Reskilling, upskilling e… la strategia del Cim4.0 per la formazione industriale

di Chiara Volontè ♦︎ Il competence center torinese ha inaugurato due iniziative per aumentare le capacità di manager: l’Academy, che prenderà ufficialmente il via il 6 novembre; e i percorsi di competenza tecnologica. Perché puntare su una nuova cultura d’impresa è l’unico modo per guardare con fiducia al futuro. E se il Recovery Fund sarà speso con saggezza… parla il numero uno del CC Enrico Pisino

Enrico Pisino, ceo di Cim 4.0

«Mai come ora bisogna scommettere sulle competenze per accelerare la transizione digitale. Con questo spirito abbiamo avviato la nostra Academy: per garantire che venissero sviluppate quelle skill che ancora mancano nel mondo imprenditoriale». Enrico Pisino, Ceo del Competence Center Cim4.0 situato a Torino, spiega in un’intervista a Industria Italiana la strategia del Cc in materia di formazione e riqualificazione del personale. La cultura industriale 4.0 ha come pilastri la formazione continua e la conoscenza delle tecnologie applicate, rispondenti ai bisogni reali delle imprese, dalla grande alla micro. Non sono sufficienti assessment, testimonianze di buone pratiche o moduli formativi generalisti, costruiti sui nuovi contenuti tecnologici dell’Industria 4.0: serve una formazione specifica, profonda che partendo dai fabbisogni formativi espressi dalle imprese (gap di conoscenze, di competenze e di profili professionali e manageriali) proponga dei percorsi sartoriali.

Il Cim4.0 ha appena avviato un nuovo progetto che si rivolge a responsabili di area tecnica e manager di divisioni business, dipendenti, imprenditori e professionisti in cerca di riqualificazione, quindi una pluralità di lavoratori che hanno come obiettivo quello di aumentare e valorizzare le proprie competenze al fine di saper gestire e guidare nel modo più profittevole la trasformazione digitale delle aziende italiane. Altra particolarità è data dai trainer ingaggiati: sono stati coinvolti dal Cim4.0 i più importanti protagonisti impegnati nell’ecosistema dell’innovazione internazionale, quindi Tutor dedicati, che seguiranno i partecipanti in tutto il percorso formativo, Technical fellow, Senior specialists, Mentor aziendali, Professori universitari. Questo è stato possibile anche grazie al supporto dei partner del Competence Center, ovvero 23 tra le più grandi aziende manifatturiere o fornitori di tecnologie abilitanti del Paese (4d Engineering; Agilent Technologies Italia; Aizoon Consulting; Avio Aero; Cemas Elettra; Consoft Sistemi; Eni; Fca Italy; Fev Italia; Punch Italia; Illogic; Iren; Italdesign Giugiaro; Leonardo; Merlo; Michelin Italiana; Prima Industrie; Reply; Siemens; SKF Industrie; Stmicroelectronics; Thales Alenia Space Italia; Tim) e due Università (Politecnico e Università di Torino).







Nella nuova Academy? Saranno toccati tutti gli ambiti legati alla trasformazione tecnologica delle imprese, dall’additive manufacturing all’Intelligenza Artificiale, dal Data Analytics alla Cyber Security, per citarne alcuni. L’obiettivo è quello di rendere accessibile l’utilizzo delle tecnologie 4.0 a tutti: dalle Pmi alle grandi aziende. Il costo delle proposte formative potrà essere ammortizzato facendo ricorso a co-finanziamenti, finanza agevolata e partnership. Un’ulteriore iniziativa è rappresentata dai percorsi di competenza tecnologica, che consentono di aumentare la conoscenza in maniera progressiva dalla consapevolezza, con corsi introduttivi, alla specializzazione applicata con corsi avanzati o percorsi completi “sartoriali”. I metodi formativi prevedono corsi in aula, e-learning, uso di laboratori informatici, attività presso le linee pilota (Training On the Job). I primi percorsi pianificati già a partire dal mese di dicembre riguarderanno data science, additive manufacturing, world class manufacturing, predictive maintenance, cyber security, metodi e processi innovativi per l’impresa.

«Nella nostra Academy, sono diversi – aggiunge Pisino – i contenuti che garantiamo alle imprese. Il primo è legato alle capacità di risolvere i problemi e potenziare le competenze, e al design thinking, che non è soltanto uno slogan un po’ vuoto, ma la capacità di risolvere i problemi partendo dalla definizione dei problemi stessi all’interno di un network o di un ecosistema. Ad esempio: l’efficacia della app Immuni è stata limitata e questo mette in evidenza la necessità di sviluppare skill, di affrontare sistemi complessi, di gestire l’interazione tra gli sviluppatori e chi deve garantire la privacy, riducendo gli attriti e incrementando una cultura della trasparenza che porta alla soluzione del problema».

