Bls, così il Coronavirus ha stravolto (in meglio) il nostro business

di Laura Magna ♦︎ Produttrice di mascherine per l'industria da mezzo secolo, l'azienda brianzola ha chiuso il 2019 con un bilancio di 12 milioni di cui l'80% all'estero. Il business medicale valeva poco più del 15% del totale, poi il Coronavirus ha cambiato gli scenari. Le esperienze con Tenaris Dalmine, Leonardo, Barilla, Pirelli, Protezione Civile, Ministero Della Difesa

A Cormano, nella provincia milanese, ha sede l’unica azienda italiana specializzata al 100% in dispositivi per la protezione delle vie respiratorie, le super ricercate mascherine nell’era della pandemia. Si chiama Bls, ha una storia di cinquant’anni ed è tra i principali produttori europei di Dpi usa e getta Ffp1-2-3, a uso industriale e ospedaliero. Nella gamma ci sono anche semimaschere e maschere pieno facciali e filtri ad usi industriali e militari.

Ma la peculiarità dell’azienda è che le sue maschere vengono realizzate in automatico da macchine che essa stessa progetta e ingegnerizza attraverso la controllata Bls Engineering e avvalendosi di collaborazioni con università e partner di mercato. Avendo di fatto costruito un modello di business unico al mondo e impermeabile a qualsiasi possibile crisi e rottura della supply chain. Industria Italiana ne ha parlato con l’amministratore delegato Pier Paolo Zani.







 

Esperti in dinamiche pandemiche

L’amministratore delegato di Bls Pier Paolo Zani

Nel portafoglio clienti di Bls figurano i nomi di Tenaris Dalmine, Leonardo, Barilla, Pirelli, Protezione Civile, Ministero Della Difesa e ospedali pubblici e privati di tutta Italia. Esordisce Zani:«Pur non essendo il nostro core business perché viviamo di industria, le dinamiche pandemiche ci sono ben note. Abbiamo internalizzato tutto – e la scelta sta decisamente pagando nel 2020 – proprio per essere pronti a gestire queste bombe, quale che sia il loro nome, Sars, H1n1 o Covid 19. Abbiamo capito l’importanza di controllare materia prima e macchine. E questo ci permette di fare i numeri che stiamo facendo. Per quanto riguarda la materia prima, che dobbiamo importare, ci organizziamo con grossi contratti e fornitori di backup e siamo sereni. Le macchine invece ce le costruiamo da soli».

Nata nel 1970, dall’intuizione che le mascherine in arrivo dagli Usa potevano essere impiegate in quegli anni nelle moltissime industrie “sporche” che erano alla base del miracolo economico italiano, Bls oggi ha 80 dipendenti in Italia e 30 in Spagna, oltre a quattro filiali commerciali in Spagna, Francia, Olanda e Brasile e una rete commerciale capillare sul territorio. Il fatturato 2019 si era chiuso a 12 milioni di euro con l’Europa come principale mercato di sbocco: l’export verso 70 Paesi nel mondo genera circa l’80% dei ricavi complessivi.

 

Le acquisizioni

Le mascherine Bls per la Regione Lombardia

«Siamo cresciuti anche grazie a due acquisizioni: la prima, nel 2003, della genovese Tecnopro, nella produzione di semimaschere e maschere pieno facciali, per completare la gamma e aumentare la massa critica di prodotti. E nel 2006 con la co-fondazione di una società spagnola nella produzione dei filtri, poi interamente acquisita. Oggi a Barcellona l’azienda produce l’80% dei filtri. In Italia, oltre alla parte residuale di questo elemento, vengono realizzate le macchine e, attraverso di esse, le mascherine usa e getta. Le acquisizioni sono state fondamentali per rafforzare brand e forza produttiva», racconta Zani.

L’azienda si è molto strutturata, con un processo di managerializzazione e dandosi prospettive di crescita ambiziose che però sono state anche superate. «Da piano avevamo previsto il raddoppio del fatturato in tre anni: lo abbiamo raggiunto in sei mesi, causa Covid. Ma sono convinto che si tratti del frutto di un lavoro di semina fatta negli anni che in questo momento abbiamo concretizzato. Perché guadagnare non è mai scontato, anche se le condizioni esogene sono propizie: mentre noi esplodevano, due competitor più piccoli dell’est Europa sono falliti, in un settore che cresce in maniera esponenziale. Le crescite esponenziali fanno anche male se non gli si riesce a stare dietro: noi siamo resilienti perché siamo organizzati per reagire alle emergenze».

 

Le linee di business

Le mascherine FFP2 di Bls

L’azienda ha quattro linee di business: la più importante è quella industriale, che prima del Covid cubava il 90% del fatturato. «Tradizionalmente i nostri Dpi servono alla protezione dei lavoratori: dunque le forniamo attraverso un distributore btob a industrie pesanti dove si fanno lavorazioni sporche. La seconda linea, quella del medicale, cubava il 17% del fatturato globale ed è esplosa nel 2020. Si tratta di un business collaterale lanciato di recente sulla scorta di una lunga esperienza di fornitura di reparti di malattie infettive di ospedali specializzati come lo Spallanzani di Roma o il Sacco di Milano, con cui sviluppiamo anche prodotti ad hoc per vari ambiti e credo non sia un caso che questi siano i nomi degli stessi ospedali che non sono crollati sotto le batoste del Covid nel momento di massima allerta». La terza linea è la produzione di mascherine per il settore militare: maschere anti lacrimogeni in uso presso il nucleo antisommossa dei carabinieri, per fare un esempio.

