Che cosa ci serve sapere sulla Cina che nell’era Covid continua a crescere

di Laura Magna ♦︎ Solo il Paese del Dragone ha chiuso il 2020 con una variazione positiva del pil (+2,3%). Perché ha puntato su infrastrutture, istruzione e 4.0. E l’Europa? In caso di guerra digitale tra Usa e Cina verrebbe esclusa dal mero accesso a tecnologie che non possiede perché non produce. Se n’è parlato nel corso di un evento organizzato dal Politecnico di Milano

Se c’è una lezione che la Cina può insegnare all’industria italiana – ed europea – è il segreto della produttività. È grazie al costante aumento di questo fattore – ottenuto attraverso l’aumento dell’automazione – che il Paese è riuscito a contenere i danni del Covid. Chiudendo il 2020 con una variazione positiva del Pil (+2,3%) – unico in tutto il globo. Il 2021, si annuncia di piena ripresa. La Cina non si è mai veramente fermata: e oggi non è più solo la fabbrica del mondo, ma un punto di riferimento assoluto in diverse tecnologie abilitanti la quarta rivoluzione industriale, dall’intelligenza artificiale, ai big data. E sta facendo intravedere al resto del mondo quale direzione prenderà l’economia del futuro.

Come ci è riuscita? Grazie a politiche strutturali mirate pensate negli anni, che hanno puntato sull’istruzione (anziché sulle pensioni) e sullo sviluppo di infrastrutture che oggi non hanno eguali al mondo. Ci è riuscita anche grazie a un modello di innovazione del tutto antitetico rispetto a quello occidentale, basato cioè su start-up che sul mercato crescono procedendo per prove ed errori, senza attendere il prodotto o servizio perfetto prima di mettersi alla prova del cliente finale. Ma anche grazie a ragioni culturali: dall’idea confuciana che la società si debba porre davanti all’individuo, e che rende più accettabile la minor dose di libertà disponibile e il fatto che le informazioni siano sotto il controllo del del partito Comunista. Al netto di questi difetti ci sono molte lezioni che la Cina può insegnare all’Europa.







Ne hanno parlato nel corso di un evento organizzato dal Politecnico di Milano, dal significativo titolo “Lezioni cinesi dalla pandemia” alcuni dei massimi esperti italiani di temi cinesi, tra cui il professor Francesco Grillo, direttore del Think tank Vision, Docente all’Uibe di Pechino e affiliato al Sant’Anna di Pisa; Giuliano Noci, prorettore per la Cina, Politecnico di Milano e Lucia Tajoli, professoressa di Politica economica, School of Management Politecnico di Milano.

 

La super efficienza cinese (che non ha uguali in Occidente)

Francesco Grillo, direttore del Think tank Vision, Docente all’Uibe di Pechino e affiliato al Sant’Anna di Pisa

Per capire come ha fatto la Cina a non subire gli stessi danni che hanno subito praticamente tutti gli altri Paesi del mondo, bisogna analizzare le caratteristiche strutturali della sua economia. La prima è che, mentre negli ultimi trent’anni la produttività nei G7 crollava, a Pechino e dintorni cresceva esponenzialmente all’avanzamento della tecnologia. «La Cina non è stata vittima del paradosso dell’informazione», sostiene Grillo: «secondo la legge di Moore il costo unitario per processare e trasmettere informazioni si dimezza ogni 18 mesi: il paradosso sta nel fatto che nei G7 non si è verificato il postulato che all’aumentare della quantità di informazione disponibile e dunque di automazione, aumenti la produttività media del lavoro».

In Occidente è successo esattamente l’opposto e tutta la debole crescita del Pil a partire dal 2007 è derivata dall’aumento della quantità del lavoro. La Cina, persino negli ultimi dieci anni in cui i tassi di crescita del Pil si sono ammorbiditi rispetto al decennio precedente, ha conservato intatto il suo vantaggio in termini di aggiunta di produttività al sistema. «La dimensione dell’economia cinese è raddoppiata in dieci anni con la stessa forza lavoro – continua Grillo – E se vogliamo essere sospettosi riguardo al dato del Pil, che è evidentemente manipolabile, possiamo puntare lo sguardo su parametri diversi e più oggettivi e osservare progressi anche più significativi. La Cina primeggia, per esempio, in termini di speranza di vita media, che oggi è la stessa per un bambino cinese e per uno Usa, anche se negli Usa la spesa pubblica sanitaria è di 30 volte superiore. Secondo le statistiche sul numero di persone uscire dalla povertà, per i ¾ il miglioramento dipende dalla Cina».