 

Scommettere sulle competenze

La sede di Cim 4.0

Un recente report della Commissione europea, “Up and reskilling in micro and small enterprises” ha evidenziato la difficoltà di riqualificazione del personale soprattutto nelle pmi. E il Covid, in questi casi, rallenterà ulteriormente la fase di transizione verso il digitale. Invece è proprio ora che bisognerebbe puntare sull’aggiornamento del bagaglio di skill «Bisogna scommettere sulle competenze – chiosa Pisino – oggi a maggior ragione, per poter accelerare la transizione al digitale che è stata frenata due volte quest’anno: dal primo lockdown e dalla seconda recrudescenza. E il tema delle pmi, oltre che stare a cuore ai competence center che esistono proprio per favorirne lo sviluppo, dovrebbe interessare tutti. Il digitale può essere la soluzione anche alla oggettiva complessità di migliorarsi e trasformarsi».

In effetti, una delle eredità migliori della quarantena forzata è rappresentata dall’intero processo di reskilling portato avanti attraverso webinar e Mooc (Massive Open Online Courses), ovvero lezioni approfondite dal punto di vista del contenuto. Un’esperienza che potrà essere utilizzata anche in futuro, magari immaginando Mooc ibridi in cui la parte teorica si fonde con quella pratica in laboratorio. E se dovesse persistere l’esigenza di “stare a casa” anche la parte teoricamente da fare in presenza potrebbe essere virtuale, con l’impiego della realtà aumentata, riducendo al minimo necessario la presenza fisica. «Questa – aggiunge il ceo del Cim4.0 – è la modalità più coerente d’insegnamento: chi risponde al fabbisogno di upskilling e reskilling è ancora la grande impresa, che può individuare le risorse a cui concedere il part time o il congedo dal lavoro per svolgere la formazione. Le pmi invece soffrono, non hanno la disponibilità, per questo è fondamentale creare un soggetto come la nuova Academy ricca di momenti di formazione in remoto, in modo da non dover “sradicare” i dipendenti dal posto di lavoro ma limitarne il distacco il più possibile».

 

Il ruolo della neonata Academy

La realtà virtuale è al centro dei progetti del Cim4.0

Sono diversi i contenuti che vengono garantiti alle imprese. Ma più che la quantità, a cambiare profondamente è l’approccio, che al Cim4.0 definiscono di “system thinking” un meccanismo comune a tutti i lavoratori. In quest’ottica, dunque, non ci si rivolge solo a chi opera nell’industria, ma anche a quelli della pubblica amministrazione che sarebbero i destinatari naturali dell’upskilling e del reskilling. «Se vogliamo affrontare questi temi come Paese – ci racconta Pisino – non possiamo prescindere dalla capacità di gestire il problema con un approccio sistemico. Pensare in questo modo vuol dire non fissarsi solo su un’ottica di sviluppo tecnologico, ma anche di problem solving avanzato. Poi c’è un ulteriore step, che è invece quello del recupero del gap tecnologico e delle competenze legate all’industria 4.0: parliamo di tutti gli aspetti digitali, come il data science, l’additive manufacturing, la cybersecurity e cerchiamo di colmare le lacune di competenze e di abilità anche sul fronte strettamente tecnologico».

Infine, i partecipanti dovranno cimentarsi grazie alle competenze apprese a risolvere un problema vero che viene identificato da un’azienda del Cim4.0 o partner del nostro competence center. I tempi sono stretti: entro 5 o 6 giorni bisogna completare il processo di risoluzione del tema proposto. In questo percorso le persone sono supportate da un tutor che suggerisce le modalità di apprendimento, la partecipazione a un corso o a un altro. Infine si arriva alla fase di assessment dopo 350 ore di formazione. «La modalità che abbiamo pensato per la prima classe – aggiunge Pisino – è part time proprio per andare incontro alle esigenze delle pmi, ma in generale di tutte le imprese che non vogliono che i loro dipendenti stacchino per due mesi consecutivi. Diamo la possibilità di sfruttare anche la mezza giornata di sabato per limitare al minimo i possibili disagi. Inoltre abbiamo ritenuto utile, soprattutto in considerazione del momento che stiamo attraversando, assegnare tramite bando pubblico 5 borse di studio destinate ai migliori manager che hanno necessità di ricollocarsi. Questo perché mentre un dipendente viene comunque sostenuto dall’azienda per quanto riguarda i costi, un lavoratore in cerca di nuova occupazione deve investire su se stesso. Da qui la nostra intenzione di offrire un aiuto concreto».

 

System e design thinking

Linea pilota Additive Manufacturing Cim4.0

Il nocciolo della questione, dunque, sta proprio qui: non si tratta soltanto di insegnare alle pmi a usare gli strumenti tecnologici – che pure sono vitali in questo momento storico – ma serve soprattutto operare una profonda rivoluzione culturale che si invera in due parole: system e design thinking. Il mondo del lavoro è cambiato e la comprensione di questo fenomeno è ciò che più manca alle pmi. «La vita lavorativa si è allungata – aggiunge Pisino – e nello stesso tempo le tecnologie e lo sviluppo digitale viaggiano a velocità incredibile, quindi la formazione universitaria non garantisce più le competenze per tutto il tempo in cui si rimarrà sul posto di lavoro. E non basta neanche più la classica formazione “on the job” che tutte le aziende offrono. Bisogna dunque prevedere altre modalità, è un problema mondiale che va poi declinato con le specificità di ogni singolo paese. Nessuno ha un numero di pmi industriali come l’Italia, siamo diversissimi da Germania e Nord America».

