Assemblea Generale Federmeccanica: il lavoro ha una «centralità marginale». I risultati della ricerca sul Quality Working

Per il 32% della popolazione tra gli 18-34 anni il lavoro è sopravanzato da altri valori. Bell’immaginario collettivo esiste una dissociazione fra i termini “industria” e “fabbrica”, la prima connotata in senso positivo, la seconda decisamente meno

Il ministro Giorgetti in occasione dell'Assemblea Generale di Federmeccanica

L’Italia, precedentemente all’avvento della pandemia, vedeva una quota decisamente marginale di lavoratori operare da remoto (1,2%) e le chiusure obbligate dalla diffusione del Covid-19, ha prefigurato l’utilizzo dello smart working più come una modalità adattiva all’emergenza, piuttosto che strategia per realizzare una nuova organizzazione del lavoro e dell’impresa. Attualmente, la quota di occupati che – con diverse formule – lavora al di fuori dell’ambiente di lavoro ammonta circa al 15-16%. E sono soprattutto concentrati in alcuni comparti del terziario, mentre nel manifatturiero – intuitivamente – è perlopiù ridotta alle funzioni di carattere amministrativo.

Una seconda osservazione riguarda l’applicazione effettiva dello smart working: infatti, più spesso si è trattato di “lavoro da remoto” (remote working) e “telelavoro o lavoro da casa” (working from home), poiché lo smart working prevede la realizzazione in tempi, modalità e luoghi decisi autonomamente dal lavoratore, dove il lavoro avviene per il raggiungimento di obiettivi definiti, più che sulle funzioni.







Quanto è avvenuto nel biennio 2020-2021 ha rappresentato uno spartiacque simbolico, introducendo nuovi codici con i quali le persone interpretano e rappresentano la propria vita. Oggi siamo al cospetto di quality working. Ben inteso: gli aspetti materiali (condizioni, tutele, salario) continuano a essere importanti. Ma, a parità di condizioni, diventano centrali e determinanti altre dimensioni, come le buone relazioni nel luogo di lavoro, le possibilità di prospettive di carriera, l’identificazione e il coinvolgimento nei valori dell’impresa, la formazione e così via. In una parola, gli aspetti «qualitativi» del lavoro.

Guardando all’insieme degli aspetti considerati importanti nella vita degli italiani, al cui interno insiste il lavoro, otteniamo un primo scenario: il 53,8%, dispone sul medesimo piano di importanza le diverse dimensioni (famiglia/sport/tempo libero/impegno sociale/cultura e lavoro); altri due gruppi però, definiscono invece delle priorità nella propria vita: il 29,2% mescolano aspetti di fondo della vita (famiglia, lavoro, salute e cultura) con altri legati al loisir (tempo libero e amici) mentre il 17,0% individua nella religione, nella politica e nell’impegno sociale gli elementi cardine di riferimento. Tuttavia, per le giovani generazioni (18-35 anni), tutti gli aspetti suggeriti – tranne lo sport – hanno un grado di importanza inferiore rispetto a quanto dichiarato dai senior (over 65).

È all’interno di questo quadro che si colloca anche il valore del lavoro. Rimane un elemento di identificazione sociale, anche per le giovani generazioni, sia la sua valenza «espressiva» (40,2%) in quanto dà significato alla propria vita, consente di avere soddisfazioni e raggiungere il successo, sia per una valenza «strumentale» (24,9%), come mezzo per guadagnarsi un salario e come sacrificio inevitabile. Ma, per una parte rilevante (il 32,2% della popolazione tra gli 18-34 anni), il lavoro è sopravanzato da altri valori. Si potrebbe sostenere che il lavoro ha una «centralità marginale» nell’orizzonte simbolico della gioventù odierna. È certamente importante, ma… deve potersi coniugare e relazionare con altri aspetti della vita. Infatti, il 66,9% degli intervistati ritiene che la ricerca di soddisfazioni sul lavoro (insieme ad una diversa organizzazione dello stesso) sia più importante dell’avere un’occupazione stabile e ben retribuita. Ancora una volta, la dimensione quality – come l’aspetto immateriale – del lavoro prevale.

