2022 anno zero per migliaia di industrie in crisi. Che cosa accadrà? Parla Bcg

di Marco Scotti ♦︎ Il punto della situazione: 152 tavoli di crisi e un decreto legge sulla composizione negoziata della crisi, che permette ad azienda e creditori di accordarsi per risolvere i problemi in modo consensuale. Obiettivo: la continuità aziendale. A certificare il tutto ci sarà un processo digitale. A rischiare sono soprattutto le pmi, per la carenza sistemica di un management professionale e la riluttanza ad aprire il capitale a terze parti. Il ruolo dei consulenti e l’approccio di Bcg Turn

1Crisi d’impresa. Sarà il grande tema manageriale del 2022, quando, venuti meno i “congelamenti” e i sostegni introdotti nell’epoca del Covid, ne emergeranno tantissime. Alcune saranno le “imprese zombie” di cui ha parlato tante volte Mario Draghi e che si possono soltanto accompagnare alla liquidazione giudiziale ovvero al vecchio fallimento, cercando di far soffrire il meno possibile le varie categorie di portatori di interesse, inclusi i creditori. Ma molte aziende “distressed” hanno la concreta possibilità di ripartire, magari dopo una procedura alternativa alla liquidazione giudiziale come il concordato preventivo di continuità o la nuova “procedura di composizione negoziata della crisi”.

Purché ci sia un approccio pro-attivo serio, magari con l’assistenza di consulenti esterni qualificati che supportino il capo azienda post-crisi nell’individuazione dei business più promettenti in futuro, del nuovo modello operativo che serve per cavalcarli al meglio, e quindi del piano strategico necessario per ottenere finanziamenti dal mercato e fiducia da parte di tutti gli stakeholder coinvolti. Insomma il tema è caldo, caldissimo. Industria Italiana ha deciso di affrontarlo con questo articolo redatto in collaborazione con Bcg.







Il punto della situazione 2020-2021: meno fallimenti, 152 tavoli di crisi e un innovativo decreto legge sulla composizione negoziata della crisi

Giuseppe Farinacci, partner e director di Boston Consulting Group

Nel 2020 nel nostro Paese a fronte di un calo del Pil dell’8,9% i fallimenti aziendali sono diminuiti del 31,6%. Questo per un insieme di interventi messi in atto dalle istituzioni – moratorie, credito garantito e improcedibilità dei fallimenti – che hanno evitato che il tracollo della ricchezza prodotta si tramutasse in un’implosione del sistema imprenditoriale. Da marzo 2020 si sono tenuti al Mise 152 tavoli di crisi, uno ogni tre giorni, per impedire il peggiorare delle situazioni in essere. Ora che la normalità torna ad affacciarsi, è necessario cambiare passo. Partendo da una constatazione filosofica: che il fallimento di un’impresa (se non ci sono concause dolose, naturalmente) deve essere visto e affrontato un evento fisiologico nel tessuto economico e non come un’onta da lavare come ancora si crede tante volte in Italia, dove è ancora viva la mentalità del Codice Rocco, in cui si faceva obbligo morale del sistema economico l’espulsione dell’impresa “cattiva” dal tessuto imprenditoriale. Bisogna probabilmente ragionare in modo più disteso, come avviene da molti anni negli Stati Uniti, in cui il fallimento viene visto come un passaggio in qualche modo naturale nel curriculum di un imprenditore, che per mestiere si prende dei rischi.

