Anfia: ci vogliono più incentivi per l’auto elettrica o sarà una tragedia

di Marco De' Francesco ♦︎ Secondo Deloitte la propensione degli italiani ad acquistare auto elettriche è buona; ma i numeri non rispecchiano questo orientamento. Nella visione di Giorda, direttore Anfia, lo Stato dovrebbe mettere più soldi sul piatto, estendendo gli incentivi al 100% anche alle società di carsharing. I produttori, invece, devono rivendere la loro brand identity, perché la meccanica del motore e il suo sound non sono più tratti distintivi. In caso contrario, si aprirà la strada ai produttori cinesi. Ma se in Italia l'elettrico non decolla, nel resto d'Europa le cose stanno diversamente

Riusciranno gli incentivi a risollevare le sorti dell’auto elettrica? Nel 2022 le immatricolazioni hanno subito una flessione del 26,9%: ad oggi, i veicoli green rappresentano solo il 4,3% del mercato italiano. Le plug-in vanno un po’ meglio: hanno una quota dell’8,1% delle auto vendute. Di fronte al sostanziale fallimento commerciale dei modelli green, il governo ha messo sul piatto ecobonus per 575 milioni. Basteranno, questi soldi? Si bruceranno subito quelli per le auto a basse emissioni (150 milioni), ma quanto a quelli per gli ibridi plug-in e per il full electric (235 e 190 milioni), rischiano di rimanere lì dove sono, in tutto o in parte – dice il direttore di Anfia (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica) Gianmarco Giorda.

Non è un paradosso. Restano intatte le motivazioni per cui l’auto green non spopola nel Belpaese: aumento delle spese energetiche, alti costi per l’acquisto, infrastrutture insufficienti.







Per Giorda, ci sono due soluzioni per mettere in moto la macchina degli acquisti green. La prima è quella di aumentare la consistenza degli incentivi, mettendo sul piatto qualche miliardo. La seconda è quella di estenderli al 100% alle società di carsharing e noleggio (attualmente godono di ecobonus al 50%) e alle altre aziende in generale (per ora del tutto escluse dai benefici).

Nel frattempo, però, mentre l’Europa cerca di affermarsi in una tecnologia in cui manca di tutto, le case automobilistiche cinesi non solo pianificano lo sbarco in grande stile nel mercato green del Vecchio Continente, ma anche si propongono di andare a conquistare quote di mercato nel settore dei veicoli endotermici, comparto lasciato incustodito a causa del bando imposto al 2035 della Commissione Europea.

Tutto questo secondo Giorda, che abbiamo intervistato.

Le auto elettriche hanno una quota di mercato molto bassa. Peraltro, le immatricolazioni sono diminuite nel corso del 2022, rispetto all’anno precedente. Come si spiega tutto questo? È un fallimento? Gli italiani l’auto green non la vogliono? Costa troppo?

Ci sono varie motivazioni. Anzitutto, da noi, rispetto ad altri Paesi europei, il reddito pro-capite è più basso, mentre l’auto green costa di più dei modelli termici. Quindi, da noi diventa tutto più complicato, considerato che il consistente differenziale tra green e termico persiste anche in caso di incentivi. In secondo luogo, non bisogna dimenticare che in questo momento stiamo vivendo in un periodo di grande incertezza economica: si pensi all’inflazione e al costo del denaro. Sono fattori che di certo non favoriscono gli investimenti. Di nessun tipo: e cambiare l’auto è una cosa che viene dopo l’acquisto di beni di prima necessità. Ma si pensi anche all’incertezza geopolitica: quando c’è una guerra in corso, e tutta l’economia rallenta. Quindi, per gli Italiani è più complicato affacciarsi al green. Inoltre, va considerato che il sistema incentivante, come si diceva, ha dei limiti.

Il numero di immatricolazioni di veicoli a combustione è ancora di gran lunga superiore ai modelli eletttrificati

Quali sono i limiti del sistema di incentivazioni?

