Auto elettrica? Un fallimento! In Italia immatricolazioni 2022 -26,5%. E intanto i cinesi…

di Marco De' Francesco ♦︎ Le decisioni della Ue stanno affossando il comparto. È un assist per l’industria automobilistica cinese, che sta sbarcando in Europa con Great Wall Motors, Ayways, Mg, Saic Maxus. Pechino ha tecnologie più avanzate, macchine con più autonomia, materie prime, componentistica specializzata. Le soluzioni? Spostare in avanti lo stop Ue a diesel e benzina (2035), investire sul diesel euro 7 e… Ne parliamo con Laura Gobbini (Dataforce)

Brusca frenata per l’auto elettrica: nel 2022 in Italia se ne sono vendute il 26,5% in meno, con una quota di mercato totale del 4,3%. Soprattutto perché le auto elettriche costano carissime (per i modelli medio-bassi il prezzo è praticamente doppio). Ma anche perché mancano le colonnine di ricarica, condannando l’incauto acquirente alla continua paura di restare a piedi. E perché l’energia è sempre più cara, come è ben noto. Insomma, la decisione dell’Unione Europea (su spinta tedesca) di imporre dall’alto un brusco cambio di paradigma (tra l’altro senza sensibili effetti ambientali, anzi c’è chi dice che nel loro complesso questi motori inquinano ben di più dei pulitissimi diesel euro 6) si sta manifestando sempre di più per quello che è: un suicidio industriale. Una brutta botta per il principale settore industriale europeo, che dà da vivere a milioni di persone. E un assist per la nascente industria automobilistica cinese, che sta sbarcando in massa in Europa con nomi che oggi conoscono in pochi: Great Wall Motors, Ayways, Mg (già britannica), Saic Maxus, e altri. È una lotta impari, e lo era fin dall’inizio. Da parte loro, i Cinesi hanno: tecnologie più avanzate, macchine dotate di più autonomia, materie prime, componentistica specializzata e proprietà intellettuale. Non stupisce che saranno in grado di portare sul mercato auto green al costo di 15mila euro, mentre le Case europee con difficoltà riusciranno a scendere sotto i 30mila euro.

Uno dei Paesi paradigmatici di questo disastro è l’Italia. Qui l’auto green non la vuole quasi nessuno. Come si diceva, le auto elettriche hanno una quota del 4,3% e le immatricolazioni sono diminuite del 26,5% nel 2022, mentre le ibride plug-in sono calate del 6% e rappresentano il 5,2% delle immatricolazioni dello scorso dicembre. Non la vuole il privato, che con gli stessi soldi si compra una macchina decente endotermica; non la vuole l’azienda, neppure in affitto, perché quello di una 500 elettrica è più o meno equivalente a quello di una grossa Bmw a combustibile fossile. Peraltro, dato il costo dell’energia elettrica, oggi una “ricarica” costa anche più di un “pieno”. Perciò, il piano di incentivi 2023 all’acquisto di nuove auto a zero e a basse emissioni – 575 milioni di euro suddivisi nelle fasce 0-20, 21-60 e 61-135 g/km di CO2, prenotabili già dal 10 gennaio – rappresenta soltanto un “suicidio assistito” per la filiera continentale dell’automotive.







È una partita in cui hanno perso tutti i protagonisti: le grandi Case europee, che hanno investito fior di miliardi in piattaforme green e che non vedranno mai un Roi – e che pertanto rischiano il fallimento; i lavoratori degli Oem, che secondo lo stesso Tavares rischiano di rimanere a casa in gran numero; i componentisti auto (che in Italia rappresentano 40 miliardi di fatturato) destinati ad essere soppiantati da quelli cinesi, detentori di proprietà intellettuale specifica; e l’utente finale, che si sente spennato da decisioni prese dall’alto e che sempre meno capisce le ragioni della causa green, visto che l’Italia produce lo 0,6% (228 milioni di tonnellate su 37 miliardi) delle emissioni globali di CO2, mentre la Cina (11,5 miliardi di tonnellate, il 31%) e l’India (2,6 miliardi, pari al 7%) se ne infischiano delle questioni ambientali. Inquinano sempre di più. E anzi, l’India ha superato l’intera Europa a 27 (2,5 miliardi, pari al 6,7%). D’altra parte, India e Cina sono Paesi dove l’infelice eroina Greta Thunberg non va; e che investono i propri soldi non in cappotti termici, ma in R&D, creando le condizioni per il proprio vantaggio competitivo al fine del deragliamento delle filiere industriali europee.

Cosa si può fare? L’idea migliore sarebbe quella di tornare a investire sul diesel Euro 7, che peraltro nel ciclo vita inquina molto meno dell’auto green (i “villaggi del cancro” cinesi, quelli dovuti agli stagni di lisciviazione tossico-radioattivi legati all’estrazione di terre rare, sono irreversibili, dice l’università di Harvard). Ma se si arriverà a questo, sarà soltanto in extremis, perché costretti. Ne abbiamo parlato con Laura Gobbini, Project manager & Data Analyst di Dataforce (società di analisi di mercato con quartier generale a Francoforte sul Meno e che opera a livello internazionale, fornendo all’industria automobilistica informazioni concernenti le flotte e, più in generale, i vari canali di vendita presenti sui mercati) Italia. 

