L’originale modello di business di Gellify, la start-up delle start-up

Construction plans with helmet and drawing tools on blueprints

di Laura Magna e Filippo Astone  ♦ La piccola azienda condotta da Fabio Nalucci e Lucia Chierchia dispone di una metodologia codificata per rendere solide le nuove iniziative imprenditoriali. E si presenta come una piattaforma di innovazione piuttosto che come un’incubatore. Nell’asfittico panorama dell’innovazione italiana è una scommessa. Ce la farà?

Gellify è una società di investimento che compra start-up, le “mette a posto” risolvendo alcuni problemi, e le rilancia. Inoltre, offre consulenza e skill di innovazione. Ed è essa stessa una start-up. Per questo, nel titolo l’abbiamo chiamata la start-up delle start-up. Nell’asfittico panorama delle start-up italiane, che producono tanto rumore nei giornali e nei convegni ma nel loro complesso sono poco più che irrilevanti, si tratta di una bella scommessa. Ce la farà? Con una storia così recente alle spalle non ci sono elementi per dirlo. Noi di Industria Italiana speriamo di sì, speriamo che l’Italia (tuttora in coda rispetto a tutte le classifiche di innovazione e valore economico delle start-up) un giorno si attesti sugli stessi livelli degli altri Paesi occidentali.

Fondata da Fabio Nalucci, imprenditore appassionato di innovazione, già founder di Spss Italia e i4C Analytics, nonché ex top manager Accenture, Gellify possiede un modello di business inedito per il nostro Paese che, in due anni di attività, sembra stia dando già qualche risultato. La previsione è di chiudere il 2018 con un fatturato di 3,5 milioni dagli 1,5 del 2017 e di investire ulteriori 5 milioni in startup: cinque sono stati investiti fino a oggi in dieci realtà innovative negli ambiti fintech, digital intelligence, phygital marketing, industry 4.0 e analytics.







 

Lucia Chierchia, managing partner Gellify

 

«Il cagr medio (cioé il tasso di crescita medio annuo) di questo portafoglio è del 65%, dato che sostiene un ottimo Irr (tasso di redditività dell’investimento), dovuto anche alle valutazioni di ingresso che riusciamo a ottenere, mediamente più basse del mercato in quanto le startup riconoscono un valore superiore al supporto che possiamo fornire», dice a Industria Italiana Lucia Chierchia, managing partner del gruppo di Casalecchio di Reno e head della divisione Industry 4.0, di cui ci occuperemo più avanti. Quello che mette in evidenza  è innanzitutto il modello di business che si focalizza sull’open innovation e lo fa in una maniera disruptive, come si conviene all’oggetto di cui parliamo. Una modalità spiegata dalla stessa scelta lessicale contenuta nel nome dato all’azienda e al processo che promuove. «Un processo che abbiamo chiamato “gellificazione”», precisa Chierchia. «Il significato di questa parola sta in un parallelismo tra gli stati della materia e le fasi di sviluppo di un’azienda: la start-up, con l’avvio a partire da un’idea brillante, corrisponde allo stato gassoso, che diventa liquido nella fase di scale up a partire dal primo cliente e poi però deve trovare solidità. Nel mentre questo accade l’azienda deve attraversare una fase elastica, gelatinosa, chiudere i gap che normalmente possono impedire la crescita e la solidificazione. E noi la accompagnamo in questo processo, la gellificazione, appunto», spiega la manager.

Insieme a Chierchia, laurea in Ingegneria Meccanica al Politecnico di Milano, un passato in Whirpool Corporation e poi Electrolux Group, a gestire Gellify ci sono Michele Giordani, da 12 anni specializzato nel Software B2B e in particolare in big data analytics e machine learning; Gianluigi Martina, ex Advanced Analytics Lead in Accenture in Iceg (Italy, Central Europe & Greece) per il settore Energy e Utilities, dopo aver contribuito nei precedenti 11 anni alla nascita e allo sviluppo di i4C Analytics, di cui è stato direttore del Delivery a partire dal 2009: entrambi sono anche co-fondatori di Gellify insieme al già citato Nalucci.

