Come leggere le notizie da record sull’aumento della produzione industriale italiana (+6,6%!!!)

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di Laura Magna ♦ Il balzo in avanti dell’industria a dicembre fa ben sperare, ma è troppo presto per parlare di ripresa. Deboli i consumi interni, squilibrata la crescita per settori e zone del paese, ma il manifatturiero c’è, in attesa degli effetti del Piano di Carlo Calenda su Industry 4.0 e dintorni. Abbiamo interpellato Paolazzi, De Felice, Beltrametti, Fortis, Bianchi, Taisch

Un balzo sorprendente per la produzione industriale italiana, a dicembre. Un +6,6% registrato dall’output manifatturiero anno su anno, secondo le rilevazioni Istat, che è il record degli ultimi cinque anni e che fa sperare in una reale inversione di tendenza. E invece, a parere di un panel di esperti interpellati da Industria Italiana, non è necessariamente così. Si tratta di un segnale importante, sicuramente, soprattutto se associato agli altri numeri pubblicati successivamente, ma per stappare lo champagne è ancora presto. Cerchiamo di capire perché, partendo da ciò che c’è di positivo, vale a dire quello che emerge dal confronto con le due altre maggiori economie dell’Ue – ma anche con la vivace Spagna che vede il Bel Paese decisamente vincente.- La variazione di dicembre su novembre per l’Italia ha segnato +1,4%, mentre la Germania ha perso il 3% e la Francia lo 0,9%.

Ma in Italia non solo la produzione industriale è da record a fine 2016: lo stesso vale per l’export, +5,7% rispetto a dicembre 2015 con l’anno che si è chiuso con un avanzo record di 51,6 miliardi. Una notizia che potrebbe voler dire che la manifattura ha prodotto di più per vendere fuori dai confini nazionali, mentre la domanda interna resta stagnante e la crescita del PIL debole.E, se si va a guardare dentro le componenti dell’indice manifatturiero, si scoprono che alcune voci segnano crescite importanti anno su anno (mezzi di trasporto al 12%; energia al 14,9%; computer ed elettronica 11,9%) mentre altre, che rappresentano settori importanti per la nostra economia, come il tessile abbigliamento, un calo di oltre 4%. Insomma, una sola rondine, non fa mai primavera, nemmeno stavolta.







Allora, come stanno le cose? Cosa ci vuole per consolidare la ripresa e in che tempi l’industria italiana tornerà a essere forte? Dopo avere raccolto, le scorse settimane, i parere a caldo del Prof Gubitta, Industria Italiana ha raccolto il parere di un panel di esperti.

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Luca Paolazzi,Direttore Centro Studi di Confindustria

Luca Paolazzi: un dato sorprendente

Intanto la cautela è d’obbligo perché sull’ultimo mese dell’anno vige anche un effetto di calendario. E infatti l’espansione congiunturale dell’1,4% è «solo in parte coerente con i dati qualitativi, che facevano prevedere un miglioramento ma non di questa entità, tanto è vero che in altre nazioni che sicuramente marciano a un passo più veloce del nostro, Germania e Spagna in primis, nello stesso mese si sono registrati dei cali ed è dunque giusto aspettarsi un ridimensionamento a gennaio. Non è la prima volta che nella sequenza dei dati Istat si osservano forti oscillazioni tra un mese e l’altro, in concomitanza di ponti e festività».

La pensa il direttore del Centro Studi di Confindustria, Luca Paolazzi, che però non esita a definire il dato “sorprendente”, proprio per il confronto con le altre nazioni europee, tutte con un segno meno altrettanto inatteso.  «Si tratta comunque di un dato molto positivo – continua Paolazzi – che si inquadra in un processo di riaccelerazione dell’industria italiana e che favorisce un incremento del Pil superiore alle attuali previsioni». E che conferma il trend, secondo Paolazzi in corso da “alcuni trimestri”, di una domanda interna in crescita, laddove «le esportazioni hanno sofferto molto, a cavallo tra il 2015 e il 2016, dell’andamento dell’economia mondiale e del rallentamento della domanda di importazioni di molti Paesi, a cominciare dalla Cina».

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«Si tratta comunque di un dato molto positivo  che si inquadra in un processo di riaccelerazione dell’industria italiana e che favorisce un incremento del Pil superiore alle attuali previsioni».