 

D: In Italia, le immatricolazioni di veicoli green si sono ridotte considerevolmente nel 2022, e rappresentano ancora il nulla percentuale. Come si spiega tutto questo?

Laura Gobbini, Project manager & Data Analyst di Dataforce

R: Che l’elettrificazione dell’auto sia un fallimento, lo si sapeva da sempre. Da quando è nata questa isteria tutta europea – peraltro destinata a portare benefici ambientali quasi nulli – gli operatori del settore, lo sapevano. Noi di Dataforce, in tempi non sospetti, lo avevamo capito; e lo abbiamo correttamente riportato. Adesso, tutte le Case automobilistiche europee, in guai seri, tendono a raccontare che “l’elettrico è il futuro”. È possibile: ma non è il loro futuro. È un futuro cinese.

D: Perché l’elettrico è un futuro cinese?

R: Perché alle condizioni europee l’elettrico non lo vuole quasi nessuno, tra gli utenti. Tutta questa frenesia, la transizione green, è stata creata solo per dar vita ad una nuova domanda di mercato, che si potesse sommare a quella già esistente. È stato un grande errore, incomprensibile anche dal punto di vista ambientale, visto che le emissioni di CO2 e ossidi di azoto e particolato erano ai minimi storici, con l’Euro 6. Così, i costruttori europei si sono addentrati in un mercato in cui non c’entravano nulla, in termini di competenze, di materie prime, di batterie, di esperienza e di brevetti. Un suicidio che si fatica a comprendere e a spiegare. Ma che è nato con i Tedeschi. In ogni caso, come si diceva, i consumatori non ne vogliono sapere, perché il green costa troppo e perché non avvertono l’urgenza del cambiamento.

D: Perché dice che sono stati i Tedeschi a dare il “la” allo sfacelo?

R: Perché sino a non troppi anni fa neppure i Cinesi ne sapevano molto di green. Anzi, non ne sapevano molto di auto in generale, se non quanto ai carrozzoni che costruivano. Sono state le joint venture, come quella del 2003, ad esempio, tra la Bmw e la Brilliance di Shenyang, a far sì che i Cinesi assumessero le giuste competenze nel mondo automotive. Poi Pechino ha furbescamente invitato i Tedeschi a fare batterie e auto green; e dopo un po’ di anni l’allievo ha superato il maestro.

immatricolazioni annuali per tipo di alimentazione

D: E perché i consumatori non ne vogliono sapere dell’auto green?

R: Per tanti motivi. Anzitutto il costo della ricarica. Prima potevano sperare di compensare con ricariche a basso costo il prezzo dell’acquisto, ma non è andata così. Inizialmente, le tariffe energetiche in colonnina erano bassissime; Enel aveva addirittura realizzato una card con pagamento mensile, una specie di abbonamento scontato. Si diceva che si potessero fare 500 km con 7,5 euro. Ora la spesa per la ricarica è più o meno equivalente a quella del pieno di benzina o del diesel. Non conviene neppure da questo punto di vista. Il problema più grosso, però, è quello del costo dell’auto green.

D: E perché il costo dell’auto green dovrebbe favorire i Cinesi?

Suv Aiways U5, che costa da 42.750 euro

R: Gli Oem europei pensano che se la caveranno mettendo sul mercato auto green che costano 30 o 40mila euro. Invece, è più probabile che l’utente del Vecchio Continente compri, ad esempio, se e quando saranno lanciate in Europa, una Lumin Corn (4.700 euro, sul mercato cinese), una Geely EX3 (7.900 euro in Cina); o una Hong Guang Mini E (utilitaria cinese da 10mila euro, già sbarcata in Est Europa); una Mullen I-Go per le consegne urbane (sarà presto commercializzata in Irlanda, Francia, Spagna, Germania, Regno Unito, con un prezzo indicativo di circa 12 mila euro).  O una Evo 3 Electric (36.600 euro). Quanto ai veicoli commerciali, sbarca in Italia Maxus, marchio del Gruppo Saic: i prezzi partono (da circa 30.500 euro Iva esclusa). Nel caso in cui l’utente volesse poi comprare un crossover elettrico, potrebbe acquistare una MG ZS Ev, (che costa 31.400 euro, 28.150 con ecobonus e 23.900 con ecobonus e rottamazione); altrimenti potrebbe puntare sul Suv Aiways U5 (che costa da 42.750 euro). Quanto al segmento premium ci sono Great Wall Motors (si legga a proposito, questo articolo di Industria Italiana) e Byd (il cui Suv elettrico Atto 3 costa però solo 38mila euro). Koelliker, peraltro, importa e vende in Europa, oltre a Aiways e Maxus, anche i brand Wuzheng (veicoli a commerciali a tre ruote), Seres, e altri.  La casa automobilistica cino-svedese Link&Co, infine, è arrivata in Italia con la formula della subscription: si può prendere l’auto con abbonamento mensile. Ma il problema non riguarda solo i privati.  

