Ma dove vogliono arrivare le imprese elettroniche italiane?

di Marco de’ Francesco ♦ Le imprese di Anie crescono e pensano alla formazione 4.0. Focus sul capitale umano nella tavola rotonda a margine dell’ assemblea. Gli interventi di Busetto, Gallo, Carnevale Maffè, Santoni, Resta. Vincenzo Boccia di Confindustria e le strategie sullo sviluppo economico 

Un piano di “Formazione 4.0”, per plasmare nuove professionalità e favorire il “reskilling” di lavoratori maturi coinvolgendo le università. Un programma congiunto di industria e istituzioni, per incrementare le abilità dei manager, data la loro difficoltà di prendere decisioni strategiche. L’istituzione di zone professionali speciali, per favorire la “tracciabilità” delle competenze via Cloud. Un progetto per mettere insieme, in azienda, quelle di lavoratori appartenenti a diverse generazioni.
Si tratta di alcune fra le idee sulla formazione emerse nel corso di tavole rotonde tenute ieri a Milano nel contesto dell’Assemblea ANIE 2018, intitolata “Tecnologie, digitalizzazione, sostenibilità: l’Italia delle eccellenze”.

Nella consapevolezza che nuovi skill vanno formati in un contesto interdisciplinare, visto tutte le grandi sfide, dalla mobilità all’energia, hanno bisogno di un approccio di questo tipo. Ieri dopo la relazione del presidente della Federazione di primo livello che rappresenta le imprese elettroniche ed elettrotecniche italiane, Giuliano Busetto, è intervenuto anche il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, secondo il quale è il momento di passare dalla politica dei fattori di competitività a quella della missione del Paese. Con un solo obiettivo in tre parole: lavoro, crescita e debito (da ridurre). Per Boccia, peraltro, l’UE e l’euro sono imprescindibili: ma l’Europa va riformata dall’interno.







 

Il presidente di anie Giuliano Busetto, tiene la sua relazione all’ assemblea 2018 (photo by Marco de’Francesco)

Le tecnologie per la digital transformation ci sono. Il problema è quello del capitale umano

Il presidente dell’ANIE Giuliano Busetto, nella sua relazione all’Assemblea, ha illustrato lo scenario economico del 2017, le prospettive per l’anno in corso e le richieste al governo in carica (è reperibile qui  ). Quanto all’anno in corso, le cose si mettono bene per le 1.300 aziende associate; i dati ISTAT relativi agli ordinativi per i settori ANIE nel primo quadrimestre del 2018 evidenziano nel confronto annuo un incremento a due cifre ( +13,9%) sia per gli ordini interni sia per quelli esteri, mentre il fatturato si attesta al +5,4%. Ma quello della formazione è un capitolo diverso.

 

 

 

Busetto l’ha messa così: «Vogliamo dare vita a una nuova “Formazione 4.0” che sia l’espressione delle nostre competenze e dell’innovazione tecnologica che la nostra Federazione è in grado di portare sul mercato. L’obiettivo non è solo formare nuove professionalità, ma anche favorire il reskilling dei lavoratori più maturi, nell’ottica di una formazione continua. In quest’ottica diventa necessario anche rivedere i piani formativi universitari e degli istituti tecnici. Per questo ANIE intensificherà i rapporti con le Università del territorio favorendo anche l’orientamento della Didattica. In questa direzione la presenza, oggi, del Rettore del Politecnico di Milano dimostra questa visione condivisa e sinergica. In breve, vogliamo diventare punto di riferimento per i nostri associati, per tutto il mondo imprenditoriale e per le istituzioni».

Secondo il direttore infrastrutture e reti globali di Enel Livio Gallo, «in effetti l’aspetto delle risorse è molto importante. Gli studiosi dicono che tra dieci o 15 anni il 45% delle attività che oggi sono svolte da persone fisiche saranno effettuate o gestite da macchine dotate di intelligenza artificiale. Questa non è la prima rivoluzione industriale che l’umanità deve affrontare; è la quarta, e le prime tre hanno impattato sul mondo del lavoro ma hanno in realtà provocato una crescita non solo dei consumi, ma anche dell’occupazione. Il fatto è che nel futuro, probabilmente, anche attività legate all’intelletto umano saranno svolte da non umani. Da questo punto di vista, l’impatto ci sarà.»

«Noi di Enel pensiamo che sia necessario un lavoro congiunto, di collaborazione tra istituzioni e industria perché sia definito un indirizzo in termini di formazione, di educazione e di ricerca. Ora, in questo momento in Enel non c’è un impatto occupazionale, ma dobbiamo prepararci per il futuro. Ma credo che i nostri manager abbiamo bisogno di nuove competenze. Perché si tratta di sviluppare tre skill legati anzitutto alla difficoltà di prendere decisioni strategiche; oggi è più difficile, i tempi sono più veloci, il mondo cambia in fretta. E poi c’è la questione dell’engagement dei nostri leader: dovrebbe essere un carattere distintivo, perché è importante la capacità dei manager di coinvolgere le risorse. Inoltre i manager devono sviluppare la capacità di ispirare fiducia e di collaborare».