Al management team si sono poi aggiunti Marcello Coppa e Andrea Landini, startupper seriali, fondatori nel 2013 di Coppa+Landini, società di consulenza per l’innovazione design driven, che nel 2017 è stata acquisita da Gellify e co-fondatori di CrowdChicken, star-tup software rivolta al settore non profit.

 

start up

Il panorama italiano

Perché l’introduzione di un modello disruptive nel mondo delle start-up può fare la differenza nel nostro sistema Paese? Perché nel nostro Paese manca ancora un ecosistema di start-up che funzioni da forza dirompente del cambiamento. Non sono le idee a essere carenti, visto che le start-up create in Italia a oggi sono 6000: 2000 sono state accelerate dai 162  incubatori nazionali, secondo i dati raccolti dall’Osservatorio del POLIMI insieme con Italia Startup. Sono innanzitutto le risorse a mancare: secondo Aifi, nel 2017, il comparto dell’early stage (seed e startup) valeva ancora appena 133 milioni (seppure in crescita del 29% anno su anno).

Tuttavia, nei primi sei mesi del 2018 gli investimenti del VC hanno segnato un valore – come al solito le fonti non sono univoche né del tutto concordi – abbondantemente sopra i 200 milioni secondo ScaleIT, che prende in considerazione solo le operazioni sopra il milione in ambito tech. Saremmo a 250 milioni secondo un’analisi condotta da Agi  sulla base dei deal chiusi nel semestre: 31 in totale, di cui otto a doppia cifra. Certamente si tratta ancora di una goccia nel mare di quello che accade nel mondo, o anche solo in Europa dove Regno Unito, Francia, Germania, persino Spagna, viaggiano su valori complessivi rispettivamente di 4; 2,8; 2,5 e un miliardo di euro (a tanto ammontava la raccolta di questi Paesi nel 2017).

Ma, secondo quanto racconta Gellify, la carenza riguarda anche un altro aspetto: una metodologia codificata e solida per rendere solide le start-up e un’ altra per metterle in connessione con le aziende più anziane nell’ottica iperpublicizzata della open innovation. Dunque come intende questa società emiliana colmare, per quanto le è possibile, il gap? «Innanzitutto, cambiando approccio alla questione: non siamo un incubatore, bensì una piattaforma di innovazione. Rispetto a un incubatore, la piattaforma ha due anime, la prima guarda alle startup, dotate di team di imprenditori alla ricerca non solo di finanziamenti, ma anche di partner che li aiutino a far volare le loro idee di business. La seconda alle corporate, aziende con un business consolidato da proteggere e la volontà di costruire nuovi percorsi innovativi», ci tiene a specificare Chierchia.

 

Start up

Smart money (e non solo) per le start-up

Ma le differenze tra i due modelli sono molte. «Sul versante dell’ecosistema startup le principali differenze stanno nella specificità degli ambiti: Gellify opera solo su start-up B2B e su trend tecnologici e di business identificati (industria 4.0, fintech, big data e artificial intelligence, cybersecurity), laddove un acceleratore/incubatore è invece generalista; affianchiamo le start-up con quello che ci piace definire smart money, ovvero investimenti di seed, early stage e round A provenienti da imprenditori digitali con exit alle spalle che insieme alla liquidità portano con sé anche una rete e competenze che ci permettono di valutare le startup con occhi speciali.»