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 «Anche nei Paesi produttori di materie prime e di petrolio, dopo il crollo dei prezzi, c’era stata una fase di stallo della domanda mondiale, che ora viceversa si sta riprendendo – osserva Paolazzi – ma è da un pezzo che sono investimenti e consumi a tirare quel poco di crescita che abbiamo ». Questo incremento degli investimenti, conclude Paolazzi, «ritengo sia legato anche alle misure adottate dal governo per rilanciare gli investimenti, misure che sono state prese a cominciare dalla Legge di Stabilità 2016 con il superammortamento che è stato rinnovato per il 2017 con l’aggiunta del superammortamento legato all’Industria 4.0 ».

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Fabio De Felice, professore di progettazione e gestione di impianti industriali all’Università di Cassino

Fabio De Felice: i segnali positivi non bastano (se la ripresa è lenta)

Il piano Calenda è citato da tutti gli interlocutori di Industria Italiana, come un acceleratore dell’indice manifatturiero, che avrebbe fatto vedere i primi effetti a meno di tre mesi dall’annuncio. Ma per gli esperti è la crescita interna che è il grande assente . Secondo Fabio de Felice, professore di progettazione e gestione di impianti industriali all’Università di Cassino  « il 2016 è stato un anno importante, soprattutto per il lancio del piano Calenda che ci ha messo davanti ad una sfida: entrare nell’economia 4.0. Il progetto lanciato dal MISE ha le potenzialità per dare il colpo di reni necessario a venir fuori da una situazione di stagnazione che perdura ormai da troppo tempo.»

Le azioni previste agiscono in maniera orizzontale su tutti i fattori abilitanti nonché sulle infrastrutture, favorendo un incremento degli investimenti in ricerca e nelle nuove tecnologie IoT . E potranno forse essere il collante capace di consolidare le attitudini di quella che De Felice definisce «la palestra Italia, che ci ha reso forti e flessibili, consentendo anche durante gli anni più duri della crisi, al Made in Italy di conservare il proprio appeal ». Ma i segnali positivi che pure ci sono non bastano.

 «La ripresa è lenta, ancora troppo – continua De Felice – Tra i consumatori persiste un clima di sfiducia, benché ci si attendano prospettive di miglioramento nel breve periodo. La crescita dell’export, evidentemente superiore a quella interna, è segno di una burocratizzazione e di una rigidità di sistema ancora troppo spinta, che costringe gli imprenditori a barcamenarsi in un groviglio di lacci e lacciuoli, come già li definì Guido Carli.»

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«La ripresa è lenta.Tra i consumatori persiste un clima di sfiducia, benché ci si attendano prospettive di miglioramento nel breve periodo. La crescita dell’export, evidentemente superiore a quella interna, è segno di una burocratizzazione e di una rigidità di sistema ancora troppo spinta»

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«A ciò si aggiungono le politiche economiche europee che si pongono come obiettivo primario il pareggio di bilancio, castrando le possibilità che le imprese potrebbero avere all’interno di un sistema fiscale meno rigido e capace di agevolare gli investimenti. Manca il presupposto fondamentale: un’idea di sviluppo da cui partire per innescare o alimentare lo sviluppo del nostro Paese. Serve un’idea e serve lottare seriamente per realizzarla. Altrimenti, è un’idea perdente in partenza. Nonostante le difficoltà del sistema paese, siamo ancora una potenza industriale, immaginiamo cosa potremmo realizzare allentando i vincoli ».

Industria tessile
Interno di uno stabilimento tessile: in dicembre un dato in controtendenza per il comparto

Luca Beltrametti: parola d’ordine cautela

 «Io sarei cauto – afferma Luca Beltrametti, direttore del Dipartimento di Economia dell’Università di Genova – mi sembra un dato positivo che si coniuga con un dato altrettanto positivo sull’indice di fiducia degli imprenditori manifatturieri rilevato dal Centro Studi di Confindustria, che in gennaio ha segnato una crescita significativa per il secondo mese consecutivo e il massimo da ottobre 2015. Un altro dato positivo che si associa a questo è il dato dell’export sempre Istat: +2,3% a dicembre su novembre (anno su anno 1,1%).»