È, questa, anche la filosofia del Decreto Legge 118 del 2021, che dallo scorso 15 novembre ha introdotto il dispositivo della “composizione negoziata della crisi”. In pratica, come vedremo meglio più avanti, viene data la possibilità alle parti (essenzialmente l’azienda e i suoi creditori) di prendere atto della crisi e di accordarsi per risolverla in modo consensuale, auspicabilmente prima di arrivare ad un dissesto irreversibile ma comunque senza precludere una vera e propria procedura concorsuale, se necessaria. Il tutto in modo spontaneo e auto-organizzato. I vantaggi sono evidenti, e non consistono solo nel non intasare gli uffici giudiziari, paralizzandoli e distruggendo valore economico. Ma soprattutto nell’intervenire prima che la situazione si aggravi ulteriormente, riducendo i danni per l’impresa e per i suoi stakeholder, a cominciare dai creditori. «È ormai acclarato anche a livello giuridico che le crisi d’impresa abbiano caratteristiche cicliche e che, per questo motivo, è necessario evitare lo “stigma” del fallimento. Da più di un decennio è patrimonio comune a livello comunitario il concetto del “Fresh Start” che promuove e tutela la possibilità per imprese ed imprenditori di ripartire dopo una crisi», commenta Giuseppe Farinacci, partner e director di Boston Consulting Group, parte della practice Turn che opera anche su questi temi.

Headquarters di Whirlpool a Benton Harbor, Michigan
Headquarters di Whirlpool a Benton Harbor, Michigan. Whirlpool è tra i tavoli di crisi del Mise

Il provvedimento che prevede la “Composizione negoziata della crisi” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale come parte del Decreto Legge 118 del 24 agosto 2021, approvato dal Consiglio dei Ministri dopo i lavori della Commissione della crisi d’impresa. Con questo Decreto Legge si pospone al 16 maggio 2022 l’entrata in vigore del Codice della crisi (inizialmente previsto per il 1° settembre 2021), ma al tempo stesso rende operativo per le aziende che abbiano qualche problema un nuovo strumento, operativo dal 15 novembre, che consente di affrontare la gestione della ristrutturazione del debito e di raggiungere l’obiettivo principale, cioè il risanamento dell’impresa. La “composizione negoziata della crisi” è un percorso a disposizione dell’imprenditore, indipendentemente dalla sua dimensione, che affianca ai tradizionali esperti di consulenza un soggetto terzo, che deve essere imparziale e con una formazione e track record in materia. Si tratta quindi di introdurre una nuova figura professionale a cui affidare un importante ruolo di mediazione in grado di favorire le trattative per l’individuazione di soluzioni negoziali di composizione della crisi.

Obiettivo principale: la continuità aziendale. Con una novità: a certificare il tutto ci sarà un processo digitale

Il nuovo sistema messo in atto, dunque, ha come obiettivo principale la continuità aziendale e la conservazione dei valori imprenditoriali. Non solo: nel malaugurato caso in cui l’azienda non riuscisse comunque a sopravvivere nonostante l’intervento delle diverse componenti, si rende più agile la liquidazione concordata del patrimonio del debitore. Inoltre, proprio perché si tratta di uno strumento che dovrebbe maggiormente garantire tutte le parti, sono previsti meccanismi premiali per quell’imprenditore che aderisca volontariamente alla nuova direttiva. Infine, non viene meno il ruolo del Tribunale che rimane comunque centrale per tutelare sia l’imprenditore nel caso di azioni esecutive, sia i soggetti coinvolti. Da notare che a garantire il corretto funzionamento della procedura sarà anche il fatto che a certificare il tutto ci sarà un processo digitale. L’ingresso nella procedura di composizione negoziata della crisi potrà avvenire solo attraverso una piattaforma accessibile dal sito delle Camere di commercio. In quest’area sarà anche possibile per le imprese svolgere un test al fine di un’autodiagnosi per verificare lo stato di salute dell’impresa e la possibilità, o meno, di avviare il risanamento, oltre che fornire il primo set informativo all’esperto nominando che valuterà anche quelle informazioni per accettare o meno l’incarico, in via assolutamente confidenziale.