 

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Un momento della tavola rotonda all’ Assemblea ANIE: da sx a dx Gallo, Santoni, Maffè, Leonardi (photo by Marco de’Francesco)

E’ importante tracciare le competenze

Sempre in tema di education e formazione, emerge l’importanza della tracciabilità delle competenze, e della necessità di mettere insieme quelle di persone appartenenti a diverse generazioni. Secondo l’economista Carlo Alberto Carnevale Maffé, «bisogna alzare la posta. In Cina hanno inventato le zone economiche speciali; perché non realizziamo le zone professionali speciali? In cui chi lavora e studia su Cloud ha trattamenti fiscali e previdenziali diversi. Tanto su Cloud tutto è tracciabile, non scappa niente. Invece di penalizzare nuove forme di coordinamento organizzativo, io propongo la zona professionale speciale a partire dai licei e dagli istituti tecnici, con l’intento di continuarne l’operatività all’università e sul mondo del lavoro, con la permanent education. La tracciabilità delle competenze è essenziale. È qualcosa che riguarda la trasparenza».

Per il presidente di ANIE Digitale Agostino Santoni «la leadership è fondamentale. Noi in Italia siamo molto competitivi, in fatto di 4.0. Ma le persone non sono solo le ragazze e i ragazzi che studiano; ma anche quelle che lavorano. Si tratta di creare un grande progetto per mettere insieme le competenze delle persone che già stanno lavorando con quelle che studiano. E poi, in azienda ci sono diverse generazioni; e io penso che chi riesce a farle lavorare bene insieme riesce a trovare la giusta energia, quella che genera competitività e successo».

Partire dal capitale umano

Ma quali competenze? Non è il caso di fare sconti alla formazione di base; piuttosto, è necessario un contesto interdisciplinare, viste tutte le grandi sfide, dalla mobilità all’energia, hanno bisogno di un approccio di questo tipo. E occorre un grande piano sull’alta formazione, con riduzione del costo del lavoro di figure che fanno innovazione. Secondo il rettore del Politecnico di Milano Ferruccio Resta, «bisogna partire dal capitale umano, perché l’innovazione è lo strumento per rendere attrattivo un territorio. Noi siamo una scuola di architettura, design e ingegneria. Quanto a qualità e internazionalizzazione, sono mezzi di rilievo per essere competitivi, anche per chi fa formazione. Ora, giusto per dare qualche numero, noi abbiamo 45mila studenti, e 3.500 tra docenti, ricercatori e assegnisti. Ci posizioniamo come la 17esima scuola di ingegneria al mondo, quinta in design e nona in architettura. Se dimezzassimo il numero degli studenti, passeremmo dalla 170esima posizione globale alla centesima; ma non è la nostra missione, visto che le aziende richiedono ingegneri, architetti e altri.»

«Noi vogliamo fare grandi numeri di qualità. Noi non facciamo nessuno sconto sulle competenze di base: noi non rincorriamo le tecnologie. Ma non significa guardare indietro. Ai nostri studenti dobbiamo dare un’apertura internazionale; e sono inutili e sterili polemiche quelle dell’inglese sì o no o delle fughe di cervelli: dobbiamo pensare che si può essere internazionali dall’Italia. Gli studenti devono cercare il lavoro, e non il Paese. Naturalmente ci deve essere un presidio delle tecnologie: i ragazzi devono sapere cosa sono i Big Data, o i robot collaborativi. Ma tutto deve essere inserito all’interno di un contesto interdisciplinare, perché oggi tutte le grandi sfide, dalla mobilità all’energia, hanno bisogno di un approccio di questo tipo».

Secondo il rettore «l’innovazione deve diventare parte dell’agenda politica delle istituzioni e delle imprese. Certo, l’innovazione fa paura; i primi robot inseriti in imprese hanno fatto dei morti. Ma, più che coraggio, occorrono dei grandi progetti pubblico-privati, da posizionare a livello internazionale. Ci vuole poi un grande investimento sull’alta formazione. La Germania ha sei volte i nostri dottorandi, e con lo stesso numero di docenti. Questi dottorandi vanno nelle istituzioni e nelle imprese; e ridisegnano l’innovazione. Occorre un programma importante per ridurre il costo del lavoro relativo a queste figure che portano innovazione». Hanno partecipato alle due tavole rotonde anche Fabio Leonardi, Ceo di Igor; Maurizio Manfellotto e Matteo Marini, Vice presidenti di ANIE Infrastrutture ed energia; e Stefano Boeri, noto architetto.