 

L’Europa produttiva, una formica che rischia di rimanere schiacciata tra due Titani

Se guardiamo più precisamente all’industria, emerge come la Cina abbia scalzato del tutto l’Europa e la sfida oggi veda in campo solo Cina e Usa. È evidente solo guardando all’elenco delle aziende più capitalizzate al mondo: la più grande corporation in assoluto è Saudi Aramco, nel settore petrolifero, e a seguire c’è tutto il mondo di Internet che nel 2020 ha raddoppiato la sua dimensione. Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet, Alibaba, Facebbok, Tencent, Berkshire Hathaway, Visa. In questa classifica la prima europea è 41esima, la Hong Kong Shanghai Bank (di fatto molto poco europea, tale solo perché ha la sede a Londra). È evidente che la sfida tra colossi si giochi tutta tra Cina e Usa. E questo vale anche sul fronte degli Unicorni e dunque dell’innovazione: le start-up che hanno raggiunto una valorizzazione di un miliardo di dollari (secondo la definizione di unicorno) sono 227 contro le 233 Usa. Le europee sono solo 28 «e tutte le start-up italiane, per quanto interessanti, messe insieme non fanno un solo unicorno», precisa Grillo.

PRIME DIECI AZIENDE PER CAPITALIZZAZIONE DI MERCATO (A SINISTRA) E DISTRIBUZIONE DI UNICORNO (START UP IL CUI VALORE È SUPERIORE A UN MILIARDO DI USD, 2020) PER PAESE (A DESTRA).Fonte Politecnico di Milano School of Management

Le opportunità che restano al Vecchio Continente

Allora l’Europa deve puntare alla costruzione di un dialogo se vuole aspirare a conservare un ruolo nello scacchiere globale. Lo spiega Tajoili: «Resta aperta la questione delle trade war, anche se i toni con il nuovo presidente Joe Biden si sono abbassati. La Cina sta comunque cercando di avere un ruolo attivo sullo scacchiere globale in Asia, in Africa e di recente in Europa. Il maggior rischio per l’Europa, se si innesca una guerra digitale tra Usa e Cina è proprio quello di venire tagliata fuori dal mero accesso a tecnologie che non possiede perché semplicemente non produce». Nelle tecnologie digitali, uno dei punti di forza è proprio il fatto di poter scambiare a livello mondiale, «una cortina di ferro tra mondo cinese e Usa, lascerebbe l’Europa in mezzo, nella scomodissima posizione di dover scegliere o duplicare le tecnologie. Questo è il maggior pericolo ma anche una delle cose che gli Usa vogliono evitare. Ma il fatto che l’Europa non stia prendendo posizione è un male». Dunque l’Europa rischia di uscire davvero con le ossa rotte e la Cina è sempre più forte.

Tassi di crescita della produttività (G7,%). Fonte Politecnico di Milano School of Management

I punti di forza che hanno consentito a Pechino di vincere

Lucia Tajoli, professoressa di Politica economica, School of Management Politecnico di Milano

La forza cinese deriva anche «da ragioni puramente economiche e congiunturali, che spiegano perché il Paese si sia dimostrato più resiliente», spiega Tajoli. «Sono tre gli elementi che hanno protetto il Paese: il primo è che la Cina, pur avendo alcuni settori dei servizi molto sviluppati, ha un’economia in grande misura ancora basata sulla componente manifatturiera. La pandemia ha colpito i servizi in modo molto più violento e questo ha reso la crisi asimmetrica. Il Pil di Europa e Usa sui basa per il 70% circa sui servizi, che sono stati in molti casi del tutto bloccati per mesi. Le fabbriche hanno dovuto serrare le linee ma solo per 8 settimane tra marzo e aprile 2020 e comunque in maniera selettiva. Questo ha reso le economie basate sull’industria, la Cina, ma anche la Germania guardando più vicino a noi, più capaci di resistere alle batoste».