Cinquemila euro non bastano per sostenere la motivazione della maggior parte dei privati. Occorrerebbe mettere sul piatto qualche miliardo di più. Ma il problema riguarda soprattutto le aziende.

Che cosa c’entrano le aziende?

Fino a novembre le società di carsharing e di noleggio non avevano un incentivo all’acquisto; ora ce l’hanno, ma è dimezzato rispetto a quello del privato. Noi di Anfia chiediamo che un sostegno pieno per queste imprese. Quanto alle altre aziende, per loro non c’è proprio niente, e questo è un guaio. E poi c’è il problema delle infrastrutture.

Qual è la situazione attuale italiana, in termini di infrastrutture per il Green?

Gianmarco Giorda, direttore di Anfia

Classica situazione a macchia di leopardo, con infrastrutture poco capillari in gran parte del territorio. Mancano soprattutto i sistemi di ricarica fast e superfast, che costituiscono il 10% del totale; sono più interessanti per il consumatore, che non vuol perdere più di mezz’ora nell’operazione. Queste speciali colonnine vanno installate in autostrada e in maniera massiccia e diffusa: di fatto, partire con il Green senza avere queste infrastrutture è stato un errore che si è tradotto in un grave limite alla diffusione dell’auto a basse emissioni. Quanto alle strutture di ricarica per i privati – quelle destinate ad essere operative nelle case e nei condomini – lo Stato ha messo sul piatto 40 milioni, quindi fino a 8mila euro per condominio e fino a 1.500 euro per wallbox. Non è molto, ma è meglio di niente.

Ma gli Italiani, alla fine, sono interessati all’elettrificazione dell’automotive?

Nel 2022 sono state vendute 50mila auto elettriche. Secondo uno studio di Deloitte (che ha sviluppato un apposito indice, il Vpi – Vehicle purchase intent index: uno strumento per misurare l’inclinazione all’acquisto di auto; Ndr) la propensione degli italiani è buona; i numeri, però, finora non rispecchiano questo orientamento.

E alle Case Automobilistiche la Transizione Green conviene? Tutti i Big Player continentali si sono buttati anima e corpo in questa avventura.

Ormai la direzione è presa, la strada è stata definitivamente imboccata e non c’è modo di tornare indietro: le Case hanno investito massicciamente nel green perché era chiaro fin da qualche anno fa quali sarebbero state le scelte che sarebbero state prese dall’alto, dalla Commissione Europea. Sono le decisioni che poi sono state formalizzate nel bando al 2035 della produzione di veicoli termici. Ora: è vero che in Italia non si cresce, ma in altri Paesi l’auto green lo fa a due cifre: in Francia, in Germania e nel Regno Unito la velocità di adesione è più alta. Lo scorso settembre in Francia si è verificato uno storico sorpasso: sono state vendute 22.500 auto elettriche, contro le 20.300 diesel.

Sì, ma quando le Case Automobilistiche europee vedranno il Roi del loro immenso investimento nel Green?

Non si sa. Dipende molto dal costo della batteria, che incide moltissimo nel costo di produzione dell’auto Green: se e quando il primo diminuirà, allora sarà molto più remunerativo costruire macchine ad emissione zero.

Nell’auto green il propulsore è più o meno identico tra tutti i veicoli. Non c’è il rischio, per le Case Automobilistiche europee, di perdere quelle caratteristiche di guida che rendevano distinguibili i brand sul mercato? In altre parole, non si rischia di spersonalizzare i brand?

L’identità del brand non può più essere legata ad un fattore omogeneo, come il propulsore elettrico. Prima la meccanica del motore, così come il sound particolare, conferivano un’identità che però ora è destinata ad affievolirsi. Non è semplice, ma la brand identity va ricostruita su altri fattori, come la telematica, la connettività, il range, gli interni, il design, le prestazioni e la sicurezza (si pensi alle stelle in Euro Ncap, l’European New Car Assessment Programme, organizzazione che si occupa di definire le modalità di valutazione della sicurezza passiva delle automobili nuove tramite l’introduzione e l’uso di specifici protocolli di prova; Ndr). Insomma, va rifondata basandosi sui contenuti tecnologici, soprattutto.