Infine, la più recente produzione è la divisione Urban, l’ultima frontiera di Bls. «Anche questa idea che sembra tagliata sulla situazione attuale nasce in tempi non sospetti: avevamo pensato di costruire prodotti adatti all’uso quotidiano in città e abbiamo di recente concretizzato l’idea grazie a una collaborazione con il Politecnico di Milano e in particolare con il suo spin-off Narvalo, start-up attiva nelle mascherine anti smog dotate anche di sensori in grado di regolare il circolo dell’aria al loro interno per rendere ottimale la respirazione mentre ci si protegge. L’idea era destinarle a un pubblico di “commuter urbani”, che si muovono a piedi o in bicicletta e vogliono ridurre al minimo l’inalazione di gas inquinanti. Oggi chiaramente questi oggetti assumono una dimensione del tutto inaspettata e diversa da quella che era stata pensata in origine», dice Zani. «Noi forniamo la parte filtrante per dare vita a sei modelli che sono disponibili sul mercato da luglio». Narvalo ha alle spalle due anni di ricerca, lavoro e sviluppo e nasce, tra i banchi della Scuola del Design del Politecnico di Milano, dall’idea del giovane designer di origini olandesi Ewoud Westerduin, con il contributo del suo relatore di tesi Venanzio Arquilla, Professore del Dipartimento di Design.

 

Riorganizzazione post Covid

Il Coronavirus ha cambiato le prospettive dei ceo nei confronti del business. Fonte Kpmg

Con l’emergenza Coronavirus, è stato chiaro un fatto: l’industria globale delle mascherine non riusciva a stare dietro alla domanda, in quanto questa è del 30-40% superiore alla capacità produttiva. Bls, dal canto suo, si è ritrovata al centro di un sistema di device indispensabili per la tutela della salute delle personee ha saputo reagire all’emergenza rivedendo il proprio modello e processo industriale per triplicare la produzione e far fronte alla domanda interna. Le linee produttive sono passate da 1 turno a 3 turni attivi 24×7, di cui tre linee in piena emergenza erano dedicate alla produzione di DPI per Regione Lombardia. L’azienda ha arruolato 30 addetti in più per far fronte a questa necessità.

L’azienda ha inoltre sottoscritto un accordo con l’Agenzia Industrie Difesa (AID), l’agenzia in house del Ministero della Difesa, per potenziare la produzione di mascherine protettive Ffp2 e Ffp3 e avviare una nuova produzione di mascherine certificate, sulla base di macchinari progettati dalla stessa Bls.

L’accordo ha durata di quattro anni rinnovabili: le nuove linee di produzione di mascherine certificate saranno avviate attraverso la riconversione dello Stabilimento militare “Spolette” di Torre Annunziata in Campania, un’unità produttiva dell’Aid.

 

Le fabbriche

Bls lavora in due plant produttivi, uno a Cormano, nella provincia di Milano e uno a Barcellona, frutto di una cofondazione e due acquisizioni nella produzione dei filtri (di cui abbiamo detto). «Una parte importante del nostro business è nella controllata Bls Engineering che nasce per occuparsi di sviluppo delle macchine per noi stessi, ma che è stata la testa di ariete che ci ha consentito di chiudere l’accordo con la Difesa». Dunque nelle fabbriche Bls si fanno due tipi di lavori: produzione da un lato e controllo macchine dall’latro, con un forte contenuto di R&S meccatronica. «Le nostre fabbriche hanno una forte dose di robotica al loro interno e da 20 anni sono automatizzate, potremmo dire 4.0. Quando realizziamo il prodotto pensiamo alla macchina che lo costruirà e dunque deve esserci un matching tra chi sviluppa il prodotto e chi progetta la macchina. L’automazione ha anche un altro scopo. Pre-Covid un Dpi costava in media 30 cent e dovevamo realizzarlo con macchine che consentissero di essere competitivi rispetto a Paesi dove il costo del lavoro è imparagonabile. La scelta di restare in Europa viene resa possibile dall’intuizione di poter produrre il più possibile a basso costo, senza ridurre la qualità ma aumentando l’automazione».

 

Know-how unico al mondo

polimi
Il Politecnico di Milano

Dunque, l’azienda nasce per costruire il prodotto finale ma negli anni si aggiunge la parte di engineering «perché volevamo avere la macchina perfetta e per averla dovevamo dotarci di una forte componete ingegneristica all’interno. La R&S, dove lavora il 20% della forza lavoro non produttiva, è su macchine e automazione a supporto del prodotto, ma l’ufficio tecnico più forte è quello che si occupa di ergonomia del prodotto finale». Questo know-how è stato particolarmente utile negli ultimi mesi. Ed è stato messo a disposizione del Politecnico di Milano per supportare il progetto  Polimask, il cui obiettivo è verificare che le tante mascherine, prodotte oggi da aziende del territorio che hanno riconvertito le loro produzioni per far fronte alla grande richiesta di dispositivi di protezione, abbiano i requisiti tecnici per svolgere una reale funzione protettiva.

Non tutte le mascherine sono uguali: soprattutto quelle destinate a personale medico e sanitario, le persone più esposte a possibili contagi, devono avere determinate caratteristiche tecniche, a livello di materiali, di manifattura e di capacità filtrante dell’aria. «Le mascherine realizzate con un tessuto non filtrante ma traspirante – come può essere ad esempio il cotone – e cucite con il filo che buca il tessuto stesso, rischiano di creare un effetto placebo drammatico e di aumentare il rischio: chi le indossa è convinto di essere protetto e di conseguenza non prende alcuni accorgimenti o attenzioni, ma in realtà non ha alcun tipo di barriera nei confronti del virus», conclude Zani.














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