 

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Un momento della tavola rotonda all’ Assemblea ANIE: da sx a dx Boer,i Astorri, Resta, Manfellotto e Marini (photo by Marco de’Francesco)

La missione del Paese secondo Vincenzo Boccia

Occorre, secondo Boccia, un salto di qualità: dalla politica dei fattori di competitività a quella della missione del Paese. Che per il presidente di Confindustria è già stata definita. Un solo obiettivo in tre parole: lavoro, crescita e debito (da ridurre). Per Boccia,  (vedi la sua intervista su Industria Italiana  qui) peraltro, l’UE e l’euro sono imprescindibili: ma l’Europa va riformata dall’interno. «Il pensiero economico di Viale dell’Astronomia – ha affermato Boccia – sottintende un’idea di società: la politica dei fattori non basta più, ed è per questo che abbiamo sentito la necessità di un’evoluzione. A febbraio di quest’anno, nel corso delle nostre assisi a Verona, abbiamo parlato di politica delle mission, quelle relative alla missione del Paese. In buona sostanza, si tratta di definire i grandi obiettivi». E quali sono stati individuati? «Ebbene – ha continuato Boccia – me abbiamo indicato uno solo, in tre parole: lavoro, crescita e debito (da ridurre). Lavoro, sì, a partire da quello dei giovani, e per realizzarlo devi investire sulla crescita e ridurre il debito pubblico». Tutto ciò, però, pone una questione temporale.

«In quanto tempo possiamo realizzare ciò che diciamo? E questo a partire dalle infrastrutture, su cui dobbiamo rimuovere il blocco ideologico: abbiamo una dote di 140 miliardi di euro nei prossimi 15 anni relativa alle infrastrutture, e noi dibattiamo se farle o meno. Le infrastrutture, tuttavia, collegano periferia a città, territorio al centro; sono la condizione per una società inclusiva. Chi la pensa diversamente ha in mente una società esclusiva, che esclude, allontana. E per noi l’Italia è centrale: noi non siamo periferia di niente. Ma per renderla centrale devi costruire infrastrutture, altrimenti siamo meno competitivi. Questo è il Paese che immaginiamo».

Peraltro, l’industria italiana cresce in Europa. E Boccia non ha nascosto la propria posizione, e quella dell’associazione degli industriali, a favore dell’Ue e dell’euro. Ma l’Europa va riorganizzata. «Si pensi al documento che abbiamo sottoscritto a Bolzano, con la Bdi, la Confindustria tedesca, e poi con la pari associazione francese. Abbiamo siglato lo stesso messaggio e lo abbiamo inoltrato ai governi dei tre paesi: la sfida non è tra i Paesi d’Europa, ma tra l’Europa e i Paesi del mondo esterno al nostro. L’Europa va riformata dall’interno: questa è la grande sfida che il mondo industriale e europeo, a partire da Italia, Francia e Germania, sottolinea».

 

vincenzo boccia
Il presidene di Confindustria, Vincenzo Boccia, interviene all’ assemblea ANIE(photo by Marco de’Francesco)

Contro una società divisiva

Non si parte dal nulla. La politica dei fattori trasversali all’economia del Paese ha portato al Piano Calenda, che ha prodotto esiti positivi. L’importante è avere in mente l’interesse nazionale. Occorre coesione, e chi porta avanti un’idea di società divisiva, non va in questa direzione. Il riferimento è al ministro degli Interni Matteo Salvini. «Da dove ripartire? – si è chiesto Boccia – Dal 2016, quando segnalammo l’importanza della politica dei fattori, della necessità di un intervento sui elementi trasversali ai diversi comparti economici. Da lì è nato il Piano Calenda. Avevamo la consapevolezza, vivendo nelle nostre fabbriche, che non esistono settori più o meno innovativi, ma aziende più o meno innovative. Si trattava dunque di puntare a fattori di competitività-Paese». Come sia andata, è noto.

«È emerso – ha continuato Boccia – un sistema premiante per chi investiva, con iperammortamenti e superammortamenti, ed è affiorata l’idea del digitale come driver di sviluppo. Tutto ciò ha comportato effetti sull’economia reale: un aumento, nel 2017 rispetto all’anno precedente, del 30% quanto a investimenti privati, e un incremento dell’export pari al 7%. Esportazioni che valgono 540 miliardi, di cui 450 provenienti dalla manifattura». Secondo Boccia, peraltro, c’è bisogno di coesione. «Chi dice – ha affermato – come è stato detto stamane all’assemblea di Confartigianato dal ministro Salvini, che i governi di questo Paese hanno fatto molto per i grandi, mentre ora si tratterebbe di fare molto di più per i piccoli, evidentemente non ha contestualizzato un fatto: che i nostri “grandi” in Italia sono “nani” nel mondo. Lo dico senza polemiche. Perché abbiamo bisogno di un’Italia che cresca: i grandi devono diventare grandissimi; i piccoli, medi; i medi, grandi.»

«C’è necessità di uno sviluppo condiviso, non di una dimensione categoriale della politica italiana. Si deve uscire dalla campagna elettorale. C’è bisogno di una politica che abbia chiaro l’interesse nazionale; ci manca solo questo, e cioè che si divida i grandi dai piccoli per portare avanti l’idea di una società divisiva. Occorre senso di comunità, semmai, e rimettere il lavoro al centro dell’azione politica. La crescita e la diminuzione del debito pubblico, poi, sono precondizioni e non il fine. Le parti sociali devono compattarsi e non dividersi. Ci vogliono idee forti, basate su un pensiero forte, e non divisivo».














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