenei e dalle reti di Cisco ci si attendono avanzamenti non solo nel campo della macchina autonoma, ma anche in quello della manifattura

Qual è stata la genesi delle competizioni. Per Pontremoli, le cose sono andate così: «Una sera, a cena a Indianapolis, è emerso questo tema: sull’autonomous car ci sono ingenti investimenti, si pensi a Tesla, a Google o Apple; tuttavia, allo stato, questa tecnologia serve per parcheggiare, per evitare i tamponamenti o per tenere una velocità costante in autostrada.  Sviluppi importanti. Ma la guida autonoma è altro. Dunque, si trattava di promuovere un avanzamento importante». Un avanzamento che poteva essere realizzato inserendo un computer a bordo dei superbolidi di Indianapolis – quelli generalmente impegnati nella corsa più veloce del mondo, che si svolge a 370 km all’ora di media. Dallara, come abbiamo visto, ha messo a disposizione le vetture, che sono state dotate (anche grazie all’impegno della Clemson University del South Carolina) di lider, radar, telecamere e quattro attuatori per frenare, accelerare e cambiare le marce. La pista è stata infrastrutturata con apposite reti, per consentire la trasmissione dei dati. «A questo punto, per lo sviluppo del software si è ricorsi all’open innovation, con l’intervento degli atenei, lì dove a livello mondiale ci sono le maggiori competenze in materia» – afferma Pontremoli. Una sfida di enorme complessità: si trattava di dar vita ad algoritmi che consentissero alle auto di muoversi nel circuito ad elevate velocità, di evitare collisioni e adottare strategie ed azioni in tempi estremamente ridotti.

Al centro, l’intelligenza artificiale: questa è costituita da software sempre più complessi e strutturati per permettere alle macchine di realizzare meglio delle persone attività tipicamente umane. Sviluppo tutt’altro che banale: le capacità della nostra specie si sono evolute nel corso di centinaia di migliaia di anni. «La macchina del Mit, la più importante università scientifica del mondo, è andata a sbattere» – ricorda Pontremoli. In realtà, ciò che ci si attende è un riflesso importante sul mondo industriale. Non è noto, ma molti avanzamenti di rilievo in quest’ambito dipendono da attività non direttamente collegate ad esso, ma “esterne” e di frontiera. Si pensi appunto alla Formula Uno o alle missioni spaziali. «E nel caso della guida autonoma – afferma Pontremoli – le tecnologie sono già state inventate da diversi anni a questa parte. Ciò che va scoperto, perché farà la differenza, è come utilizzarle in modo innovativo. Per questo l’open innovation è stato un passaggio importante: noi produciamo tecnologia, ma abbiamo pensato di servircene nella direzione indicata dai tecnici degli atenei che hanno partecipato alle competizioni». Gli sviluppi sono previsti in un ambito manifatturiero più generale. Per Pontremoli, «sistemi di simulazione che creano prototipi di un’autovettura possono generare quelli di un impianto industriale. Nella manifattura, conta tantissimo, e conterà sempre di più, disporre di un modello virtuale di macchina, prodotto e processo prima dell’installazione del bene fisico, perché ci consente di valutare la corrispondenza della progettazione ai modelli esistenti».

La gara è stata possibile perché Cisco, multinazionale americana del networking, ha realizzato quella “intelligente” che ha fornito la connettività wireless da auto a pista durante le gare.

Il ruolo di Cisco: reti veloci e intelligenti per la macchina autonoma (e per la manifattura)

Michele Dalmazzoni, head of architectures sales di Cisco Italia

Si diceva della rete di Cisco. Anche qui, vicenda tutt’altro che semplice: considerata la velocità delle macchine, «era richiesta la precisione al millisecondo delle operazioni» – afferma l’head of architectures sales di Cisco Italia Michele Dalmazzoni. La macchina non poteva frenare o impegnarsi nella curva un attimo dopo il momento giusto, altrimenti si sarebbe schiantata. Cisco ha pertanto utilizzato una tecnologia detta Fluidmesh, un sistema per comunicazioni critiche simile al 5G. Quella di Fluidmesch è una storia interessante: una start-up nata nel 2005 da quattro studenti del Politecnico di Milano: Andrea Orioli, Umberto Malesci, Cosimo Malesci e Torquato Bertani. Dopodiché è diventata una vera e propria azienda d’avanguardia nelle comunicazioni, con 60 dipendenti sparsi tra Europa, America e Asia. Nel 2020 è stata acquisita dal colosso guidato da Chuck Robbins. Comunque sia, secondo Dalmazzoni, il sistema Fluidmesh combina l’affidabilità e la velocità della fibra con la flessibilità del wireless. Secondo il Sales Specialist IoT di Cisco Italia Marco Stangalino, le gare hanno rappresentato una palestra per le tecnologie di Cisco. D’altra parte, «sono già testate per i treni ad alta velocità e per le metropolitane». Anche Dalmazzoni, come Pontremoli, pensa alle ricadute industriali dell’operazione: «Digitalizzando le reti, si possono ottenere enormi benefici nella manifattura».