Il secondo elemento è che se si guarda alle componenti del Pil, si nota che La Cina non basi la crescita sul consumo aggregato (la spesa in consumo di tutte le famiglie e imprese che fanno parte di un sistema economico) che, ancora una volta, è fondamentale per definire le traiettorie di crescita delle economie europee ed è stato fortemente colpito dalla caduta verticale dei consumi a causa dei lockdown. Infine la forte globalizzazione che l’economia cinese ha avuto negli ultimi 20-25 anni, non ha impedito al Paese di diversificare i mercati di sbocco e di fornitura, pur avendo il vantaggio di un mercato interno enorme. «Pechino si trova così ad avere una rete di connessioni economiche internazionali che consentono di switchare rapidamente laddove non si presentino cali di fatturato o di domanda. È una rete diversificata e complessa che ha sviluppato in maniera attenta e questo aumenta la resilienza di fronte a uno choc come quello sperimentato». Non è inoltre un’economia basata sull’export, altro punto dolente in pandemia: l’export conta per il 14% del Pil contro il 35-40% della Germania. Se si chiudessero domani Europa e Usa la Cina perderebbe solo il 2% del suo prodotto interno lordo.

 

La forza cinese? Si basa su infrastrutture e giovani

I segreti del successo cinese sono dunque diversi: la centralizzazione del potere politico, la composizione del Pil e fattori strutturali legati allo sviluppo. Lo spiega ancora Grillo: «Le infrastrutture, per esempio: la Cina ha un terzo di tutte le metro del mondo, due terzi di tutti i sistemi di treni tav, che sono infrastrutture minime per entrare nel futuro». Inoltre il Paese dà un diverso valore al futuro, «noi spendiamo in pensione 4 volte di più di quello che spendiamo in education: loro fanno l’opposto, e non è un caso che i ragazzi cinesi siano al primo posto nelle classifiche dell’Ocse per competenze scientifiche e matematiche e per comprensione di testo».

Infine, la Cina ha trasformato quello che era uno svantaggio di informazione del pianificatore in un vantaggio: Internet è un vero sistema nervoso della società, attraverso il quale «viene represso il dissenso ma si indentificano le opportunità; si utilizzano startup e aziende lanciandole in competizione su precisi obiettivi. Le riforme non vengono fatte sulla carta e validate per tutto il territorio ma con molte sperimentazioni diverse, l’innovazione la considerano figlia della necessità».

Negli ultimi dieci anni di relativo rallentamento, la Cina ha raddoppiato la propria economia (+ 102%) impiegando lo stesso numero di individui (757 milioni di persone). Fonte Politecnico di Milano School of Management

È la fine del modello delle democrazie liberali?

Restano ovviamente in campo moltissime sfide: la Cina è tutt’altro che un Paese perfetto: «non è una società aperta sul fronte finanziario – continua Grillo – ed è l’unico Paese al mondo, insieme al Vaticano, che non ha mai conosciuto elezioni politiche: ma questi dati fanno riflettere sulla sostenibilità del modello occidentale. I numeri evidenziamo che quanto più sembriamo andare verso un paradigma di democrazia liberare tanto più i tassi di crescita del Pil dal 1996 crescono meno».

Un dato che sostanzia la crisi delle democrazie liberi e che indica come la rivoluzione technology driven che la Cina sta guidando sia in realtà una mutazione genetica dell’economia, diversa dalle precedenti rivoluzioni industriali. Ovvero qualcosa che come l’invenzione della stampa di Gutenberg «ricolloca l’informazione, che è potere: con la stampa si erano disintermediate la chiesa e le monarchie, portando a Lutero e al trionfo delle future democrazie liberali. Nel 1969 1969? sicuro? c’è Arpanet, il progenitore di Internet, che ricolloca l’informazione e probabilmente riconfigurare le forme attraverso cui si acquisisce, si gestisce e si perde il potere e questo mette in crisi la democrazia liberale».