Inoltre, bisogna anche ripensare il focus della formazione stessa: non più mero indirizzo verso le tecnologie e le competenze necessarie alla trasformazione digitale, ma un focus sulla persona. Liberare i talenti, realizzare percorsi peculiari per ogni lavoratore. Il digitale può essere la giusta chiave di volta a patto che si impieghino correttamente gli strumenti che ci sono e che permettono di raggiungere una platea mai così vasta.

 

Il Coronavirus come catalizzatore della virtualizzazione della formazione

Linea pilota Digital Factory Cim4.0

Il Covid-19, sembra quasi banale dirlo, ha evidenziato la necessità di una digital transformation che finora era solo embrionale specie in alcuni settori. La formazione online era già ovviamente un asset cui appoggiarsi, ma ora diventa uno strumento imprescindibile e pressoché unico, vista la quasi totale impossibilità di svolgere attività in presenza. «Quando abbiamo avviato la nostra offerta – aggiunge Pisino – abbiamo considerato la possibilità di virtualizzare l’intero processo, ma come leva per rendere più accessibile la formazione. Oggi invece è l’unico modo per permettere alle pmi di potervi accedere. Però c’è un lato positivo: prima della pandemia avevamo pensato a un bacino di 80 partecipanti al massimo per ogni classe. Con l’online siamo arrivati a 200, da ogni regione d’Italia, e abbiamo toccato con mano il potenziale della formazione digitale come “grimaldello”».

La pandemia ha nuovamente accelerato, ma anche quando sembrava più sotto controllo il Cim ha continuato a usare il digitale per svilupparsi, nonostante abbia proseguito nella sua opera di creazione di due linee pilota, una sulla digital factory, l’altra sull’additive manufacturing. Verranno tutte completate e collaudate entro la fine di quest’anno, e la prima edizione dell’Academy partirà ufficialmente il prossimo 6 novembre, con una classe composta da manager di aziende di dimensioni differenti e da lavoratori in fase di ricollocamento. Le risorse assegnate dal Mise al Cim per i progetti di Ricerca Applicata sono state già tutte assegnate tramite due bandi specifici il primo dedicato esclusivamente alle pmi e alle start-up, il secondo dedicato ai partenariati tra grandi imprese, pmi e start-up innovative. I partenariati e le imprese vincitrici hanno avviato i progetti e sono in piena fase di sviluppo delle attività di trasferimento tecnologico.

 

Il Recovery Fund: supportare al ricerca applicata nelle pmi; reskilling e upskilling; linee pilota

Il primo corso di formazione di CIM4.0 Learning Hub

Dei 209 miliardi del fondo Next Generation Ue – tra prestiti e sovvenzioni – l’Italia dovrà necessariamente destinare almeno 35 miliardi alla digital transformation. In che modo si possono destinare queste risorse alle pmi e con che strategia? «Il Recovery Fund – conclude Pisino – deve potenziare i tre pilastri che hanno contraddistinto l’azione del competence center: occorre incrementare il supporto alle pmi sul fronte della ricerca applicata che garantisce il trasferimento tecnologico; bisogna potenziare e supportare, con una grande iniziativa, le aziende nel reskilling e nell’upskilling, oggi molto limitati; sviluppare l’utilizzo delle linee pilota e considerarne nuove con specifici investimenti. In questo modo il Recovery Fund può incrementare le azioni dei competence center sfruttandone tutte le potenzialità. Occorre poi partendo da questa esperienza che per me rappresenta una buona pratica del sistema Paese (pubblico e privato che lavorano e agiscono all’unisono come mai in passato) pensare di supportare, sul fronte della Ricerca Applicata, dei “verticali” ossia quei settori ritenuti strategici (nel senso stretto del termine) per il Paese. Certamente sarà necessario fare delle scelte perché non si possono supportare tutti indistintamente e in egual misura. Occorre che la politica industriale italiana selezioni i settori su cui puntare e essere protagonisti: mobilità sostenibile? Sviluppo energetico? Bisogna supportare le filiere che garantiranno l’eccellenza del Made in Italy nell’ambito delle sfide tracciate dall’Europa».

Dunque, bisogna puntare su comparti ad alta tecnologia, ad elevato impatto dal punto di vista della creazione di nuovi posti di lavoro, che garantiscono il paese in un confronto internazionale. Ma il Recovery Fund non deve puntare al miglioramento dello status quo: deve supportare una vera politica industriale che definisca gli obiettivi strategici. Dare a tutti ne limiterebbe enormemente l’efficacia. D’altronde, ogni Paese ha definito la sua vocazione e la sua politica industriale. Quanto vuole attendere ancora l’Italia?














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