«Il secondo e più importante elemento distintivo è il programma di gellificazione: forniamo servizi più complessi rispetto alla tradizionale mentorship degli incubatori. In un percorso della durata di 6-24 mesi, coinvolgendo tutte le aree aziendali, strutturando processi e integrando le competenze, chiudiamo i gap che le startup hanno e che rappresentano delle barriere a ulteriori finanziatori e a progetti con imprese consolidate. Infine agevoliamo l’accesso al mercato, tramite il network di contatti dei managing partner e i partner tecnologici presenti in piattaforma», continua la manager, che da ex capo dell’innovazione di Electrolux, lasciata per intraprendere questa nuova avventura, questi problemi li ha vissuti nel suo lavoro.

«Avevo difficoltà perché questi gap nelle startup mi impedivano di iniziare qualsiasi collaborazione. Gellify sviluppa algoritmi, definisce il modello di business e la gestione di cose pratiche, dalle buste paga a un modello legale appropriato. La gellificazione è uno strumento potente in un panorama in cui gli attori che si occupano del mondo startup sono generalisti e offrono al più una mentorship di alto livello che si concretizza e si conclude in un business model. Noi invece conduciamo un’analisi approfondita dei gap insieme alla startup  nel corso della due diligence, e definiamo con loro un piano di azione. Il programma può durare anche due anni perché le start-up devono essere completamente autonome: non ci limitiamo a fare cose per loro, ma assumiamo, trainiamo, consentiamo loro di cambiare pelle. Siamo in un mondo di tecnologie dirompenti, ma spesso la vera sfida è costruire un’azienda e spesso molti se lo dimenticano». Infine, il terzo elemento che chiude il cerchio di tutto il processo è che «non ci limitiamo a dare un finanziamento alle star-tup ma le obblighiamo a fare progetti, perché per qualificarsi devono testarsi sul campo. Noi non solo creiamo contatti ma facciamo progetti con loro. Siamo un intermediario e ci assicuriamo, anche per conto della corporate, che il progetto si faccia in maniera efficace e nei tempi e nei costi concordati».

 

L’open innovation per la corporate

Sul fronte della domanda, invece, Gellify supporta le aziende tradizionali con programmi di innovazione sostenuti da esperti di dominio tecnologico e di mercato verticale. Questa è la seconda anima: quella in cui gli interlocutori sono sia big corporate come la stessa Electrolux, Ducati, Lamborghini, sia Pmi con business consolidati che devono essere protetti e accelerati: «ci occupiamo di open innovation, con collaborazioni con start-up o Pmi innovative. Quello che facciamo è accompagnare le aziende lungo il proprio percorso di innovazione, a partire dagli elementi di ispirazione per arrivare fino all’esecuzione concreta di progetti innovativi. Il supporto fornito si articola in alcuni servizi che vanno a coprire snodi fondamentali e punti chiave per il successo dell’intero percorso, e che si raggruppano a formare ciò che viene chiamato Innovators Journey. »

«Per esempio, ci occupiamo di costruire innanzitutto una technology road map, una cosa che di solito non esiste o si riduce a una listona di progetti infilati a caso. Non è una colpa, ma dipende dal fatto che il mondo è mutato: una ventina di anni fa si faceva leva sulle competenze core e la road map tecnologica era consolidata: oggi le cose cambiano ogni sei mesi, sia perché ci sono tecnologie emergenti che nascono come funghi e mettono in discussione quello che si fa ogni mese, e questo rompe gli equilibri. E questo anche perché queste tecnologie appartengono a domini che non sono core nelle aziende: AI, cobot e  non sono parte delle competenze tradizionali. Oggi per poter governare queste tecnologie le imprese devono conoscerle: e non è mai successo che una technology map abbia i suoi elementi critici fuori dal core dell’azienda».

