Finint: i microbond servono a Pmi e produzione

di Laura Magna ♦ Arriva il microbond, uno strumento per finanziare le imprese. Lo spiega a Industria Italiana Mauro Sbroggiò, l’ad della società Finint Investments sgr.







Se il minibond non decolla, arriva il microbond. La possibilità per le aziende piccole e medie di finanziarsi sul mercato emettendo obbligazioni come la big corporate è un’invenzione recente in Italia, ma che non ha avuto il seguito sperato. Un po’ per la atavica resistenza alle novità dell’imprenditore italiano, che sceglie ancora prevalentemente le banche per ottenere fondi, un po’ perché lo strumento è illiquido e si fa fatica a collocarlo sul mercato secondario. Un po’ anche perché probabilmente la dimensione media dell’impresa italiana è ancora più piccola di quanto non sia un minibond. “E dunque abbiamo pensato di lanciare la versione micro, che si differenzia dal minibond per taglia e per emittente”, spiega a Industria Italiana Mauro Sbroggiò, l’ad della società Finint Investments Sgr che gestisce ben due fondi dedicati proprio a questi strumenti. “Il processo di sviluppo dei minibond, lanciati in Italia nel 2013, è lungo e faticoso. Ma lentamente qualcosa si muove: nuovi prodotti e un outstanding complessivo di 189 emissioni per 7 miliardi di euro, al 30 agosto scorso”.

Margini di manovra

Numeri abbastanza interessanti: il problema è che derivano per lo più da aziende medie e grandi. “Se guardiamo alle piccole imprese sopra i dieci dipendenti e i 2 milioni di fatturato i numeri sono piccolissimi. Le emissioni sotto i 50 milioni hanno un outstanding complessivo di 1,4 miliardi sul totale di 7. Insomma, lo spazio di manovra c’è”, continua Sbroggiò.

Cerchiamo di capirne innanzitutto i motivi di questo mancato sviluppo, partendo da un’analisi del mercato. Che si sta muovendo attraverso l’allungamento delle scadenze medie dei bond e verso una progressiva riduzione della cedola media di emissione: la cedola media ponderata è del 6,14% e la durata media è 6,51 anni per il mercato nel suo complesso dal lancio. Invece per le emissioni del 2016 la cedola media è del 5,22% e la scadenza di 7,3 anni. I minibond stanno in effetti fungendo da supplenti rispetto al mondo bancario che è molto aggressivo sul credito a medio termine. Ma non hanno incontrato nessun riscontro da parte delle imprese più piccole.

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Piccoli, ma efficaci

“Il microbond nasce per creare questa domanda”, spiega Sbroggiò. “Giochiamo sempre nel quadro regolamentare dei minibond e abbiamo cercato di immaginare prodotti particolarmente piccoli, cosa per la quale ci ha aiutato anche il fatto che operiamo con il Fondo strategico dell’Alto Adige, che ha nel suo focus la piccola impresa. Le caratteristiche sono analoghe ma i costi sono inferiori e i tempi di procedura ragionevoli”.

Innanzitutto il target: il microbond si rivolge a imprese tra i 2 e i 15 milioni di euro di fatturato, sopra i dieci dipendenti. “Stiamo lavorando anche su importi piccoli, anche 300mila euro e con tranche successiva di 700mila euro, dunque anche nell’intorno del milione di euro, la misura giusta per quelle imprese che fanno quei volumi di fatturato. Una cosa che abbiamo curato molto sono i costi e i tempi, variabili entrambe vitali per le pmi. Il microbond costa poche migliaia di euro di spese legali, 7-8mila euro, oltre l’ammissione al conto titoli per 450 euro e poi l’emissione delle cedole che ha un costo di 750. Infine, va considerato il costo alla banca, di qualche migliaio di euro”, aggiunge il manager.

Interno di un mobilificio
Interno di un mobilificio

Strumenti competitivi

Costi bassi soprattutto se si considera che si tratta di finanziamenti a medio-lungo termine e dunque “che non incidono se non di pochi centesimi sul costo all-in sulla cedola. Sono strumenti competitivi per la piccola impresa, nel contesto di Basilea 3 in cui le banche sono piene di morosità e il finanziamento di lungo termine alla pmi che non abbia rating eccellente è assorbente per il patrimonio di vigilanza. Si tratta insomma di uno strumento per cui c’è davvero la possibilità di creare un mercato, a patto che venga compreso”. Competitivo sui costi e anche sui tempi di emissione: due- tre mesi per realizzare tutto il processo, dal kick-off, allo studio di fattibilità, alla sottoscrizione: “nessuna banca è in grado di fornire finanziamenti a lungo termine in nove settimane: i tempi sono decisamente più lunghi”, afferma Sbroggiò.

Fino al termine

Se c’è un rischio che rimane sul tappeto è che i titoli non siano poi mai scambiabili, come d’altronde avviene oggi con i minibond quotati su ExtraMot. “Il mercato secondario non credo sarà mai liquido”, commenta l’esperto. “Si tratta di un mercato riservato a investitori professionali: gli operatori che investono sono ancora abbastanza pochi e sono istituzioni e fondi o banche e assicurazioni, per cui l’operazione però è troppo onerosa. Diciamo che gli acquirenti sono per lo più fondi che prendono la totalità dell’emissione e accompagnano l’imprenditore. Con un approccio più da private equity che da puro investitore obbligazionario”.

La vera azione educativa da fare per la diffusione di questi prodotti e dei microbond in arrivo per le imprese più piccole è sugli imprenditori. “Si è diffusa la convinzione che siano strumenti costosi: lo sono se si confrontano su strumenti di breve termine. L’imprenditore di fascia alta e alto rating ha accesso a credito bancario a tassi buoni, ma sul breve periodo e quindi soggetto alla variazioni del credito complessivo. Se ci riferiamo a scadenze di sei-sette anni e casi meno eccellenti il costo della cedola del 6% è un ragionevole in un contesto in cui l’imprenditore si sta approvvigionando da un operatore diverso rispetto alla banca”, spiega Sbroggiò. Una diversificazione che riduce il rischio, senza considerare che lo strumento in oggetto aiuta la crescita dell’imprenditore “perché gli chiede di fare una programmazione di medio lungo periodo, un’attività di planning che il piccolo e medio spesso non fa ma che è utile per definire il destino strategico”. Lo strumento adatto alle piccole imprese c’è, le condizioni sono competitive, gli investitori a caccia di rendimenti potrebbero trovare in queste emissioni rendimenti nel lungo periodo, rinunciando alla liquidità. Ciò che manca, alla fine dei conti, sono gli emittenti.

“Il mercato potrebbe valere svariate decine di miliardi di euro: mancano solo gli imprenditori. Che guardano, giustamente ai costi, ancora feriti dalla crisi. Non è tanto la paura dell’innovazione finanziaria ma l’essere legati al fatto che dal banchiere sotto casa spendi meno, peccato che il banchiere non ti aiuti nel percorso di crescita come potrebbe fare un istituzionale”. Bisogna agire, insomma, prima che questa virtuosa innovazione finanziaria si trasformi in un’occasione persa.

Il simbolo dell'euro
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