Come era lecito attendersi la pandemia ha avuto un impatto rilevante ma abbastanza diversificato sul business delle aziende che hanno partecipato alla survey di Bcg. Circa il 60% ha visto scendere il fatturato di oltre il 5% (il 25% ha subito decurtazioni superiori al 20%). Invece il 25% circa ha visto crescere il fatturato di oltre il 5%.  Solo il 15% ha visto rimanere il fatturato all’incirca costante (±5%). Fonte Bcg

La complessa situazione italiana: tante pmi sottocapitalizzate, incertezza, riti civili interminabili, economia in difficoltà già prima della crisi Covid, bassa crescita

«Il contesto italiano – ci racconta Francesco Leone, Managing Director e Partner di Bcg, Bcg Turn leader per Italia, Grecia, Turchia e Israele, – è complesso per la preponderanza di Pmi sottocapitalizzate, di un finanziamento per lo più bancario (che raramente invece ricorre alla borsa) con poche imprese di dimensioni notevoli che sono, oltretutto, spesso pubbliche. L’incertezza e i rischi civili e penali non attraggono i migliori manager nelle ristrutturazioni, e per questo motivo la funzione degli specialisti potrebbe essere ancora più rilevante in Italia». A complicare ulteriormente la situazione ci si è messo anche il Covid-19, che ha colpito un’economia che era già in difficoltà rispetto agli altri paesi europei e che aveva già perso produttività e competitività.

Nel periodo compreso tra il 1999 e il 2019 l’Italia è cresciuta del 7,9% contro il 32% della Francia e della Germania e il 43% della Spagna. Dal 2005 al 2020 le persone sotto la soglia di povertà sono triplicate, passando dal 3,3% al 9,4%. Ora però sembra che il Pnrr con i suoi 192 miliardi, cui se ne sommano altri 30 stanziati dal governo, possa davvero dare la svolta che serve. I tipici problemi da fronteggiare (e da risolvere) in Italia sono la carenza sistemica di un management professionale, dal momento che in genere le imprese familiari sono gestite dall’imprenditore stesso; il problema delle seconde generazioni che rischiano di perdere interesse nelle aziende di famiglia; la resistenza al cambiamento e la riluttanza ad aprire il capitale a terze parti. Analoghe difficoltà si incontrano nel cedere pezzi di “sovranità”.

La quantità di risorse messe in campo per rilanciare la crescita, gli investimenti e le riforme ammonta a 750 miliardi di
euro, dei quali oltre la metà, 390 miliardi, è costituita da sovvenzioni. Le risorse destinate al Dispositivo per la Ripresa e Resilienza (RRF), la componente più rilevante del programma, sono reperite attraverso l’emissione di titoli obbligazionari dell’UE, facendo leva sull’innalzamento del tetto alle Risorse Proprie. Queste emissioni si uniscono a quelle già in corso da settembre 2020 per finanziare il programma di “sostegno temporaneo per attenuare i rischi di disoccupazione in un’emergenza” (Support to Mitigate Unemployment Risks in an Emergency – SURE)

A rischiare sono soprattutto le pmi

Sono le società piccole e micro le più a rischio, e questo è testimoniato da un’analisi di Cerved che cataloga le imprese in base al rischio di insolvenza. L’analisi che risale al pre Covid indica che nel periodo preso in esame ci siano stati più upgrade che downgrade, con un forte svuotamento dell’area di vulnerabilità (-23 mila società) e un aumento sia dell’area di rischio (+17 mila unità, passata in percentuale dal 13,8% al 16,8%) sia dell’area di sicurezza (+6 mila, dal 13,5% al 14,5%). L’evoluzione del rischio è stata fortemente influenzata dalla dimensione: l’aumento preoccupante dell’area di rischio è stato quello per le società più piccole (dal 15,2% al 19%), mentre la distribuzione per rischio delle imprese più grandi si è spostato verso le classi più sicure. Insomma le microimprese sono arrivate all’appuntamento con il Covid già con una situazione drammatica. Perché non crescevano, perché non erano capaci di entrare nel grande mercato dei capitali, perché non erano state in grado di uscire da una logica “bancocentrica” che le ha estromesse da qualsiasi possibilità di aprirsi e di ridurre il rischio.