«Tutto molto bello, ma ci vuole cautela perché i dati al contorno sono invece meno scoppiettanti ». E non così omogenei.  «Rimangono da notare alcune cose: – continua Beltrametti – i beni intermedi vanno bene (+7,8% anno su anno), così quelli strumentali (+7,3%) ma i beni di consumo vanno meno bene (+2,3%) e sono trainati dall’ export. L’associazioni di questi numeri ci conferma che la domanda interna è stagnante ». Dunque l’export va bene, la produzione industriale ha un momento felice, ma prima di dire che i problemi sono alle spalle ne deve passare di acqua sotto i ponti.

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«Tutto molto bello, ma ci vuole cautela perché i dati al contorno sono invece meno scoppiettanti. La domanda interna è stagnante »

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 «Il dato che mi colpisce è che il tessile abbigliamento sia calato in maniera importante, -4% anno su anno – continua Beltrametti – è questo è un segnale che non può passare inosservato in termini di politica industriale. Questo +6,6% totale se si scompone diventa un +12% su fabbricazione di mezzi di trasporto, un brillante +14,9% su energia elettrica e gas e questo deprimente meno 4 su tessile-abbigliamento, in un Paese come l’Italia che ha nella moda uno dei suoi capisaldi ». Un elemento che non deve passare inosservato a detta del professore.

Una tirata di orecchie a Calenda? Forse tra le righe, anche se Beltrametti giudica molto positivamente il piano del ministro allo Sviluppo economico, poiché ha «individuato l’urgenza di uno stimolo verso gli investimenti industriali e ha scelto di farlo con uno strumento innovativo che prevede il superamento della logica dei bandi e ha un forte grado di automatismo, due cose nell’insieme molto forti. Rimane il fatto che l’iper-ammortamento è efficace nella misura in cui impresa è in grado di anticipare denari per fare investimenti, capitali che non è possibile reperire per le imprese che sono in difficoltà. La mia paura è che questo meccanismo si riveli poco efficace per le imprese più fragili ».

Quindi, seppur valido, il piano Calenda rischia di mostrarsi del tutto insufficiente:  «se non si arriva a un solido risanamento della finanza pubblica per consolidare la fiscalità. Ho paura che senza di questo la domanda interna non potrà ripartire e la manifattura sarà sempre in difficoltà. Ovviamente è mestiere di Padoan più che di Calenda: se non si portano in equilibrio i conti pubblici per abbattere le tasse, non ci sarà una ripresa duratura ».

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Marco Fortis, docente di Economia industriale e commercio estero all’Università Cattolica di Milano e vicepresidente della Fondazione Edison

Marco Fortis : non vale il paragone in negativo con il  PIL tedesco

In effetti un dato che salta agli occhi è che, a fronte di una produzione industriale dell’Italia in crescita – non solo nel mese di dicembre, ma in un orizzonte biennale, a un ritmo più veloce rispetto a quello della Germania, non corrisponda un incremento proporzionale del PIL. Anzi.  «Siamo in una fase particolare – afferma Marco Fortis, docente di Economia industriale e commercio estero all’Università Cattolica di Milano e vicepresidente della Fondazione Edison – l’ultimo trimestre è stato particolarmente positivo, c’è stata una dinamica in controtendenza tra l’ Italia e altri Paesi dell’Eurozona.»

«I dati di dicembre ma anche dei due mesi precedenti hanno consolidato una crescita annua più forte di quella del 2015, che sommata a quella del 2015, ha determinato la una crescita della produzione industriale manifatturiera italiana del 3% in due anni, mentre la Germania ha registrato solo un +1,8%. Allora vale la pena chiedersi perché il nostro PIL poi cresca meno di quello della Germania».

Un’analisi dei dati a più ampio spettro mostra quello che questi numeri significano davvero:  «non abbiamo battuto la Germania con le nostre armi tradizionali, ma sul suo campo: nel biennio a cui mi riferisco in Italia si registra un calo del 5% nel mercato interno dell’abbigliamento. Viceversa siamo andati meglio della Germania sul suo terreno – spiega Fortis – nella farmaceutica dove Germania e Svizzera sono leader mondiali, l’Italia ha segnato un progresso del 7,9% rispetto al 6,2% tedesco. Le multinazionali ci hanno trasformato in una specie di hub pharma per l’Europa.»

