Credito di imposta 5.0: cambia la value proposition. La guida agli incentivi di Alessandro Rivolta (Pirola Corporate Finance)

di Barbara Weisz ♦︎ Il DL mette sul piatto 6,3 miliardi di euro in agevolazioni. Il credito d'imposta (35%, 40 o 45%) sarà basato sul risparmio energetico. Fra i beni materiali incentivati gli impianti di autoproduzione e di stoccaggio. Un meccanismo pensato per le per pmi: con l’aumentare dell’investimento il credito d’imposta diminuisce. Ma se le grandi aziende lo utilizzeranno massicciamente...

Il credito d’imposta 5.0 sugli investimenti in macchinari e software per l’efficienza energetica decresce con l’aumentare dell’investimento. Il meccanismo è evidentemente pensato per andare incontro a organizzazioni con meno capacità di spesa, come le piccole e medie imprese. Ma se le grandi aziende utilizzeranno massicciamente l’incentivo, il rischio è che per le pmi resti poco o niente. Su un investimento di 50 milioni di euro l’agevolazione è al 45% (22,5 milioni di euro), quindi «bastano poco più di 40 aziende per arrivare a 1 miliardo, un sesto del plafond totale» osserva Alessandro Rivolta, partner di Pirola Corporate Finance, intervistato da Industria Italiana per  proporre alle imprese un’analisi del Piano 5.0.

Contenuto nell’articolo 38 del decreto 19/2024, in vigore dal 2 marzo scorso (ma per farlo partire bisogna attendere i decreti attuativi), incentiva l’acquisto di beni strumentali nuovi, materiali e immateriali, che producono un risparmio energetico. È un credito d’imposta (35%, 40 o 45%), e cresce in modo proporzionale alla riduzione dei consumi. Il requisito minimo è pari a un risparmio energetico anno su anno del 3% per l’intera fabbrica o del 5% per l’impianto a cui è destinato il bene acquistato, e corrisponde al livello più basso di agevolazione, il 35%. A fronte invece di una riduzione dei consumi del 10%, oppure del 15% se riferita al singolo processo, il credito d’imposta sale al 45%.







Alessandro Rivolta, partner di Pirola Corporate Finance

È a quest’ultima fascia che si riferisce l’esperto di grant and debt advisory quando evidenzia il rischio di un eccessivo sbilanciamento sul segmento big corporate. In realtà, qui si inserisce un altro elemento: le aziende che negli ultimi anni hanno già fatto investimenti in nuove tecnologie e hanno sistemi di produzione connessi e avanzati, potrebbero non avere un grosso interesse a utilizzare questo nuovo credito d’imposta. La criticità è emblematicamente espressa in questa domanda: «per avere un risparmio energetico del 5%, conviene o meno un investimento di 1 milione di euro?». L’incentivo potrebbe essere maggiormente appetibile per chi invece non ha ancora intrapreso un percorso di digitalizzazione, perché le tecnologie ammesse sono le stesse già ricomprese nel Piano 4.0, quindi abilitano la produttività (come vedremo, con l’aggiunto di nuove tipologie di software abilitanti il risparmio energetico e di sistema di autoproduzione di energia elettrica), ma il credito d’imposta 5.0 è più alto.

Fra i punti a favore, la previsione di specifiche certificazioni: le imprese devono prima attestare la riduzione dei consumi che intendono perseguire, poi fornire altra documentazione sul modo in cui procede l’implementazione, e infine presentare una certificazione ex post a conferma degli obiettivi raggiunti. È un iter coerente con le finalità del Piano, «purché non comporti alla fine costi ulteriori per le imprese», aggiunge l’esperto.

Vediamo esattamente come funzionano i crediti d’imposta 5.0, cercando di capire a quali tipologie di imprese potrebbero maggiormente convenire.