Tutto sembra favorire i Cinesi, che partono vergini, come nativi green.

Ora Cat, l’auto full electric di Great Wall Motor

Non c’è dubbio che nei prossimi anni gli Oem cinesi inizieranno a conquistare quote di mercato in Europa, soprattutto nei segmenti bassi del mercato; d’altra parte, hanno le competenze nel settore e dispongono di filiere funzionanti che si estendono sino all’assemblaggio delle batterie e alle materie prime nonché alle terre rare. Il 50% del valore della filiera delle batterie è nelle loro mani. Partono dunque con un vantaggio indiscutibile. Non sono vincolati all’heritage e possono concentrare gli investimenti sullo sviluppo di nuove generazioni di auto green. Peraltro, la cosa che poi fa pensare è che i Cinesi sono probabilmente destinati a conquistare anche quegli spazi del termico che sono sempre più incustoditi.

In che senso? Quali spazi i costruttori europei stanno lasciando incustoditi?

I costruttori europei non investono più nel termico, dal momento che la Commissione Europea ha posto il limite del 2035; ma questo stop non riguarda i Cinesi, che intendono anche produrre diesel e benzina da esportare in quei Paesi dove ciò sarà possibile. Si pensi alla joint venture “Horse” tra la cinese Geely e la Renault e con una divisione paritaria delle quote, al 50%: l’obiettivo è quello di produrre propulsori ibridi, ma anche motori alimentati da carburanti alternativi. A quanto se ne sa, i marchi del Gruppo Renault e Geely saranno i primi destinatari dei nuovi motori, quindi potremmo vederli sulle vetture Renault, Volvo, Dacia, Geely, Lynk & Co e Proton, nonché sui modelli dei partner dell’Alleanza Renault, Nissan e Mitsubishi. Fa parte del piano anche la fornitura di terze parti. Horse impiegherà circa 19mila persone in tutto il mondo e gestirà 17 stabilimenti in tre continenti. Secondo alcune stime, produrrà oltre 5 milioni di motori a combustione, propulsori ibridi e ibridi plug-in e trasmissioni, prodotti destinati a oltre 130 Paesi. In realtà, per come la vedo io, è un segnale al contempo interessante e preoccupante, perché significa appunto che la Cina sta osservando i costruttori europei, e lo fa con una precisa strategia di sostituzione. Come finirà? Non lo so: penso che la situazione sia liquida, e che possa accadere di tutto.

Torniamo alla questione degli incentivi. Oggi, come si accennava, sono disponibili quelli 2023 all’acquisto di nuove auto a zero e a basse emissioni; sono prenotabili già dal 10 gennaio. L’auto green funziona solo se è sponsorizzata dallo Stato? Funzioneranno, poi, queste iniziative?

Quanto ai 150 milioni per autoveicoli con emissioni comprese nella fascia 61-135 grammi di anidride carbonica per chilometro (a basse emissioni), questi verranno esauriti in due o tre settimane.

Secondo Giorda, basteranno poche settimane per esaurire gli inventivi destinati all’acquisto di auto ibride

Considerato che si poteva far domanda già dal 10 di gennaio, non resta molto tempo. Quanto ai 190 milioni per auto con emissioni comprese nella fascia 0-20 grammi di anidride carbonica per chilometro (elettrici) e quanto ai 235 milioni per macchine con emissioni comprese nella fascia 21-60 grammi di anidride carbonica per chilometro (ibridi plug – in) non è detto che saranno utilizzati in tutto o in parte. In quel caso, converrà realizzare delle modifiche alla norma, per supportare l’acquisto da parte delle aziende. In tutti i casi, oggi senza incentivi l’auto green non si vende.














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