Bosch Vhit: la meccatronica italiana per l’auto elettrica

di Marco de’ Francesco ♦︎ L’azienda di Crema guidata da Corrado La Forgia ha digitalizzato la produzione tramite IoT gateway e algoritmi di Ai. La digital transformation dello stabilimento di Offanengo attraverso Mes e tecnologia Rfid, che emana segnali automatici che si traducono in ordini di trasferimento merci. Così i tempi di smistamento sono tagliati del 20%. Dal 2022 in produzione Elop, pompa meccatronica intelligente per veicoli green. Tra i clienti Fca, VolksWagen, Psa, Ford, General Motors, Daimler, Nissan, Mitsubishi, Jaguar, Dpca

Il gruppo Bosch, colosso mondiale della componentistica per automotive, è impegnato in una conversione green. In particolare, la divisione mobility solutions è sempre più orientata, con corposi investimenti, verso l’elettrificazione, la mobilità autonoma e i sensori. Su questa scia, anche la sede di Offanengo (Crema) di Vhit – azienda parte della divisione – sta sperimentando una profonda metamorfosidalla meccanica alla meccatronica. Dalla realizzazione mensile di 500mila pompe ad olio o a vuoto a prodotti intelligenti, compenetrati dall’elettronica e dall’informatica. Un primo modello di pompa per veicoli green, l’Elop, sarà in produzione nel 2022. Dati questi obiettivi, lo stabilimento ha imboccato la strada della trasformazione digitale, realizzata in tre stepestrazione dei dati da macchine diverse con IoT gatewayelaborazione delle informazioni con sistemi per monitorare le variabili produttive e infine generazione di algoritmi di intelligenza artificiale per generare previsioni di trend e alert per gli operatori. Tutto in tempi record: meno di due anni. Ha contato l’accesso alle competenze di AI della casa madre, che dispone di importanti centri di ricerca. E ora? L’azienda ha già selezionato per Offanengo, 500 dipendenti, una decina di ingegneri esperti in elettronica; poi si tratterà di rivisitare le linee. Il tempo corre, ma a Offanengo sono convinti di potercela fare. Industria Italiana, nel corso di una visita alla fabbrica, ne ha parlato con l’amministratore delegato di Vhit Corrado La Forgia e con un team di giovani specialisti coinvolti nella transizione.

               







La metamorfosi in corso: la transizione dalla meccanica alla meccatronica

Corrado La Forgia, Amministratore Delegato di Vhit

Due mesi fa Vhit, l’azienda del gruppo Bosch con sede a Offanengo, dalle parti di Crema, rendeva noto che dal 2022 entrerà in produzione l’Elop, una nuova pompa elettrica dal design compatto, efficiente e al contempo caratterizzata da bassi livelli di rumore e di vibrazioni. Servirà a raffreddare e a lubrificare i componenti della trasmissione dei veicoli elettrici. L’acquirente è un grosso carmaker la cui identità è tenuta, per ora, gelosamente custodita. La pompa è già stata disegnata. Per realizzarla, lo stabilimento di Offanengo dovrà rivedere i processi, ma il cambiamento è già iniziato. «Si tratta di avanzare al passo serrato – ha dichiarato La Forgia – nella trasformazione di un’azienda meccanica in una meccatronica. Ma nell’automotive il trend è quello che porta all’elettrificazione; pertanto, un’impresa di componentistica deve essere in grado di associare alla parte meccanica quella elettrica ed elettronica. Come si è fatto con Elop. Ma non è un passaggio semplice». E non è neppure la prima mutazione radicale per lo stabilimento di Offanengo, nato alla fine degli anni Cinquanta come azienda a gestione familiare (i Bonaldi) che produceva servofreni; dopo diverse acquisizioni, tra cui quella della Bendix, nel 1996 è entrato nell’orbita della multinazionale tedesca. Nel cui contesto, rappresenta il centro di competenza mondiale per le pompe a vuoto. Vhit è la ragione sociale assunta nel 2001, e sta per Vacuum and Hydraulic Products Italy. È inserito nella più importante divisione di business di Bosch, la mobility solutions, che realizzato l’anno scorso 47,6 miliardi di fatturato su 78 di revenue complessive del gruppo, e che si occupa di componentistica per automotive. Da qualche tempo, non solo: la divisione si occupa di soluzioni per la mobilità connessa, autonoma, elettrificata. Guarda al futuro prossimo.