«Ancora, sempre nel biennio, nella meccanica l’Italia ha fatto +3,8% contro il -0,1% della corazzata tedesca. Nei mezzi di trasporto, grazie alla rivoluzione produttiva del gruppo Fiat che ha portato la produzione della Jeep Renegade in Italia abbiamo avuto una crescita del 22,7% contro il +3,3% della Germania; nella chimica siamo cresciuti del 2,3%, rispetto al calo dell’1,2% della Germania. Insomma, nei quattro settori che caratterizzano Berlino, Roma è andata decisamente meglio negli ultimi due anni ».

Visita di Angela Merkel in una fabbrica digitale Siemens
Germania: un PIL drogato per Fortis.Nella foto: Visita di Angela Merkel in una fabbrica digitale Siemens

E allora ancora la domanda : perché il nostro Pil crescerà dello 0,9% e quello tedesco dell’ 1,9% nel 2016?  «Perché la maggior crescita della Germania – afferma Fortis – non è stato determinato né dall’export né dalla crescita dell’industria. Ma è stata determinata da elementi che la Germania ha sempre messo in cattiva luce quando criticava altri Paesi dell’Ue: la spesa pubblica che ha contribuito per l’1,8% alla crescita del PIL e le costruzioni che hanno inciso per lo 0,3%. Se si tolgono queste due componenti la Germania è cresciuta come l’Italia ».

Secondo il professore tutta l’Europa continua a essere un grande malato e le semplificazioni giornalistiche che paragonano la locomotiva tedesca agli Usa non sono corrette fotografie della realtà perché non tengono conto degli aspetti appena delineati.  «La Germania non sta andando benissimo come si evince anche dall’economia reale. Gli Stati Uniti crescono invece in maniera organica – dice il professore – il sorpasso dell’Ue sugli Stati Uniti non è avvenuto: se si toglie il PIL della Germania che è drogato, l’Europa è ferma. La Francia inoltre l’anno scorso senza spesa e costruzioni è cresciuta dello 0,7%, e l’Italia è in linea: la velocità di crescita dei tre Paesi piloti è simile e direi che con i soli strumenti di economia reale l’Italia non sta andando male ».

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«Se si toglie il PIL della Germania che è drogato, l’Europa è ferma. La Francia inoltre l’anno scorso senza spesa e costruzioni è cresciuta dello 0,7%, e l’Italia è in linea: la velocità di crescita dei tre Paesi pilota è simile e direi che con i soli strumenti di economia reale l’Italia non sta andando male ».

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Il riferimento è al mercato immobiliare che vede le compravendite in rialzo del 20% – con le nuove costruzioni però ancora drammaticamente ferme – e al settore auto che negli ultimi due anni ha visto le immatricolazioni incrementarsi a due cifre.  «Cosa ha contribuito a questo trend? – afferma Fortis – sostanzialmente tre effetti determinati dalle politiche di Renzi, che se ne pensi dal punto di vista politico: il primo gli 80 euro che hanno restituito 10 miliardi di potere di acquisto in termini reali; il secondo l’abolizione dell’Imu e il terzo 600mila posti di lavoro in più stimolati dal Jobs Act. Dobbiamo ricordare che tra il 2007 e il 2013 il reddito lordo disponibile in termini reali ha perso 120 miliardi, il 10% dello stipendio medio. Negli anni successivi sono stati restituiti agli italiani 30 miliardi: e su questo rinnovato potere d’acquisto si basa la crescita possibile ».

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Patrizio Bianchi, professore di Economia applicata all’Università di Ferrara

Patrizio Bianchi: bisogna generalizzare il trend all’intero paese

E tuttavia, anche se il trend si consolidasse nei prossimi mesi e potremmo dire che la ripresa dell’Italia è davvero cominciata, non potremmo tralasciare le enormi differenze che permangono sullo Stivale, in termini di sviluppo industriale.  «Tendenze diverse tra diversi settori industriali e diverse aree geografiche – precisa Patrizio Bianchi, professore di Economia applicata all’Università di Ferrara – la stessa Emilia Romagna ha segnato una crescita sopra l’1,4%, con all’interno della regione aree che vanno dallo 0,7% all’1,7%.»