Nel corso del 2020 le PMI uscite dal mercato a seguito di una procedure concorsuale o una liquidazione volontaria sono state 3.779, un dato che risulta in forte calo rispetto alle 4.951 chiusure del 2019 (-23,7%), interrompendo il trend di crescita delle procedure osservato a partire dal 2018. La riduzione delle procedure aperte è stata più sostenuta nel primo semestre (-25,0%), segnato dal lockdown e dal blocco delle attività economiche, mantenendosi comunque su livelli molto elevati anche nella seconda metà dell’anno (-22,8%). Nei primi sei mesi del 2021 le chiusure di impresa delle PMI risultano ancora su livelli molto bassi. A fine giugno 2021 si registra un numero di chiusure ancora in calo su base annua (-2,9%), con livelli molto distanti dalle procedure aperte prima del Covid (-28,2% rispetto al 1H 2019). Fonte Cerved

Ma come si calcola il valore di un’azienda?

Claudia Lotti, Partner e Associate Director di Bcg

Il tema del calcolo del valore aziendale è fondamentale per impostare qualsiasi procedura. Si parte da lì sia nel caso di aperture del capitale sia nell’ipotesi che si renda necessaria una ristrutturazione operativa e/o patrimoniale. La domanda è dunque quanto vale un’impresa? E quanto, soprattutto, quando denaro è giusto investire nel tentativo di salvarla. Esiste un valore di continuità operativa e uno di mercato, cioè di potenziale shareholder return. «Sicuramente la crisi e la modalità di gestione impatta l’operatività e anche l’immagine – ci spiega Claudia Lotti, Partner e Associate Director di Bcg. Che cosa succede in seguito a una decisione sbagliata in un momento complesso? Si rischia di vederla entrare in percorsi accidentati che possono creare tensione con gli shareholder e far scattare ulteriori campanelli d’allarme». Per questo motivo assumono ancora più rilevanza strumenti per la quantificazione e la tutela del valore residuo di avviamento; proprio su questa grandezza, un processo pubblico di risanamento come il concordato preventivo, per via delle informazioni che necessariamente diffonde al mercato (e quindi anche ai competitor), ha un impatto negativo – cosa che non avviene od avverrebbe in maniera molto minore invece nel caso di composizione negoziata della crisi, in un contesto sostanzialmente stragiudiziale.

L’importanza del cambiamento. Perché il mero taglio dei costi dura poco e soprattutto serve a poco

Il Coronavirus ha colpito pesantemente interi comparti più che singole aziende: è stato quel famoso “Cigno nero” di cui parlava Nicholas Taleb e che oggi ha dispiegato la sua potenza. È la seconda volta in 15 anni che vediamo eventi “improbabili” avverarsi in tempi stretti. La prima volta fu con la crisi dei mutui subprime e il tracollo di Lehman Brothers. Ma la crisi porta con sé anche l’esigenza del cambiamento. Per questo motivo è preoccupante vedere che, in questo momento storico, sembra che si riesca a fare dei piani che hanno come scopo principale il semplice taglio dei costi: è invece necessario interpretare il cambiamento in modo più pervasivo, in modo da ridare valore all’attività che può continuare. «Da questo punto di vista c’è un tema di estrema attualità – chiosa Farinacci – perché bisognerà capire quale sarà la modalità di selezione e formazione delle figure deputate alla composizione negoziata. L’esperto dovrà assumere un ruolo ben diverso da quello del “liquidatore”, per rivestire pienamente il ruolo di mediatore che la legge gli conferisce dovrà saper leggere l’azienda e capire se vi sono margini per un’inversione di trend, anche alla luce delle concessioni ottenibili dai creditori. Così come comprendere quando la situazione della società nel suo contesto competitivo e troppo compromessa. Quando la manifestazione della crisi si manifesta all’esterno l’azienda è già in avanzato stato di difficoltà e spesso questo risultato è figlio di una protratta inazione. Serve una figura che sia in grado di comprendere il valore residuo di avviamento, che valutare e comunicare la serietà del progetto di riorganizzazione dell’impresa».