Riccardo Sesini, head of Information Technology di Vhit

Così, attualmente Offanengo produce pompe – come ha chiarito l’head of Information Technology di Vhit Riccardo Sesini – «anzitutto, per la generazione del vuoto: è grazie ad esse che si riesce a premere sul pedale del freno; ma anche ad olio: per lubrificare tutte le componenti del motore; e ancora, combinate vuoto ed olio; ed infine, quelle per il carburante. Inoltre, produciamo una limitata quantità di attuatori idraulici, per il settore delle macchine agricole. È un retaggio del passato, visto che lo stabilimento era molto forte nella parte idraulica». I clienti sono i più grossi carmaker del mondo: Fca, VolksWagen, Psa, Ford, General Motors, Daimler, Nissan, Mitsubishi, Jaguar, Dpca e altri. Lo stabilimento ha seguito, nella produzione, la parabola internazionale del diesel, che da qualche anno è caduto in disgrazia sulla scorta delle temute emissioni di ossidi di azoto. Se nel 2016 la componentistica era destinata ai motori a gasolio per il 96%, e per il resto a quelli a benzina; nel 2019 è cambiato tutto: la quota dei motori a benzina è pari al 55%; il 45% riguarda il diesel. Ma conta, soprattutto, la previsione 2021 basata su ordini già acquisiti: la riduzione della quota diesel al 31%; il calo di quella benzina al 49% e l’evidenza di una consistente fetta del 19% legata all’elettrico. Che nel 2030, questa volta in base a stime, riguarderà il 41% della torta; la fetta più grande, più della benzina al 40% e il diesel al 19%. Ricapitolando: la divisione mobility solutions si sposta con forza verso il green; Vhit, che di questo business fa parte, reinventa la propria componentistica per seguire la strada tracciata da Bosch; questo passaggio comporta la transizione da meccanica a meccatronica, con nuovi processi e nuovi prodotti come la pompa elettrica. Ma a che punto siamo?  «Abbiamo già selezionato e assunto una decina di ingegneri – ha afferma La Forgia – esperti nell’elettrico. Il fatto è che cambia tutto: occorrono competenze diverse. Prima occorre dotarsi di un know-how adeguato, e da questo punto di vista il nostro progetto è in corso; successivamente, ma con rapidità, si modificheranno gli asset. È un’operazione che non potremmo mai realizzare da soli, se dietro non ci fosse Bosch.  Il piano è partito meno di tre anni fa; e fra meno di tre anni dobbiamo essere già pronti con la produzione». E poi, in questa transizione, Vhit non parte da zero: l’applicazione della lean production prima e della digital transformation dopo fanno dello stabilimento di Offanengo un terreno fertile per ulteriori cambiamenti. Vediamo come. 

 

Il sistema BPS e la lean manufacturing made in Bosch

Cristina Marchesi. Bps specialyst di Vhit

Dal 2001 Bosch ha iniziato ad estendere ad Offanengo i propri standard, i propri metodi di lavoro. «Pietra miliare – ha affermato la Bps specialyst di Vhit Cristina Marchesi – è il Bosch Production System (Bps), la lean di Bosch, adottato dallo stabilimento nel 2008. Ha assunto un grande rilievo, anche perché precede logicamente la trasformazione digitale». L’idea di base è che si debba produrre solo quello che serve alla luce delle richieste dei clienti, senza scorte intermedie – che costituiscono un costo. Ciò comporta una grande flessibilità di processo, che non si ottiene immediatamente e una volta per tutte: è una sorta di adattamento del sistema produttivo alla visione di Bosch, in rapporto ad esigenze contingenti. In realtà il discorso è molto più complesso; e il Bps è particolarmente articolato, tanto che se ne può solo accennare per sommi capi. Per semplificare, si può dire che non è una questione di compartimenti interni, ma che anzi si guarda ad un disegno complessivo per realizzare il “miglioramento continuo”, e cioè un’ottimizzazione che idealmente comporta l’azzeramento di scorte e sprechi. La visione dell’azienda si declina in piani di lungo termine, quinquennali; per realizzare i quali, ogni sei mesi (per Offanengo; per altri stabilimenti i termini possono essere diversi) si tengono quelli che La Forgia chiama “tagliandi”, e cioè workshop interdipartimentali dove vengono definiti progetti intermedi e relativi kpi (indicatori di performance), e dove viene misurata l’efficacia di precedenti azioni, in base a precisi kpr (indicatori di risultato). In pratica, ogni semestre si monitora lo stato di maturità lean; ma una volta conseguito un certo risultato, questo non è destinato a diventare uno standard di lungo corso, perché l’azienda se ne pone subito uno più ambizioso. Questa metodologia può essere utilizzata anche per materie diverse dagli sprechi e dai costi; grazie alla sua applicazione, la produttività è aumentata del 5%  nell’ultimo anno.

 

La digitalizzazione: gli inizi con la tecnologia Rfid

Luca Bottazzi, logistics specialist di Vhit

Per Offanengo, l’inizio della digital transformation è successivo alla diffusione delle pratiche lean, perché, come ha affermato La Forgia, «non ha senso digitalizzare il caos: i processi devono essere puliti e snelli». Tutto è cominciato nel maggio del 2016, guardando all’approvvigionamento del materiale dal magazzino ai supermercati. «Abbiamo mappato la situazione – ha affermato il logistics specialist di Vhit Luca Bottazzi – e ci siamo resi conto che erano presenti inefficienze legate alle attività che i magazzinieri dovevano svolgere per segnalare il trasferimento e la movimentazione degli articoli da un luogo all’altro, che erano realizzate di volta in volta “manualmente” scrivendo sul Pc. Abbiamo capito che il flusso andava automatizzato, tagliando fasi di lavoro improduttive». Di qui l’idea di introdurre un sistema basato su Rfid. Questi costituiscono, per definizione, una tecnologia per l’identificazione di oggetti basata sulla memorizzazione di dati da parte di particolari etichette elettroniche (tag), e sulla capacità di queste di rispondere all’interrogazione a distanza grazie a apparati fissi o portatili, chiamati reader. «Il sistema emana segnali automatici – ha affermato Bottazzi – che si traducono in ordini di trasferimento di merce». Questo perché sono state fissate delle soglie al di sotto delle quali il sistema avverte gli operatori che è necessario il rifornimento. Inoltre, non è più necessario effettuare conteggi manuali per la verifica dell’inventario fisico; e con una serie di scansioni a distanza è possibile verificare la presenza di specifici oggetti in magazzino. «Con questo sistema, abbiamo tagliato i tempi di smistamento del 20%, cioè di circa 80 minuti a turno» ha affermato Bottazzi. L’allineamento tra la realtà fisica e quella digitale è gestito da Sap, il pianificatore delle risorse di impresa che integra tutti i processi di business rilevanti dell’azienda e che è stato adottato dal gruppo Bosch in generale.

 

La digitalizzazione in tre step principali

Produzione all’interno dello stabilimento Vhit di Offanengo

A quel punto, secondo Sesini, si trattava di avanzare con la trasformazione digitale. Tutto è avvenuto con sorprendente velocità. Nel 2018 è stata definita una “visione”, e cioè un approccio strutturato alla questione: quali obiettivi realizzare e come fare per conseguirli. In buona sostanza, si è proceduto in base a tre step. Anzitutto, l’estrazione dei dati. Tutte e cento le macchine utensili dello stabilimento sono state interconnesse, grazie a IoT gateway in grado di interpretare linguaggi diversi: le strumentazioni sono infatti di brand differenti (protocolli Bosch, ma anche Siemens) e sono più o meno recenti; quelle più in là con il tempo risalgono ai primi anni Duemila. Che fare con i dati? «È stata approntata – ha affermato Sesini – un’architettura logica in grado di fondere la parte di operations (Ot) con quella di tecnologia dell’informazione (It). Non si tratta di una sola tecnologia, ma di un sistema che ne assomma diverse; e sono tutte collegate tra di loro per implementare il nostro processo di trasformazione digitale». Dunque il secondo step è quello dell’elaborazione dei dati.

«Va sottolineato – ha continuato Sesini, che da ogni singola macchina estraiamo mille variabili al secondo; stiamo parlando, dunque, di 100mila variabili al secondo da esaminare». I dati anzitutto sono trattati con Apache Kafka, una piattaforma open source a bassa latenza di elaborazione delle informazioni in tempo reale; grazie a Grafana, poi, si realizzano dashboard per monitorare le variabili e per inoltrare alert agli operatori (via mail). I dati, poi, finiscono sul Mes; questo passaggio sarà trattato tra poco. Infine, sono inviati in una struttura di Stoccarda, che elabora big data a fini di business intelligence e per sviluppare algoritmi di intelligenza artificiale, che una volta definiti vengono inseriti in sistema. Il passaggio da elaborazione dei dati ad azione sul flusso chiude il cerchio. «Il flusso di dati costituisce un input per gli algoritmi, che restituiscono un output in termini di controllo di campo e di nuovi alert per gli operatori». Lo stabilimento dispone di propri data scientist. In generale, Bosch investe 7,3 miliardi in R&D; gli stabilimenti utilizzano per lo più tecnologie della casa madre o open source.

 

Limes, il Mes di Offanengo

L’Industry 4.0 production specialist Bosch Federico Astori

Il Mes, manufacturing execution system, è per definizione un software che gestisce e controlla la funzione produttiva dell’azienda: dispaccio ordini, avanzamenti, smistamenti in magazzino nonché il collegamento ai macchinari per estrarre dati e integrare l’esecuzione della produzione. Secondo l’Industry 4.0 production specialist Federico Astori, su Limes, un applicativo del Mes di Offanengo, l’operatore può osservare su una dashboard caselle che rappresentano linee di assemblaggio, che a loro volta trattano un prodotto particolare. Real time, si può visualizzare l’Oee (overall equipment efficiency) e quindi l’indicazione delle performance delle linee. Nel dettaglio, si può valutare l’andamento della produzione ora per ora; ma anche i pezzi pianificati in rapporto alle richieste della clientela, quelli realizzati e conteggiati, e quelli scartati per problemi qualitativi. L’operatore può inserire in sistema i ritardi nella produzione rispetto alla tabella di marcia, espressi in minuti e relativi a quella o questa stazione. «Prima questi dati erano raccolti manualmente dai tecnici; ora gli interventi sono più lesti, la manutenzione è più organizzata e i processi meno problematici». Il sistema è in grado di fare previsioni a più ore circa l’andamento delle variabili produttive.  

 

La trasformazione digitale per produrre oggetti meccatronici è un elemento fondante della strategia di Vhit

Produzione all’interno dello stabilimento Vhit i Offanengo

Dunque, la strategia di Vhit è «crescere con profitto, mantenendo la leadership di mercato e fornendo soluzioni con pompe meccatroniche intelligenti per la mobilità attuale e futura». Sul fatturato, non si può dire troppo. «Siamo attorno ai 100 milioni» – afferma La Forgia. Si sa che cresce a due cifre di anno in anno, e non nel primo decimale, ma anche questo dato è protetto da segreto. Quanto alla transizione alla meccatronica, riassumendo l’articolo, si può dire che è già iniziata, e che sia ampiamente favorita dall’appartenenza di Vhit in Bosch, che dispone di competenze notevoli quanto a elettronica, intelligenza artificiale e altro – elementi funzionali alla trasformazione digitale diretta appunto a realizzare prodotti che mettano insieme meccanica, elettronica e informatica, come Elop. Peraltro, saranno realizzate nuove electrical pump sia a vuoto che per l’olio. Ma, secondo La Forgia, «seppure il potenziale di Offanengo sia fuori discussione, il futuro non sarà una passeggiata: ci aspetta una competizione internazionale spietata». Il problema non è tanto rappresentato dai player tradizionali, quanto «da quelli che spuntano fuori dal nulla», l’unicorn cinese o americana che con un’idea innovativa sbaraglia il mercato. «Tutto può accadere, da un momento all’altro. Bisogna tenere gli occhi aperti, sbarrati».

 

 

 

Un giro in fabbrica

Interno dello stabilimento Vhit di Offanengo

Anzitutto, la zona di assemblaggio. Qui ci sono 25 linee di due tipologie: «Quelle a banchetti – ha spiegato Astori – e cioè a stazioni, dove ognuna è un luogo fisico i cui viene svolta un’operazione, dal momento che la pompa viene realizzata passo dopo passo; e quelle conveyor, e cioè con movimentazione integrata». Ogni linea è dotata di un “totem”, e cioè di una dashboard (collegata ad applicativi del Mes) dove si possono reperire informazioni relative alla qualità, grazie ad elaborazioni di primo livello. Poi ci sono sistemi ottici dotati di intelligenza artificiale, in grado di rilevare i difetti qualitativi: le vecchie telecamere statiche non riuscivano a valutare in maniera efficiente tutte le variabili legate ai materiali come l’alluminio, ha affermato Astori; ora si può, e si può verificare che l’assemblaggio sia corretto. Per Astori, questa è una delle tecnologie più impattanti sulla manifattura auto motive, perché consente all’azienda di ridurre gli scarti e l’attività umana dedicata a questioni di basso valore aggiunto. Un’altra dashboard entra più nel dettaglio, permettendo, grazie ad appositi algoritmi, analisi comparative tra gli andamenti delle linee, anche a livello di trend. Mediamente, ogni mese lo stabilimento produce 500mila pompe; ma, ha chiarito Astori, «siamo in un periodo di estrema crescita, caratterizzata da una grande variabilità mensile». Nello shopfloor si può notare un angolo dove sono poste, fianco a fianco, due postazioni che fanno lo stesso lavoro ma in maniera diversa.  La prima è altamente automatizzata: i componenti (un rotore, un giunto e un lamierino) passano per tazze vibranti singolarizzatrici, e poi sono afferrati da un robot che li assembla. La seconda è la vecchia versione “manuale”. Si è mantenuta questa realtà dicotomica per illustrare il cambiamento di paradigma. Ad un certo punto, ci si imbatte in un lettore Rfid. Se ne è già parlato, sopra. Nel reparto delle lavorazioni meccaniche ci sono anche macchine vecchie di 15 o 20 anni, come si diceva. Sono state tutte ottimizzate, anche con un lavoro di robotizzazione. C’è infine un progetto in corso: un centro di lavoro che riceva in ingresso della ghisa, e che manipoli questo materiale pezzi che alimentino l’assemblaggio. Il piano è quello realizzare un sistema che «in maniera trasparente» (e cioè in modo visibile, valutabile) esamini tutte le variabili, dal consumo dei mandrini e dei cuscinetti delle macchine utensili alla durezza della ghisa in entrata, e a tante altre. Grazie all’impiego dell’intelligenza artificiale, si potrebbero prevedere le anomalie di produzione e comprenderne le cause fisiche; e ciò anche a livello di componenti della macchina utensile, in vista della manutenzione predittiva.

 

Il gruppo Bosch e la Vhit

La Robert Bosch GmbH è una multinazionale tedesca, la maggiore produttrice mondiale di componenti per autovetture. Appartiene per il 92% alla Robert Bosch Stiftung, una fondazione benefica che investe la maggior parte degli utili in ricerca e sviluppo o in cause umanitarie. Con circa 410mila collaboratori, ha sviluppato una rete globale di produzione e vendita che copre quasi tutti i Paesi del mondo. Il fatturato 2018 di 78,5 miliardi di euro è sviluppato per il 53% in Europa, per il 30% in Asia e Pacifico e per il 17% nelle Americhe. L’azienda, dunque, è ancora fortemente focalizzata sul Vecchio Continente. La divisione mobility solutions ha realizzato 47,6 miliardi; la costumer goods 17,9; la industrial technology 7,4 e la Energy and building tecnology 5,6. Ha sede a Gerlingen, una città a nord ovest di Stoccarda; è guidata dal Ceo Volkmar Denner. Ha investito, sempre nel 2018, 7,3 miliardi in ricerca e sviluppo; ambito in cui lavorano 68.700 collaboratori. Tre quarti degli investimenti riguardano il settore di business mobility solutions e in queste aree: elettrificazione, sistemi di assistenza alla guida (inclusa la mobilità autonoma), display, infotainment e sensori. Uno dei centri di R&D più importanti è quello di Renningen, inaugurato nel 2015: occupa 1.700 collaboratori. Sempre in questo ambito, un’altra fabbrica importante è quella che produce wafer (semiconduttori) di Dresda. Uno degli obiettivi di Bosch è diventare “Co2 neutral”: entro il 2020 sarà a impatto zero in tutto il mondo.  In Italia, Bosch è presente dal lontano 1904, anno in cui fu inaugurato il primo ufficio di rappresentanza a Milano. L’anno scorso, Bosch Italia, con 19 società, quattro centri di ricerca e 6.014 collaboratori, ha conseguito un fatturato di 2,5 miliardi di euro. Bosch Vhit è al 100% parte del gruppo tedesco; come si è detto, è espressione della divisione mobility solutions.  Ha 500 dipendenti. Al di là della sede di Offanengo, ha anche uno stabilimento produttivo a Curitiba, in Brasile, dal 2019; uno a Vuxi, in Cina, dal 2016 e uno a Chakan, in India, dal 2015.














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