Dopo aver individuato la propria specifica roadmap, il secondo passo è la ricerca di una startup che possa offrire una tecnologia necessaria. «Anche in questo caso, le aziende spesso non sanno esattamente definire quali sono le tecnologie che cercano in una star-tup: dunque si affidano completamente a noi che facciamo lo scouting; ovviamente non prima di aver compreso di quali tecnologie le aziende abbiano bisogno e quale è la strategia per andarle a trovare», dice ancora Chierchia. Lo scouting che fa Gellify avviene attraverso una rete di innovation broker, che appartengano a banche, acceleratori, player specializzati, diffusi in tutto il mondo e «a cui facciamo riferimento per avere copertura geografica e di competenze.  È una rete robusta creata negli anni, una rete in cui ogni nodo è portatore di un bagaglio di conoscenze e competenze. E in cui ognuno è in grado di guardare e giudicare con tre occhiali diversi: quello della startup nei cui panni ci si cala, quello dell’investitore, che valuta se il modello sta in piedi, e quello della corporate».

Sul fronte delle corporate Gellify ha scelto di creare unità verticali, sfruttando le competenze interne. «Lo scorso febbraio abbiamo lanciato il verticale Industry 4.0 su cui spingiamo l’acceleratore. Il secondo è il FinTech; il terzo, che lanceremo a fine anno, è il FoodTech. Per Industry 4.0 gli elementi che compongono la business line sono 3: il già citato “viaggio degli innovatori”, un programma di servizi focalizzati che diamo alle imprese in modo analogico, ovvero andando fisicamente nelle fabbriche e guardandoci intorno. Poi a settembre lanceremo la Digital Platform, con l’obiettivo di guidare le aziende dall’analogico al digitale, dando accesso diretto ed immediato ad un contenuto esclusivo e validato di imprese innovative, tecnologie e business model. Da ultimo, il Phygital Hub, che sarà lanciato a fine anno e che rappresenterà uno spazio fisico dove toccare con mano tecnologie e casi d’uso altamente innovativi e al tempo stesso già disponibili e pronti per poter essere introdotti nelle proprie aziende. Un luogo, a Bologna, dove incontrare altri player dell’ecosistema, tecnologie digitali dirompenti che derivano da start-up o big tech come Comau, Cisco, Siemens, Sony per contaminarsi e ispirarsi a vicenda», conclude la manager.

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Il portafoglio startup di Gellify

  • CyberDyne: software and engineering company focalizzata sull’applicazione di soluzioni di intelligenza computazionale a diversi settori industriali che risolve, attraverso il prodotto Kimeme ( www.wikipedia.org/wiki/Kimeme), anche problemi di scheduling e product design.
  • Habble: piattaforma che analizza e organizza le informazioni provenienti da rete fissa, mobile e dati per ottimizzare i costi di telecomunicazione delle aziende.
  • 3rdPlace : unica struttura di consulenza digitale in Italia formata da ex Top Manager di Google che offre servizi e soluzioni automatizzate nell’ambito della digital intelligence.
  • Datalytics: software vendor per il real-time customer engagement che si affianca principalmente ad agenzie di comunicazione e eventi di grandi brand in ambito B2B2C publishing e retail, fornendo la propria tecnologia.
  • Finscience: start-up fintech che ha sviluppato una piattaforma di “alternative data” per gli operatori finanziari, ovvero set di dati non finanziari e provenienti da sorgenti non convenzionali (es. web, social, e-commerce, satelliti, etc.).
  • Beaconforce: start-up B2B e software SaaS a servizio del top management nella gestione dei talenti grazie all’impiego di algoritmi di intelligenza artificiale.
  • Virality: prima piattaforma verticale di influencer marketing basata su Instagram che crea, aggrega, e posiziona Influencer.
  • Apparound: unica azienda italiana del settore IT che propone al mercato una soluzione innovativa volta a digitalizzare i processi di vendita. La soluzione, basata su tecnologia cloud, supporta il venditore durante l’intero il ciclo di vendita.
  • CrowdChicken: è una startup innovativa e nasce per implementare i servizi e gli strumenti di fundraising online e di comunicazione digitale per la promozione della cultura della donazione.
  • Igoodi: factory di progetti ad alto contenuto tecnologico che connette design con intelligenza artificiale per creare oggetti ed esperienze innovative.

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