Numero di persone che vivono sotto la soglia di povertà (2 USD al giorno)

La capacità di raccogliere e processare dati non ha eguali al mondo

Giuliano Noci, prorettore per la Cina, Politecnico di Milano

C’è da dire però che proprio perché dominata da un regime dittatoriale, la Cina non è stata tempestiva nella comunicazione al mondo della emergenza Covid mentre montava. Vale la pena chiedersi se un Paese con questa struttura possa considerarsi tra gli innovatori del mondo La risposta è in chiaroscuro, secondo il professor Noci. «Ci sono ambiti che la qualificano più avanti degli Usa nel mondo della trasformazione digitale, che è la più grande trasformazione dell’industria. Nell’Ai e nei big data, per esempio, la Cina ha superato gli Usa, grazie a una capacità unica di raccogliere e processare dati, che dipende sicuramente dalla organizzazione politica e dal fatto che la privacy non sia un tema».

Dal 2013, inoltre, la Cina è uscita da una dimensione puramente quantitativa. Con l’arrivo di Xi Jinping e il varo della politica Made in Cina 2025 il Paese vira verso l’innovazione resa peraltro necessaria da fattori di contesto. «Il più importante è che nonostante l’efficienza logistica il costo del lavoro si è moltiplicato e la Cina non è più così tanto competitiva da quel punto di vista. Allora deve puntare su altro, combinando per esempio la dimensione di efficienza logistica con la dimensione della qualità delle maestranze che pur essendo variabile ha un livello medio nettamente più alto rispetto all’Asia nel suo complesso».

 

Il modello di business vincente dell’innovazione cinese

C’è poi un tratto ancora più rilevante che spiega perché la Cina sulle tecnologie digitali sia in una posizione di rilievo: il modo in cui affronta i processi di innovazione. Nel mondo occidentale si sviluppano processi di innovazione sulla base della funziona logistica: ovvero nella fase iniziale si raccolgono capitali per mettere a punto il prodotto o servizio, migliorarne la qualità e diminuirne i costi.

«In questo approccio l’innovazione viene rilasciata solo nel momento in cui si ha confidenza che gli attributi funzionali del prodotto/servizio garantiscano superiorità sulla concorrenza, ovvero al picco del processo di innovazione quando le possibilità di ulteriore miglioramento di costi o efficienta sono esauriti. Questo limita la crescita – dice Noci – La Cina inverte il paradigma: l’obiettivo è arrivare il prima possibile sul mercato con un prodotto anche parziale e fare scale up anche finanziaria sul campo». Così, per esempio, Wechat e Alibaba sono partiti con servizi meno avanzati dei peer europei, dieci anni dopo sono ecosistemi mostruosi. «Le start-up cinesi vedono non nella tecnologia in sé ma nella scalabilità sul mercato il kpi che consente di fare fundrising finanziario. E questo approccio le ha consentito di diventare leader sulle tecnologie digitali».

DISTRIBUZIONE KM DI METROPOLITANA (dx) E TRENO ALTA VELOCITÀ (SINISTRA), MONDO (2016)

Le sfide aperte nella politica, nella finanza, nell’economia

Restano delle criticità nel sistema Cina, che senza dubbio vanno rilevate. In particolare, secondo Noci, il rapporto tra partito comunista di Pechino e province. «L’apparato cinese è tutt’altro che unitario: parliamo della repubblica più federale del mondo. Dall’entrata della Cina nel Wto molti dei cambiamenti decisi a Pechino non sono stati implementati a livello provinciale dove gli organi del partito tendevano a privilegiare indicatori di occupazione di apertura di nuove fabbriche vendendo terreni e ancora oggi si intravede un disallineamento». La prima sfida è legata dunque alla capacità di rendere coerente a livello di partiti locali quanto deliberato a Pechino in materia di innovazione; la seconda è legata al miglioramento del sistema educativo universitario; la terza a tutta una serie di riforme, da quella finanziaria a quella delle private company, che sono l’humus indispensabile per favorire processi di innovazione distribuita. Alla fine, conclude Noci «la Cina non farà altro che riprendere la sua posizione di potenza mondiale che ha avuto da sempre. Negli ultimi due secoli era stata spinta fuori da questa élite ed era probabilmente quella l’anomalia».














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