Il congelamento delle chiusure di impresa nel 2020 ha avuto riflessi sugli exit ratio, che misurano la quota di PMI che hanno lasciato il mercato rispetto alle PMI attive8 . L’indicatore è passato dal 2,5% del 2019 all’1,9% 2020, raggiungendo i livelli minimi della serie storica. Sul piano settoriale, la riduzione più netta degli exit ratio ha riguardato le costruzioni (dal 2,8% all’1,8%), seguite dall’agricoltura (dal 2,1% all’1,3%), dall’energia e utility (dall’1,8% all’1,0%) e dai servizi (dal 2,8% al 2,1%), mentre nell’industria l’indice cala in misura più contenuta (dall’1,9% all’1,5%). Fonte Cerved

Il ruolo dei consulenti e la strutturazione della road map

Francesco Leone, Managing Director e Partner di Bcg, Bcg Turn leader per Italia, Grecia, Turchia e Israele

Proprio comprendendo il ruolo di mediatore conferito all’esperto nominato nella composizione negoziata della crisi appare chiaro l’importante ruolo che avranno i consulenti a fianco degli imprenditori che decideranno di affrontare questo processo per tempo. L’esperto dovrà ricevere in maniera già elaborata obiettivi e spunti perseguibili, non potrà esser richiesto all’esperto stesso la redazione del piano o l’ideazione della manovra finanziaria. A questa constatazione si aggiunge la natura peculiare del tessuto imprenditoriale italiane, è auspicabile che le imprese vengano guidate da mani esperte e con una visione esterna. «La nostra figura – aggiunge Leone – ha una sua importantissima ragion d’essere. Prima di tutto, perché sappiamo come guardare alle aziende e siamo pronti a intervenire in maniera rapida. Se anche l’impresa ha un suo piano, possiamo riprenderlo alla luce delle mutate condizioni. Se non c’è una chiara mappa di che cosa fare, con tempistiche precise, si rischia soltanto di perdere denaro e tempo. La prima cosa che facciamo, dunque, è il rapid assessment, cioè l’identificazione delle priorità d’azione per trasformarle in obiettivi specifici».

Il secondo passaggio è l’analisi della struttura dei costi, un intervento che consente di ottenere risultati in tempi brevi, circa sei mesi. Lo step successivo è di tradurre le azioni in investimenti necessari, in interlocuzioni con gli stakeholder finanziari per decidere come gestire il tema della capitalizzazione. «Questo passaggio – ci spiega Leone – è fondamentale per quando si dovrà gestire la situazione gli istituti di credito o per cercare nuovi partner. In parallelo, infine, gestiamo anche la tesoreria, piani previsionali a breve e medio termine e ci occupiamo della cassa». Il primo obiettivo di chi deve gestire un’impresa in difficoltà è quello di stabilizzare la situazione. Bisogna essere tempestivi, perché altrimenti ogni sforzo rischia di essere vanificato. «L’aspetto aggiuntivo che sottolineiamo noi di Bcg Turn – afferma Farinacci – è che poiché la crisi è una fase nella vita delle aziende, esiste un approccio, un pattern di comportamenti che possono essere replicati e modalità operative appropriate per affiancare il management team. Per questo motivo bisogna affiancare il ceo lungo tutto il programma di turnaround, non solo intervenendo nella stabilizzazione/ fase iniziale e sui costi ma nell’aiutare a ridefinire un perimetro aziendale sostenibile anche nel lungo. Da notare, inoltre, che molte aziende anche non piccole non hanno uso od attitudine alla gestione proattiva della cassa, spesso oggetto solo di una sporadica consuntivazione. Ci sono quindi spesso importanti ambiti di miglioramento».

 

Che cosa succederà quando verranno meno i supporti pubblici?

Gkn è tra i tavoli di crisi del Mise

Dal marzo del 2020 in poi, da quando cioè sono stati avviati i dispositivi normativi a protezione delle imprese, la situazione è stata quasi congelata, sperando che non si compromettessero troppe aziende ma che, tra moratorie e crediti garantiti, si potesse “buttare la palla oltre l’ostacolo”. «Questi 18 mesi – ci racconta Claudia Lotti – sono stati una sorta di anestesia del sistema. In realtà tutto quello che è stato messo in pista, e che poteva far presagire a un boom delle ristrutturazioni, non ha per il momento portato a un incremento delle procedure. C’è ancora molta liquidità da investire e l’incremento di Npe atteso sarà armonizzato dall’avvento di molti investitori specializzati che già da tempo hanno industrializzato il processo disinnescando i principali rischi. Al momento non abbiamo neanche “letteratura” di grandi casi di ristrutturazioni a livello europeo. Certo, ci sono state richieste di rifinanziamento, ma al momento tutto è ancora tranquillo».

