La sfida epocale del governo Draghi: congedare le imprese zombie senza fare macelleria sociale

di Luca Beltrametti* ♦︎ Il neo-premier deve sciogliere i nodi su come spendere i fondi del Next Generation Ue. Per farlo al meglio, conviene guardare anche in Francia, con i "cugini" che hanno sei mesi di vantaggio e le idee molto più chiare. Tra gli incentivi da rimodulare e un sistema delle imprese da ripensare, un punto fermo: si riparte dalla manifattura

Sono tanti 210 miliardi di euro? Dipende. Il precedente governo si attribuiva il merito di avere ottenuto una somma particolarmente grande e così, in larga misura, è. In termini di grants in rapporto al PIL l’Italia riceve circa il 5% contro il 3% della media dell’area euro e si colloca al 7° posto tra i 19 paesi dell’area; se ci si limita a considerare i paesi di maggiori dimensioni, solo la Spagna riceve una quota maggiore in rapporto al PIL. Se si assume, seguendo Darvas (2020), che solo i 17 paesi che hanno deciso di accedere ai fondi SURE chiedano di ricevere i prestiti del Next Generation EU e si assume che tali paesi accedano ai prestiti nella massima misura possibile (6,8% del PIL), il nostro Paese arriva a ricevere una somma complessiva pari a circa l’11,8% del PIL contro una media dell’area euro del 5,1%.

La notevole dimensione dell’aiuto europeo da un lato riflette una buona capacità negoziale del nostro precedente governo, dall’altra sancisce il riconoscimento della gravità della situazione italiana e dell’incapacità del nostro Paese di finanziare con risorse proprie – pur con l’eccezionale supporto della BCE – i grandi interventi oggi necessari. Di qui l’estrema importanza della tempestività e della qualità della gestione di tali fondi da parte italiana. Bene dunque ha fatto il Presidente Draghi a porre tale questione sotto la responsabilità del Ministro del Tesoro e delle Finanze Franco, persona di grande competenza e di sua strettissima fiducia. La “Proposta di piano nazionale di ripresa e resilienza” presentata dal precedente governo il 15 gennaio 2021 è stata diffusamente giudicata tardiva (per esempio, il piano “France Relance” reca la data del 3 settembre 2020!) e del tutto inadeguata nei contenuti.







Mario Draghi

Nell’attesa di conoscere nelle prossime settimane i dettagli del piano che il nuovo governo dovrà precipitosamente elaborare può essere utile considerare brevemente le caratteristiche del piano dei nostri “cugini” francesi, spesso considerati in materia i “primi della classe”. La massa di denaro a disposizione del governo francese è in valore assoluto, circa la metà di quella dell’Italia (circa €100 bn, meno della metà dei quali di fonte europea) e la struttura del compito svolto dai francesi è cartesiana, geometrica. Per ogni misura (esempio, “De-carbonizzazione dell’industria”) vengono forniti nell’ordine: i) un breve preambolo che inquadra la problematica generale; ii) una descrizione tecnica della misura; iii) alcuni esempi concreti di progetti (con luogo di implementazione, costo…); iv) una discussione d’impatto che individua gli indicatori per la valutazione ex-post e i territori beneficiari della misura; v) il costo complessivo della misura; vi) il calendario preciso della messa in opera.

Onestamente il piano non sembra scritto da J.M Keynes o da un “Maradona della politica economica” ma è serio, dettagliato, scritto con grande professionalità ed è permeato in ogni sua parte dall’idea che la crisi è anche un’opportunità e che la digitalizzazione è strumento essenziale per la tutela dell’ambiente. In particolare, con riferimento all’industria, il piano individua filiere aero-spazio e auto i principali settori nei quali la Francia punta ad una eccellenza assoluta. In entrambi i casi non si tratta di ambizioni velleitarie: nell’aero-spazio l’eccellenza francese è fuori discussione (si pensi alla capacità unica in Europa di lanciare satelliti e al colosso Airbus, oltre al gruppo Dassault); nel settore dell’auto le ambizioni francesi sono credibili dopo che PSA ha acquisito un controllo di fatto su FCA.

Al riguardo, il piano individua tre ampi obiettivi: a) conservazione delle competenze e aumento della competitività delle PMI con un sostegno agli investimenti in nuovi processi e macchinari; b) accelerazione, diversificazione, modernizzazione e trasformazione ambientale attraverso sovvenzioni dirette e consulenze; c) sostegno all’innovazione e all’R&D.

Sono 6 le missioni del Pnrr, che a loro volta raggruppano 16 componenti funzionali a realizzare gli obiettivi economico-sociali definiti nella strategia del Governo. Le componenti si articolano in 47 linee di intervento per progetti omogenei e coerenti. I singoli progetti di investimento sono stati selezionati secondo criteri volti a concentrare gli interventi su quelli trasformativi, a maggiore impatto sull’economia e sul lavoro

Bpifrance (un’istituzione simile alla nostra Cassa Depositi e Prestiti) è diffusamente coinvolta tra l’altro – nell’erogazione di prestiti e nell’attribuzione di garanzie su titoli emessi da fondi che investono in prestiti a lungo termine alle imprese. Il piano prevede anche una robusta riduzione (pari a circa €10bn) della tassazione sulle imprese (che oggi ha un gettito pari a circa €77bn, il 3,2% del PIL) con una compensazione alla perdita di gettito delle regioni grazie all’attribuzione a queste ultime di una parte del gettito IVA.

Il presidente francese Emmanuel Macron in visita allo stand di Faurecia

Su quali linee si muoverà il governo Draghi? Nel suo recente discorso al Senato per la fiducia il Presidente del Consiglio non si è espressamente pronunciato sui temi dell’industria e della manifattura. In tale occasione egli ha tuttavia ribadito l’importanza cruciale dell’innovazione e della digitalizzazione, anche nella prospettiva della trasformazione ambientale.

Con riferimento specifico alle politiche per la digitalizzazione della manifattura, il nuovo governo dovrà valutare se mantenere la logica degli incentivi automatici introdotta dal piano Industria 4.0 o tornare ald una logica di finanziamento di progetti . In quest’ultimo caso il rischio di premiare la capacità relazionale e di lobbying degli imprenditori piuttosto che effettive idee imprenditoriali è sempre in agguato.

Sono note le precedenti affermazioni del Presidente Draghi in merito alla presenza di un “debito buono” contrapposto a uno “cattivo” e alla necessità di tutelare i lavoratori, non necessariamente i posti lavoro. Si tratta ovviamente di affermazioni molto importanti che dovranno però essere declinate in termini concreti. Non sarà per niente facile. La nozione di “debito buono” è associata all’idea che quando lo Stato si indebita per aumentare in modo efficiente lo stock di capitale (fisico e umano) del Paese allora le future generazioni si troveranno ad operare in un’economia più produttiva e quindi potranno gestire agevolmente il debito. Al contrario “cattivo” è quel debito che non genera capitale o che finanzia attività con rendimenti inferiori al tasso di remunerazione del debito stesso.

È ovvio che il confine tra debito “buono” e “cattivo” è molto ambiguo e che ex-ante i rendimenti degli investimenti sono avvolti dall’incertezza se non addirittura soggetti a manipolazioni da parte della politica. Anche l’idea di tutelare i lavoratori lasciando che imprese zombie o imprese operanti in settori obsoleti cessino di esistere ha una sua drammatica suggestione. Il problema di garantire una transizione decorosa dei lavoratori coinvolti verso i settori economici emergenti pone una sfida enorme ai sistemi di welfare e alla politica economica in generale. Chi potrà tirare una linea tra imprese da salvare e imprese che devono essere lasciate al loro destino? Chi potrà individuare i nuovi settori emergenti? Non a caso, il Presidente Draghi ha affermato in Senato che “il ruolo dello Stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione”. Si tratta davvero di una sfida dura, anche per un leader di livello assoluto.

Recovery Fund

*Luca Beltrametti è docente di politica economica all’Università di Genova














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