« Non è che tutto il Paese si muova allo stesso ritmo e così i settori: che il settore della meccanica avanzata e delle macchine di produzione stesse crescendo a ritmo notevole era già evidente prima di questo ultimo dato del 2016. Io direi che è un segnale di ripresa che testimonia che l’industria è competitiva a livello internazionale in un contesto che però non è mai stato così incerto. Le nostre imprese sanno muoversi nelle incertezze. Faccio fatica a credere che sia una ripresa generalizzata ma riconosco il segnale di forza di un settore, senza dubbio, che all’interno del Paese ci sia una componente manufatturiera forte ».

Dobbiamo aspettarci un rafforzamento di questa tendenza?  «Piuttosto – dice Bianchi – dobbiamo lavorare per generalizzare questa tendenza. Sono diversi trimestri che la componente industriale cresce e questo è un elemento importante perché molte erano le preoccupazioni in un una fase in cui il commercio internazionale sotto scacco avrebbe potuto rappresentare una minaccia per la competitività. Direi anche che le indicazioni che il governo ha dato su industria 4.0 cominciano ad avere effetti e si comincia ad allargare la crescita del sistema produttivo.»

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«Faccio fatica a credere che sia una ripresa generalizzata ma riconosco il segnale di forza di un settore, senza dubbio, che all’interno del Paese ci sia una componente manufatturiera forte. Dobbiamo lavorare per generalizzare questa tendenza»

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«Andiamo avanti con una politica industriale che sia rivolta a internazionalizzazione e consolidamento del sistema tecnologico. Una politica spinta su innovazione e diffusione dei sistemi innovativi per rafforzare i sistemi produttivi: un buon esempio è il settore del pharma che è riuscito a uscire dalle difficoltà e oggi è formato da una serie di operatori forti nati tramite consolidamenti interni. Si tratta di un settore che spende il 20% del fatturato in ricerca e sta diventando un riferimento nel mondo. Così l’automotive, le case italiane di lusso, come Ferrari e Lamborghini, stanno crescendo a livello internazionale grazie all’alta tecnologia ».

Marco Taisch
Marco Taisch

Marco Taisch: le conferme? Con i dati del primo trimestre 2017

Insomma, per tirare le fila del discorso, non è ripresa, ma quasi. E con i numeri dei primi mesi del 2017 si capirà quanto forte e consolidata per fare un primo bilancio dopo l’estate.  «Mi auguro che dicembre abbia segnato l’inizio di una inversione di tendenza – dice Marco Taisch, professore di sistemi di lavoro automatizzati al Politecnico di Milano – ma temo che il dato sia strettamente dipendente dal record sull’export. Ci troviamo in un mondo che sta abbastanza crescendo con una domanda interna che è ancora piatta. Le imprese ambiziose che hanno capito questo si sono messe ad aggredire i mercati internazionali. L’aumento della produzione va inquadrato in quest’ottica.»

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«Temo che il dato sia strettamente dipendente dal record sull’export. Ci troviamo in un mondo che sta abbastanza crescendo con una domanda interna che è ancora piatta. Le imprese ambiziose che hanno capito questo si sono messe ad aggredire i mercati internazionali.»

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«Il secondo fattore è che le imprese si stanno preparando ad accogliere l’ondata del piano Calenda. Che è stato presentato a settembre, e dunque c’è stato già un trimestre per organizzarsi: questa è una buona notizia, vuol dire che iniziano a vedersi, da subito, gli effetti sperati”. Ma per tirare le somme bisognerà aspettare qualche conferma.  «La via è tracciata – continua Taisch – ma bisognerà attendere il prossimo ottobre per capire se si procederà nella medesima direzione. Le previsioni che ci vengono fatte non stanno tenendo ancora conto dell’impatto che avrà il piano: sono stime prudenziali.»

«L’impatto sicuro è l’aumento di investimenti in asset da 80-90 miliardi grazie all’incentivo fiscale. E questo potrà avere un impatto sul PIL che potrebbe cambiare il quadro a fine 2017. Senza considerare che basarsi sul solo dato di dicembre può essere fuorviante: c’è un effetto stagionale, e a volte anche le riscossioni fiscali lo influenzano. Aspettiamo almeno gennaio febbraio per avere un quadro più chiaro: poi le dichiarazioni di Trump e del leader cinese al World Economic Forum possono incidere sulla propensione al rischio delle imprese: anche questo andrà valutato ».














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