Quest’ultimo aspetto si lega alla questione delle Great Resignation: a distanza di un anno da una precedente rilevazione, la quota di quanti prefigurano l’intenzione di cambiare lavoro prossimamente tende a diminuire: 37,6%, dal 45,1% del 2022. È plausibile supporre che si tratti di un calo dovuto all’aumentata incertezza dell’economia e dai problemi che avversano le famiglie. Ciò che non muta, però, sono le motivazioni che afferiscono – una volta di più – a criteri segnati dalla «qualità»: bilanciamento del lavoro con gli spazi personali, l’avere maggiori possibilità di progredire nella crescita professionale, assieme all’opportunità di mettere a frutto le passioni personali, piuttosto che la flessibilità nell’organizzare gli orari di lavoro.

La ricerca evidenzia la presenza di alcune «dissonanze» che caratterizzano le visioni degli italiani sui temi del lavoro.

La prima riguarda il “luogo” del lavoro: nell’immaginario collettivo esiste una dissociazione fra i termini “industria” e “fabbrica”, la prima connotata in senso positivo, la seconda decisamente meno: un posto dove praticamente nessuno vorrebbe andare a lavorare.

La seconda è l’«ombra oscura» che aleggia sul lavoro in Italia: il 59,2% degli interpellati rilancia un’immagine totalmente negativa degli aspetti che lo tratteggiano. La sfiducia è il sentimento che pervade la visione del lavoro nel nostro paese, al punto che per il 54,4% è giusto andare lontano da casa se si vuole fare il lavoro desiderato. Un lavoro vessato dall’imposizione fiscale: oltre quattro quinti (84,4%) lo ritiene troppo tassato, il 70,9% ha un costo troppo elevato per le imprese.

La terza dissonanza riguarda il cosiddetto “Made in Italy” che per gli economisti è costituito dalle “4A”: Agrifood, Abbigliamento, Arredo e Automotive (fra cui la meccanica). Chiedendo agli italiani quali siano i settori che più lo rappresentano le “4A” diventano “3A” più “1R”, dove le “A” sono rappresentate effettivamente da Agrifood, Abbigliamento, Arredo e la “R” da Ristoranti. L’Automotive e la meccanica svaniscono. Dunque, si pone un tema sicuramente di conoscenza da parte della popolazione del reale peso di un settore produttivo centrale come l’automotive e la meccanica. Ma, per converso, ritorna la questione della capacità delle imprese di questo settore di comunicare adeguatamente il loro ruolo fondamentale nel contribuire al marchio del “Made in Italy”.

Ultimo tema trattato è quello del ruolo della famiglia nell’affrontare due bivi importanti della propria vita come la scelta scolastica e quella lavorativa. Il ruolo preponderante è (stato) svolto per le generazioni più giovani (18-34 anni) dalla madre, sia sul versante scolastico (31,9%) che lavorativo (25,4%). I padri vengono sempre in secondo piano (rispettivamente l’11,4% e il 13,4%). Ma non è sempre stato così. Infatti, all’aumentare delle coorti di età, i ruoli si invertono. Per i senior (oltre 65 anni) erano i padri il riferimento sia per le scelte scolastiche (23,0%, 17,9% le madri), che per quelle lavorative (23,7%, 16,5% le madri).

Inoltre, il 40 e 42% degli intervistati dichiara di aver ricevuto consigli, ma di essere stato lasciato libero di scegliere secondo le proprie aspirazioni e inclinazioni. Il 24-30%, invece, ha avvertito un condizionamento dalla famiglia, a seguire un indirizzo piuttosto che un altro. E il 29-34% circa abbia avuto sentore che tali questioni lasciassero indifferenti i propri genitori.














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