D’altra parte, Cisco è un player globale in una tecnologia fondamentale per la manifattura: fornisce alle fabbriche, per usare le parole di Dalmazzoni, «il sistema nervoso intelligente». In pratica, Cisco fornisce una infrastruttura convergente con capacità computazionale integrata che consente la comunicazione biunivoca e bidirezionale tra l’ambiente OT e IT. Il colosso di San Jose è stata una delle prime aziende a credere nella cosiddetta “convergenza” tra le reti informatica e operativa. Storicamente, erano due mondi separati, ognuno con le sue regole: erano amministrate con criteri diversi. Gradualmente, nei contesti più avanzati della manifattura, ci si è resi conto che si stava perpetuando un grosso errore. Finché queste due reti non entrano in contatto, infatti, sfuma qualsiasi opportunità di svolgere un controllo puntuale ed efficace su tutte le fasi del processo. Che non è poco: il collegamento rappresenta la base vera della connected factory. Occorre pertanto rendere queste due reti sempre più interdipendenti, connettendo macchine e device ai sottosistemi dotati di proprie regole ed intelligenza, come quelli che pianificano vendite e acquisti e amministrano il magazzino (Erp), quelli che gestiscono l’avanzamento della produzione (Mes) o quelli che si occupano di manutenzione (Cmms) degli asset aziendali. A questo punto, tramite le diverse interfacce dell’infrastruttura digitale, si ottiene una supervisione accurata e la possibilità di incidere, da remoto, sulla produzione. Ma che c’entra con le macchine da corsa e la guida autonoma? Anche qui, c’entra: quella stessa precisione al millisecondo che serve al bolide a quattro ruote per non schiantarsi è richiesta agli ingranaggi dello shopfloor, che ovviamente devono essere perfettamente sincronizzati. E poi c’è tutto il tema, assai complesso, della cyber-security delle reti – uno dei cavalli di battaglia di Cisco.  Intrusioni illegali sono disastrose in pista come nel mondo delle operation industriali.

 

Cisco come pathfinder alla luce della nuova missione di Cfi

Luca Manuelli, cdo di Ansaldo Energia, ceo di Ansaldo Nucleare e presidente del Cluster fabbrica intelligente

Qual è la ragione della collaborazione tra il Cluster Fabbrica Intelligente e Cisco Italia? Il fatto è che Cfi mira a supportare una politica industriale che porti alla realizzazione di un tessuto di aziende che siano: intelligenti; e cioè in grado – grazie ad una comunicazione biunivoca tra gli ambienti IT e OT e grazie alla capacità computazionale – di esercitare un controllo puntuale ed effettivo su tutte le fasi del processo, per migliorare gli standard qualitativi e l’efficienza degli impianti; riconfigurabili, e cioè strutturate in moduli che possono essere ri-assemblati al variare del tipo e del volume della produzione; resilienti, e questo perché, essendo intelligenti e quindi più capaci di gestire la complessità, acquisiscono la capacità di reagire positivamente alle turbolenze del mercato e, in generale, alle situazioni avverse; e infine sostenibili, perché l’ottimizzazione dei processi comporta una minore dipendenza dall’esterno quanto a risorse critiche.

Ora, sulla base di quanto indicato dal Presidente Manuelli, la missione del Cluster si sta allargando. Si mira a sostenere politiche industriali dirette ad accompagnare le aziende di filiera in un processo di riconfigurazione; e a sviluppare ecosistemi collaborativi a supporto del potenziamento delle competenze. Ecco: nessuno di questi target è conseguibile senza architetture intelligenti, capaci di gestire i dati nel migliore dei modi, dentro e fuori il perimetro aziendale. La realizzazione di queste reti è il mestiere di Cisco.

 

Cisco e Digitaliani

Fabio Florio, responsabile Cisco Co-Innovation Center

Con il programma Digitaliani, lanciato nel 2016, la multinazionale ha investito 100 milioni di dollari per incentivare la svolta economica e produttiva dell’Italia. Si declina in quattro aree di interesse. Anzitutto, la formazione e l’innovazione, con il supporto al mondo delle startup e il potenziamento delle networking academy per la diffusione di competenze emergenti; in secondo luogo le infrastrutture: e quindi le collaborazioni con utility e industrie di trasporti, logistica e sicurezza, che possono fruire delle competenze della multinazionale americana; in terzo luogo, il made in Italy, avendo Cisco individuato nel manifatturiero e nell’agroalimentare due settori su cui investire in termini di digital transformation;  infine, il settore pubblico, per aiutare le comunità a diventare più resilienti e perché imparino a geestire i servizi in modo più intelligente ed accurato.

Quanto alla digital transformation delle aziende, secondo il business development manager & Innovation center leader di Cisco Italia nonché responsabile di Digitaliani Fabio Florio, si avvicina un momento importante, legato al Pnrr, il piano preparato dall’Italia per rilanciarne l’economia dopo la pandemia di Covid-19 e per favorire lo sviluppo verde e digitale del Paese. «Per la transizione 4.0 del Paese sono stati stanziati 13,3 miliardi, tanti soldi. Ma le aziende di medie e piccole dimensioni, da sole, faticano a definire i progetti e a sostenere gli investimenti iniziali. È ovvio che una rete di partner può superare più facilmente questi ostacoli, e quella che fa capo a è capillare ed estesa. Inoltre, i progetti bisogna anche portarli a termine, e Cisco è capace di farlo nei tempi giusti» – termina Florio.














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