D: Perché il problema non riguarda solo gli acquirenti privati?

Il crossover elettrico MG ZS EV, che costa 31.400 euro, 28.150 con ecobonus e 23.900 con ecobonus e rottamazione

R: Perché, sempre per una questione di costi, le aziende non comprano auto elettriche; e non solo per questo: nel green il cambiamento tecnologico è velocissimo, e quindi fra 5 anni un’auto ad emissioni zero non varrà un granché. Va detto che le aziende neanche le prendono a noleggio, le macchine elettriche. Alla fine, quello di una 500 elettrica costa come quello di una premium tedesca endotermica. Perché dovrebbero farlo?        

D: C’è il rischio di implosione definitiva dell’automotive europeo?

R: Direi di sì. Com’è noto, gli Oem continentali hanno fatto degli investimenti giganteschi nelle piattaforme green, forse i più imponenti che la storia dell’industria globale ricordi. Sembra onestamente quasi impossibile immaginare un Roi.

D: Perché, per adesso, i costruttori europei non hanno fatto sentire la propria voce, a parte qualche rara dichiarazione qua e là?

Hong Guang Mini E, utilitaria cinese da 10mila euro, già sbarcata in Est Europa

R: Perché per ora non hanno venduto molto, ma hanno fatto margini altissimi. La diminuzione dell’offerta dovuta alla carenza di chip e ai costi dell’energia, ha determinato un aumento dei prezzi. E trimestrali in positivo per le case automobilistiche. Solo che i Cinesi hanno capito il punto di debolezza dell’Europa, e con una accorta politica sui prezzi stanno cominciando a penetrare il mercato del Vecchio Continente, partendo dai segmenti di minor valore. Gli Oem europei si troveranno a competere in un mercato sempre più stretto. Non si può escludere, a mio parere, che alcuni di loro, piuttosto che fallire, preferiranno focalizzarsi sulla strategia delle aggregazioni. Ma bisognava pensarci prima.       

D: Ora sono disponibili gli incentivi 2023 all’acquisto di nuove auto a zero e a basse emissioni. L’auto green funziona solo se è sponsorizzata dallo Stato?

R: Considerata la situazione, direi che per l’automotive italiano ed europeo gli incentivi costituiscono un suicidio assistito. Un palliativo, che non è destinato a funzionare veramente. Qualcosa si smuove, quando ci sono gli incentivi, ma poco. D’altra parte, se un’auto costa 40mila euro, e io ho un budget di 20mila, non sono certo gli incentivi di 5mila a spingermi a comprarla. Hanno funzionato in Danimarca, gli incentivi: lì le macchine costano tantissimo, e lo Stato aveva definito un intervento del 30% sull’acquisto dei plug-in. Si è visto però, che nessuno faceva la ricarica ma tutti il pieno, con un aumento della CO2. Insomma, dopo due anni lo Stato è tornato indietro: neppure i Danesi erano motivati dalle ragioni ambientali tanto in voga.

Il contributo italiano alle emissioni di CO2

D: Chi ha perduto in questa partita?

R: In Europa perdono tutti. Anzitutto perdono le case automobilistiche, che disponevano di una tecnologia in cui primeggiavano (il diesel), abbandonata per un’altra di cui sanno poco e per l’affermazione della quale mancano di tutto, dalle materie prime alla giusta componentistica. Peraltro hanno svalutato il valore dei propri brand, visto che il motore è assai meno caratterizzato. Perdono i componentisti, destinati in gran parte ad essere sostituiti da quelli cinesi, che dispongono del Know How e dei brevetti. Perdono i lavoratori, di questi ultimi e degli Oem: molti resteranno a casa. Ci saranno centinaia di migliaia di disoccupati, in giro per l’Europa. Perdono gli acquirenti, i quali si sentono sempre più forzati verso scelte che non condividono, e che sono state imposte dall’alto. Perde anche l’ambiente, perché nessuno ha capito come si fa a smaltire le batterie e le terre rare – la cui estrazione, peraltro, produce migliaia di tonnellate di rifiuti tossici. 

immatricolazioni di dicembre per tipo di alimentazione

D: C’è speranza? Che cosa si può fare per mettere una pezza a questa situazione?  

R: Credo che ormai sia troppo tardi. Non perché attualmente non si possa fare qualcosa, ma perché non c’è neppure la volontà di farla. Solo quando gli Oem capiranno di aver intrapreso una strada che non porta da nessuna parte si cercherà di rimediare, ma allora sarà sicuramente ed oggettivamente troppo tardi. La cosa da fare sarebbe quella di spostare in avanti lo stop Eu a diesel e benzina, attualmente previsto con una tempistica irrealistica, quella del 2035. Questa dilazione consentirebbe all’Europa di mettersi al pari con la tecnologia cinese. In secondo luogo, bisognerebbe investire sul Diesel Euro 7: questa tecnologia è, sul ciclo vita, assai meno inquinante dell’elettrico, e consentirebbe al Vecchio Continente di rimanere sul mercato. Ma a questo punto dubito che la Commissione Europea trovi il coraggio di tornare indietro sui propri passi. 














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