Come funziona il credito d’imposta 5.0: il meccanismo delle aliquote

Gli investimenti devono essere effettuati nel 2024 o nel 2025 e riguardare impianti produttivi in Italia. Il credito d’imposta come detto va dal 35% al 45% dell’investimento: ci sono tre fasce, basate sul risparmio energetico (il requisito minimo è una riduzione dei consumi del 3% riferita all’intero impianto, o del 5% in relazione invece al singolo processo produttivo). Ognuna delle tre fasce è ulteriormente modulata in base all’entità della spesa che viene effettuata dall’azienda. Ecco con precisione tutte le percentuali:

Investimento Credito d’imposta:

riduzione dei consumi del 3%, o del 5% sul singolo impianto

Credito d’imposta:

Riduzione dei consumi del 6%, o del 10% sul singolo impianto

Credito d’imposta:

Riduzione consumi del 10%, oppure del 15% sul singolo impianto

Fino a 2,5 milioni di euro 35% 40% 45%
Da 2,5 a 10 milioni di euro 15% 20% 25%
Da 10 a 50 milioni di euro 5% 10% 15%

(Le aliquote sopra i 2,5 milioni si applicano sempre sulla parte eccedente)

La riduzione dei consumi è riproporzionata su base annuale, viene calcolata con riferimento ai consumi energetici registrati nell’esercizio precedente a quello di avvio degli investimenti, al netto delle variazioni dei volumi produttivi e delle condizioni esterne che influiscono sul consumo energetico. Per le imprese di nuova costituzione, il risparmio energetico conseguito è calcolato rispetto ai consumi energetici medi annui riferibili a uno scenario controfattuale, individuato secondo i criteri definiti con apposito decreto ministeriale attuativo.

Una criticità sulla fascia di agevolazione più alta

E qui ci sono una serie di considerazioni, relative in particolare al livello di risparmio energetico più alto. Da una parte, come detto, «se gli investimenti significativi dovessero essere rilevanti, rischierebbe di esaurirsi ben presto il plafond di 6,3 milioni». Perché appunto su un investimento da 50 milioni (il tetto massimo agevolabile) il credito d’imposta del 45% è pari a 22 milioni e mezzo. Significa che «40 aziende assorbono 1 miliardo sui 6 a disposizione».

D’altra parte, in realtà proprio questa fascia di incentivi rischia di essere la meno percorribile. «Non so quanto sia probabile conseguire un risparmio energetico del 10 o 15%, soprattutto considerando che in questi anni le aziende hanno spesso rinnovato il parco macchinari», utilizzando i diversi incentivi a disposizione. Chi non lo ha fatto, investendo adesso «può più facilmente ottenere questo significativo risparmio energetico». Ma le aziende che invece «in questi anni hanno usato altre agevolazioni, non so quanto riusciranno a utilizzare il contributo massimo».

Per il resto, «il meccanismo a scaglioni è una scelta di buon senso: va incontro al mondo delle pmi, numericamente importante in Italia. Le risorse sono limitate» (il piano vale appunto 6,3 miliardi di euro) quindi è corretta una modulazione a favore di chi ha meno capacità di investimento. «Anche perché c’è una nuova procedura di prenotazione che potrebbe a sua volta rappresentare una complicazione per le imprese meno strutturate. «La grande azienda è spesso affiancata da professionisti qualificati e con esperienza, e quindi può muoversi con velocità, fagocitando le disponibilità finanziarie del Piano a discapito delle piccole imprese».

Come si chiede l’incentivo: il meccanismo delle certificazioni

Il Piano 5.0 incentiva sistemi di autoproduzione e accumulo, ma sono escluse le biomasse. I moduli fotovoltaici ammessi devono essere prodotti in Ue e rispondere a requisiti minimi di efficienza.

E siamo alle procedure, che in effetti rappresentano una novità rispetto a quanto previsto dal credito d’imposta 4.0. che pure prevedeva molta documentazione, ma non la presentazione di una domanda e un tetto massimo di risorse.
Le imprese presentano la domanda in via telematica utilizzando un modello messo a disposizione dal Gse, il gestore dei servizi energetici. Deve essere allegata apposita certificazione, rilasciata da un valutatore indipendente, che attesta ex ante la riduzione dei consumi perseguibili. E una comunicazione con la descrizione del progetto di investimento e il costo dello stesso. Il Gse trasmette quotidianamente al Mimit l’elenco delle aziende che hanno fatto domanda, e gli importi prenotati. La procedura non si esaurisce in questo momento. Bisogna inviare comunicazioni periodiche sull’implementazione del progetto (le modalità saranno definite dal decreto attuativo), ed è in base a queste che si determina poi definitivamente il credito d’imposta spettante (nel limite massimo di quello prenotato). Infine, serve una comunicazione ex post per confermare il completamento il conseguimento del risparmio energetico. A questo punto, le cifre diventano certe, e il Gse trasmette all’Agenzia delle entrate, con modalità telematiche, l’elenco delle imprese beneficiarie e l’ammontare del relativo credito d’imposta. Che diventa utilizzabile dopo cinque giorni da quest’ultimo passaggio, esclusivamente in compensazione, con F24 telematico, entro il 31 dicembre 2025. Dopo questa data, va ripartito in cinque rate annuali di pari importo.

«Il meccanismo di prenotazione – rileva Rivolta -, è pensato in funzione del fatto che c’è un limite alle risorse, e in qualche modo incamera la consapevolezza che esiste la possibilità di raggiungerlo». E anche la parte documentale richiesta, quindi «certificazione ex ante, ex post, due invii documentali, hanno un senso in considerazione della finalità dell’incentivo». L’augurio, sottolinea Rivolta, è che «quando capiremo meglio gli aspetti operativi, non risultino aggravi di costi per le imprese». Sottolineiamo a questo proposito che per le pmi è previsto un aumento del credito d’imposta fino a 10mila euro per le spese di certificazione.

Quali sono i macchinari ammessi al credito d’imposta

Fra i beni materiali, ovvero i macchinari, a quelli già previsto dal Piano Transizione 4.0 si aggiungono gli impianti di autoproduzione di energia e quelli di stoccaggio dell’energia prodotta. Non sono comprese le biomasse.

È agevolato l’acquisto di tutti i beni materiali (macchinari) e immateriali (software) già ammessi all’agevolazione 4.0 (l’elenco è dettagliato negli allegati A e B della legge 232/2016). Devono essere interconnessi al sistema aziendale di gestione della produzione o alla rete di fornitura e abilitare i consumi energetici previsti dagli scaglioni sopra elencati. Il decreto specifica che fra i software sono compresi:

  • programmi, sistemi, piattaforme o applicazioni per l’intelligenza degli impianti che garantiscono il monitoraggio continuo e la visualizzazione dei consumi energetici e dell’energia autoprodotta e autoconsumata, o introducono meccanismi di efficienza energetica, attraverso la raccolta e l’elaborazione dei dati anche provenienti dalla sensoristica IoT di campo (Energy Dashboarding);
  • i software relativi alla gestione di impresa, solo se acquistati unitamente ai software, ai sistemi o alle piattaforme precedentemente elencati. Su quest’ultimo punto saranno utili i chiarimenti delle circolari applicative dell’Agenzia delle entrate, in base alla formulazione della norma par di capire che sia agevolato l’acquisto di un semplice gestionale, se collegato ai software per il monitoraggio energetico.

Fra i beni materiali, ovvero i macchinari, a quelli già previsto dal Piano Transizione 4.0 si aggiungono gli impianti di autoproduzione di energia e quelli di stoccaggio dell’energia prodotta. Non sono comprese le biomasse. I moduli fotovoltaici devono essere ricompresi fra quelli di cui all’articolo 12, comma 1, lettere a), b) e c) del Decreto Legge 181/2023 (prodotti in Ue, con efficienza a livello di modulo almeno pari al 21,5%, a livello di cella almeno pari al 23,5%, oppure se composti da celle bifacciali ad eterogiunzione di silicio o tandem con un’efficienza di cella almeno pari al 24%). Gli impianti con celle concorrono a formare la base di calcolo del credito d’imposta per un importo pari al 120 o 140% (quindi aumentano il valore dell’investimento, su cui poi si applicano le aliquote).

Infine, è agevolata anche la formazione, nel limite del 10% degli investimenti effettuati e fino al tetto di 300mila euro (quindi, per esempio, un investimento da 2,5 milioni di euro, può contenere spese di formazione per 250mila euro). Il training deve essere finalizzato all’acquisizione o  al consolidamento delle competenze nelle tecnologie rilevanti per la transizione digitale e energetica dei processi produttivi, le attività formative devono essere erogate da soggetti esterni individuati da decreto attuativo.

Incentivi 4.0 vs 5.0, cambia la value proposition

Adolfo Urso, Ministro delle Imprese e del Made in Italy. Il decreto attuativo mimit, è previsto entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto, quindi entro il 1° aprile. Deve anche entrare in funzione una piattaforma informatica, gestita sempre dal Mimit.

Semplificando molto, si potrebbe dire che il Piano 5.0 incentiva l’acquisto di beni digitali che producono anche un risparmio energetico, oltre che l’autoproduzione di energia. E qui c’è un’ultima considerazione di Rivolta legata appunto all’appetibilità del credito d’imposta rispetto agli incentivi 4.0. «Un conto è un’operazione che massimizza l’efficienza produttiva, come il credito d’imposta Transizione 4.0, per cui attraverso l’acquisto di impianti e macchinari, anche costosi, è stata aumentata la produttività dell’impresa. Un altro conto è invece un’iniziativa con un valore di sostenibilità energetica. È diversa la value proposition. Nel periodo di maggior incremento dei costi energetici avrebbe probabilmente riscosso un interesse immediato, visto il caro energia». Ma oggi la situazione è diversa. In soldoni, «per avere un risparmio energetico del 5%, che mi comporta un investimento di 1 milione di euro, in quanti anni recupero l’investimento al netto del credito d’imposta?».

Si torna alle considerazioni sopra riportate. Visto che i beni ammessi sono in gran parte gli stessi previsti dal Piano 4.0, chi non ha ancora investito nella digitalizzazione ha l’occasione di farlo con un creduto d’imposta più alto, se fa un progetto che comporta anche un risparmio energetico. Una grande azienda, con impianti energivori, può a sua volta avere una convenienza. Ma tutte le imprese che hanno già impianti digitalizzati più difficilmente faranno ulteriori spese sproporzionate all’eventuale vantaggio in termini anche di risparmio sui costi o di aumento della produttività.

Quindi c’è o no il rischio che alla fine questi incentivi vadano a vantaggio di poche realtà di grandi dimensioni, piuttosto che abilitare la trasformazione green del sistema imprenditoriale italiano? «Risposta complicata, proprio per il discorso che facevamo relativo al fatto che nell’ultimo triennio le aziende hanno già fatto molti investimenti nel parco macchine e nella digitalizzazione. Aggiungiamo che quest’anno non so quante aziende saranno in grado di avviare nuovi piani di investimento a fronte di una minore disponibilità a concedere credito da parte delle banche e dell’elevato costo del denaro».

L’attesa del Piano ha determinato uno stallo di qualche mese

È comunque positivo il fatto che alla fine il Piano sia arrivato, perché gli annunci e l’attesa degli ultimi mesi avevano provocato una situazione di stallo. «Prima si parlava di inserire il Piano in manovra, poi nel decreto Energia di inizio febbraio. A un certo punto abbiamo iniziato a dubitare». I rinvii hanno avuto un impatto, con un «rallentamento significativo sia sul fronte delle richieste di finanziamento sia sulle decisioni di investimento. Ora invece abbiamo il Piano, conosciamo l’entità dei crediti d’imposta, e quindi le imprese possono fare le scelte con i dati alla mano».

Concludiamo con una precisazione sulle tempistiche. Il decreto attuativo del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, presieduto dal ministro Adolfo Urso, che conterrà i chiarimenti sul meccanismo delle comunicazioni al Gse, i criteri per determinare il risparmio energetico, le procedure di fruizione dell’agevolazione e quelle sui controlli, i requisiti dei soggetti autorizzati a rilasciare le certificazioni, dettagli e specifiche sugli investimenti ammessi, le modalità del monitoraggio sule risorse disponibili, è previsto entro 30 giorni dall’entrata in vigore del decreto, quindi entro il primo aprile. Deve anche entrare in funzione una piattaforma informatica, gestita sempre dal Mimit, per l’attività di monitoraggio e controllo sull’andamento della misura agevolativa. Ci saranno, come di consueto, le circolari operative dell’Agenzia delle entrate per i dettagli su spese ammesse e utilizzo dei crediti di imposta. E il Gse deve stipulare una convenzione con il Mimit per la gestione delle domande, delle comunicazioni, la rendicontazione di investimenti e agevolazioni spettanti, effettuazione delle verifiche sulla documentazione.














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