Il problema è però di carattere macroeconomico. L’eccesso di risorse nella fase di stabilizzazione non ha portato a idee troppo chiare su come uscire da questa emergenza e tornare alla normalità. «Per questo – aggiunge Lotti – si è venuta a creare una situazione diversa dalla crisi finanziaria del 2008: se si proverà ad aumentare i tassi, avendo dopato così tanto il sistema, gli effetti potrebbero non essere facilmente governabili». Diventa difficile fare previsioni per il futuro: prima di tutto, perché non ci si è mai trovati in una situazione del genere sia in negativo – il blocco totale delle attività per quasi due mesi – sia in positivo, con lo spiegamento delle moratorie prime e, soprattutto, del Pnrr.

La componente “Politiche per il lavoro” mira ad accompagnare la trasformazione del mercato del lavoro
con adeguati strumenti che facilitino le transizioni occupazionali; a migliorare l’occupabilità dei
lavoratori; a innalzare il livello delle tutele attraverso la formazione

L’approccio di Bcg Turn

Embraco
Embraco, veduta aerea dello stabilimento di Chieri (dal sito ufficiale dell’azienda). Embraco è tra i tavoli di crisi del Mise

L’approccio di Boston Consulting Group messo in pratica da Bcg Turn si articola su tre ambiti: il primo è il cosiddetto “Funding the journey”, in cui vengono ricercate in modo sistematico tutte le leve per liberare capitale e generare liquidità in modo da finanziare il percorso di trasformazione, appunto la “journey”. Il secondo ambito è quello di identificare le nuove modalità organizzative e di funzionamento aziendale per consentire un miglioramento non incrementale di performance; infine, per dare solidità al progetto occorre ricercare la sostenibilità di tale performance nel medio periodo, ovvero un orientamento strategico. Bcg Turn è un’unità speciale all’interno di Bcg che aiuta le aziende a orchestrare un’efficace inversione di tendenza quando segnali interni indicano la necessità di un’azione rapida e mirata e/o quando le aziende sono alle prese con un’urgente necessità di cambiamento per effetto di discontinuità di settore.

L’approccio di Bcg Turn è quello di intervenire con un impatto immediato sui profitti, sul flusso di cassa e sulla crescita, concentrandosi su ciò che i clienti debbono metter in pratica per garantire il successo futuro. I processi di ristrutturazione degli ultimi anni hanno dimostrato che anche le procedure concorsuali con obiettivi di risanamento (come il concordato preventivo) possono portare alla distruzione di valore; similmente gli accordi di natura stragiudiziale, oltre che aver sempre rappresentato dei rischi per le parti coinvolte specie in Italia, hanno sovente solo avuto l’obiettivo di procrastinare alcuni nodi di fondo e non mancano le c.d. procedure multiple; in questo contesto la nuova procedura di “composizione negoziata della crisi” consente finalmente di portare lo stragiudiziale in un alveo definito e protetto, consente la confidenzialità ma anche le necessarie protezioni al debitore ove richiesto ed introduce il ruolo del facilitatore professionale terzo che non sostituisce ma esalta quello dell’imprenditore e dei suoi consulenti, rappresentando un’importante novità. Naturalmente sarà cruciale il primo anno di effettività e quindi fino a novembre 2022 e tutti gli operatori, a partire dalle Camere di Commercio, sono chiamati alla massima collaborazione per avviare in maniera virtuoso il nuovo approccio.














Articolo precedenteErg investe 196 milioni sull’energia pulita in Spagna e Sicilia
Articolo successivoLogisticamente digitali, un webinar per sviscerare il tema della digitalizzazione della supply chain (4 marzo)






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui