Ungheria, è questa la nuova terra promessa del made in Italy?

Silos alla Csepel Factory, vicino a Budapest

Budapest cresce di più rispetto agli altri Paesi europei, ha una tassazione vantaggiosa, costo del lavoro basso e vista sui mercati dell’Est. Così sono molte le aziende, anche Pmi, che hanno deciso di scommettere sul futuro dello Stato magiaro 

di Claudio Barnini

Prospettiva Ungheria. Sembra il titolo di un film sull’Europa dell’Est e invece è una realtà da Terzo Millennio, una nuova frontiera del commercio per le imprese italiane. Passa per Budapest, insomma, una grossa opportunità di internazionalizzazione delle nostre aziende, per un Paese che, anche se finito nell’occhio del ciclone per la questione immigrazione, rappresenta un partner interessante. E conveniente grazie a una fiscalità vantaggiosa, con aliquote ridotte rispetto all’Italia, ma soprattutto con un Pil in crescita, in controtendenza rispetto a buona parte d’Europa. Nonostante il mercato ungherese non abbia grandi dimensioni, esistono per l’Italia prospettive di sviluppo della propria presenza nel medio e lungo termine da non trascurare, in special modo in campo manifatturiero. Senza dimenticare che si tratta di una realtà geograficamente importante ed emergente per la logistica, con una base di consumatori di 10milioni di abitanti e una forza lavoro da 4milioni di persone.







Budapest ai raggi X

Numeri interessanti. Come si evince da uno studio presentato nel corso di un convegno organizzato a Treviso nella sede locale dell’Ordine dei Commercialisti, alla presenza del console d’Ungheria in Italia, Judit Vilma Timaffy, e del console generale onorario, Enrico Renzo. D’altra parte, in Ungheria hanno già investito colossi come Fiat, Benetton, Banca Intesa, Generali, Ferrero, Eni, Unicredit, Finmeccanica. Ma anche Pmi come Società italiana Acetilene e Derivati Siad, Industrie Cotto Possano, Filati Maclodio.

Budapest nuova terra di Bengodi? La scelta di espandere o avviare un’attività nel Paese semplicemente sembra conveniente per tanti aspetti: la posizione geografica strategica per poter raggiungere direttamente gran parte del mercato europeo e i suoi consumatori, la sua collocazione nel cuore dell’Europa, che consente di raggiungere 20 diverse nazioni e un bacino di 250 milioni di consumatori nel raggio di mille chilometri, mantenendosi al centro dell’intero mercato europeo con i suoi 500 milioni di consumatori. Grazie ai quattro corridoi Pan-Europei che la attraversano, l’Ungheria è uno dei principali hub del continente. Infrastrutture ramificate e in continuo sviluppo che assicurano al Paese collegamenti veloci con il resto dell’Est, oltre 200 parchi industriali sono dotati di strutture moderne ed efficienti, e questi agglomerati sono collocati strategicamente lungo le vie di comunicazione. Moderni processi di produzione e tecnologie avanzate permettono di raggiungere una produttività che arriva a essere anche maggiore del 70% rispetto alla media nazionale. L’Ungheria, inoltre, ha una forza lavoro altamente qualificata a un costo tra i più contenuti a livello europeo, un regime fiscale competitivo e una burocrazia orientata a snellire le attività aziendali per rendere l’amministrazione societaria il più agevole possibile, un sistema di sussidi sia a livello europeo che nazionale premianti le scelte di investimento che portano nuovi posti di lavoro nel Paese e in particolare nelle zone meno sviluppate. E c’è un’attenzione costante verso le attività di ricerca e sviluppo che si traduce in incentivi fiscali e in finanziamento di progetti di ricerca.

Mercato coperto a Budapest
Mercato coperto a Budapest

L’economia cresce

Ma è il Pil l’autentica sorpresa. La crescita del Prodotto interno lordo ungherese nel 2014 è stata, insieme a quella della Polonia, la più veloce della regione rispetto al trimestre precedente. Su base annua il 2014 ha visto un’accelerazione nella crescita del Pil ungherese con +3,7%, mentre per il 2015 la stima è tra 2,3 e 2,7%. Buone anche le previsioni della Commissione europea, che ha rilevato come il Pil dei Paesi dell’Europa centro-orientale entrati nell’Unione nel 2004 o successivamente stia crescendo più rapidamente rispetto alla media Ue.

L’interscambio tra Italia e Ungheria nei primi nove mesi del 2013 è stato di 5,3 miliardi di euro, di cui 2,4 di export e 2,9 di import con un saldo negativo per l’Italia di 476 milioni di euro. Le esportazioni italiane sono diminuite dell’1,3%, mentre le importazioni registrano un incremento del 4,8% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. L’Italia si è confermata al quinto posto nella classifica dei partner commerciali dell’Ungheria, preceduta da Germania, Austria, Russia e Slovacchia, e seguita da Polonia, Romania, Repubblica Ceca, Cina e Paese Bassi. La quota di mercato (4,8%) è rimasta invariata rispetto al 2012.

Questo il quadro delle importazioni dall’Italia verso l’Ungheria: prodotti manufatturieri valore di 1,3 miliardi di euro; macchinari, mezzi di trasporto e relativa componentistica per un valore di 906,9 milioni di euro; alimentari, bevande e tabacchi per un valore di 148 milioni di euro; materie prime per un valore di 56,6 milioni di euro; carburanti ed energia elettrica per un valore di 34,1 milioni di euro ( prodotti derivati dal petrolio 32,9 milioni di euro)

Altro elemento appetibile del Paese è il moderato costo del lavoro. Nel 2013 quello medio stimato era pari a 23,70 euro nell’Ue-28 e a 28,20 euro nell’area dell’euro. Il costo del lavoro è formato dal costo delle retribuzioni (costi salariali) e da oneri non salariali, quali i contributi sociali a carico dei datori di lavoro. L’incidenza dei costi non salariali per l’intera economia era del 23,7% nell’Ue-28 e del 25,9% nell’area dell’euro, ma variava anch’essa notevolmente tra i diversi Stati membri. L’incidenza più elevata dei costi non salariali per l’intera economia si registra in Svezia (33,3%), Francia e Stati membri della Ue, con un costo del lavoro orario che varia tra 3,70 euro e 40,10 euro.

Silos alla Csepel Factory, vicino a Budapest
Silos alla Csepel Factory, vicino a Budapest

Contributi magiari

Ancora, gli incentivi governativi che fanno sì che un progetto d’investimento possa ricevere contributi statali fino al 50% del valore: un apposito ente, l’Agenzia Ungherese per gli Investimenti e il Commercio (Hita), offre servizi e assistenza agli investitori stranieri. L’Ungheria ha attratto investimenti diretti esteri per circa 65 miliardi di euro, pari a un quinto di tutti gli investimenti nell’Europa Centro-Orientale che la colloca al secondo posto tra i Paesi della regione. La presenza estera è particolarmente forte nell’automotive, nello sviluppo software, nella chimica-farmaceutica ed in generale nelle scienze della vita. Ma l’Ungheria gode di consistenti contributi Ue (fondi strutturali e di coesione). Nel periodo 2007-13 vi sono stati destinati più di 29 miliardi in aree come ambiente e energia, sviluppo aziendale, trasporto e logistica, infrastrutture, sviluppo regionale, innovazione e R&S, sviluppo economico sostenibile. Le risorse, nei piani del Governo, saranno utilizzate al 60% per lo sviluppo dell’economia, al 40% per sviluppo delle risorse umane, sviluppo infrastrutturale, tutela ambientale, efficienza energetica.

Aiutino di Bruxelles

Infine, i fondi strutturali. L’accordo di partenariato tra l’UE e l’Ungheria per il periodo 2014-2020 è stato firmato, in seguito alle consultazioni con la Commissione Europea, l’11 settembre 2014. L’accordo individua le principali sfide per l’Ungheria e stabilisce le principali priorità di sviluppo in relazione agli stanziamenti comunitari nell’ambito del Quadro Strategico Comune 2014-2020. I programmi operativi sono stati presentati alla Commissione Europea il 7 giugno 2014. Attualmente è in corso la fase della pubblicazione dei nuovi bandi dedicati allo sviluppo dei diversi settori. Nel periodo 2014-2020 saranno destinati all’Ungheria complessivamente circa 34,3 miliardi di euro (a prezzi correnti): 21 miliardi provengono dal Fondo di coesione, dal Fondo Europeo per lo Sviluppo Rurale e dal Fondo sociale Europeo, altri 8,9 miliardi dai finanziamenti diretti a favore dell’agricoltura, 3,4 miliardi dal Fondo Europeo per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale e circa 1 miliardo da altri fondi. Il 60% sarà stanziato a favore dello sviluppo dell’economia, con particolare riguardo allo sviluppo delle Pmi, mentre il restante 40% sarà destinato alle risorse umane.

Previsioni di espansione

Partendo da un tasso di sviluppo molto buono l’interscambio commerciale tra Italia e Ungheria non può che espandersi a questo punto. Nel 2013 è stato di 7,1 miliardi di euro, di cui 3,2 miliardi di export, e 3,9 miliardi di import, con un saldo negativo per l’Italia di 654 milioni di euro. L’Italia si è confermata al quinto posto nella classifica dei partner commerciali dell’Ungheria, preceduta da Germania, Austria, Russia e Slovacchia, e seguita da Polonia, Romania, Francia, Repubblica Ceca e Cina. La quota di mercato dell’Italia sull’interscambio totale è del 4,6%.

Analizzando la composizione delle esportazioni italiane verso l’Ungheria per macrosettori, secondo i dati dell’Ufficio Centrale di Statistica ungherese, la parte più consistente, di 1,7 miliardi di euro (pari ad una quota del 52,3%), è costituita dai prodotti manifatturieri (il cui valore è diminuito dell’ 1,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente), evidenziando in ordine di importanza ferro e acciaio (220 milioni di euro), metalli non ferrosi (170 milioni di euro), prodotti chimici organici (168 milioni di euro), prodotti in metallo generici (147 milioni di euro), filati ed altri prodotti tessili (125 milioni di euro). Al secondo posto ci sono i macchinari, mezzi di trasporto e relativa componentistica con 1,2 miliardi di euro (+0,8% rispetto al 2012 e una quota del 37,9%). In particolare, macchinari e attrezzature per uso industriale (429 milioni di euro), macchine e apparecchi elettrici (245 milioni di euro), veicoli stradali (181 milioni di euro), macchinari e attrezzature per la produzione di energia (145 milioni di euro), macchinari per industrie specialistiche (129 milioni di euro), macchinari per la lavorazione dei metalli (46 milioni di euro). Seguono alimentari, bevande e tabacchi con 197 milioni di euro (-3,8% rispetto al 2012 e una quota del 6,1%) con, in ordine di importanza, prodotti ortofrutticoli (35,2 milioni di euro), bevande (34,2 milioni di euro), mangimi per animali con esclusione dei cereali (30,7 milioni di euro), cereali e prodotti derivati (22,5 milioni di euro), caffè, tè, cacao, spezie (13,1 milioni di euro), latticini e derivati (12 milioni di euro).

Le materie prime occupano il quarto posto, con 75,3 milioni di euro (+7% rispetto al 2012 ed una quota del 2,3%). Segue la categoria carburanti ed energia elettrica, con 43,9 milioni di euro (in crescita del 41,1% ed una quota sul totale dell’1,4%). La voce predominante è costituita da petrolio, prodotti derivati dal petrolio e materiali correlati (43,1 milioni di euro).

Fast Food italiano a Budapest
Fast Food italiano a Budapest

Tassazione non capitale

In Ungheria l’aliquota per la tassazione del reddito di impresa si attesta al 10% fino a un imponibile di 500 milioni di fiorini (1.600 euro), mentre è del 19% per il reddito imponibile eccedente questa soglia. Le perdite di esercizio possono essere riportate nel tempo senza limitazione, ma utilizzate in un singolo esercizio solamente nella misura massima del 50% dell’imposta dovuta nell’anno. Dall’imposta sul reddito d’impresa si possono dedurre, fino a un tetto massimo di 50 milioni di fiorini i costi di ricerca e sviluppo relativi a ricerca di base. Anche l’ammortamento delle immobilizzazioni relative all’attività di ricerca e sviluppo può essere dedotta nel calcolo dell’imposta dovuta. CI sono anche agevolazioni sulle imposte locali (la più importante è quella sulla Attività Industriale, il cui ammontare è determinato in base al cosiddetto fatturato ricorretto (cioè al fatturato netto realizzato detratto del costo delle merci vendute, dei servizi rifatturati, dei subappaltatori, dei materiali e dei costi diretti di ricerca e sviluppo). Ogni consiglio comunale decide l’ammontare dell’aliquota, che può essere compresa tra zero e il valore massimo del 2%. C’è, poi, l’imposta per la ricerca e sviluppo (calcolata sulla base di un’aliquota dello 0,3% del fatturato al netto dei costi dei materiali e dei subappaltatori. Solo alcune società sono assoggettate a questa imposta), l’imposta sull’inquinamento (sono tassati i beni, prodotti all’interno del Paese, importati o distribuiti, per la produzione dei quali si sono causate emissioni nocive per l’atmosfera, il territorio e le falde acquifere); le imposte per la crisi (nel 2010 il Governo ungherese ha introdotto una nuova imposizione nei settori finanziario, energetico, grande distribuzione organizzata e telecomunicazioni per contrastare la crisi economica); l’imposta sul trasferimento dei beni immobili (la cui aliquota del 4% va applicata al prezzo di compravendita inclusivo dell’imposta sul valore aggiunto, fino al valore di 1 miliardo di fiorini, per la parte eccedente l’aliquota è del 2%, ma con un massimo di 200 milioni di fiorini per immobile. Questa regolamentazione è̀ applicabile anche ai trasferimenti di quote societarie, ove il patrimonio sia costituito per oltre il 75% da immobili); le imposte sulle auto aziendali (pagata trimestralmente, l’ammontare dipende dalla classificazione dell’auto in base al suo impatto ambientale, da un minimo di 7.700 fiorini a un massimo di 44mila fiorini al mese ); l’imposta sul Valore aggiunto (l’aliquota di riferimento in Ungheria è del 27%. Ci sono tuttavia alcuni prodotti e servizi sui quali vengono applicate delle aliquote ridotte. Per esempio, del 18% per i prodotti caseari, farinacei e derivati, del 5% per medicine, giornali quotidiani, energia, riscaldamento, suini. Alcune transazioni effettuate nel territorio ungherese sono esenti dall’Iva, come la vendita, affitto e leasing di immobili residenziali, servizi di radio e Tv, servizi postali, servizi finanziari, assicurazioni, il trasferimento di quote azionarie e di crediti.

Centro di Budapest
Centro di Budapest

Post comunismo

L’Ungheria sta attraversando un periodo di profondo rinnovamento economico e sociale, inteso a concludere la lunga transizione postcomunista, correggendo gli squilibri degli ultimi venti anni. Vi sono anche profondi cambiamenti strutturali di carattere politico e giuridico, con l’istituzione di una nuova Legge Fondamentale la quale peraltro viene a confermare in buona sostanzia i punti cardine della democrazia parlamentare, con l’adozione di un nuovo codice civile e con concreti provvedimenti del Governo ungherese che mirano a rendere più efficiente il sistema paese, cercando di incrementare l’occupazione e di ridurre il peso del debito pubblico e di quello delle famiglie, con una presa di posizione abbastanza ferma nei confronti dei poteri forti finanziari internazionali. Il quadro complessivo del paese deve pertanto valutarsi positivamente per le realtà imprenditoriali attente a sviluppare la propria attività verso un’internazionalizzazione in termini di interscambi commerciali, di un riposizionamento strutturale societario e fiscale più competitivo in ambito intracomunitario, di investimenti con particolare attenzione ai fondi strutturali europei.

Chi ci prova

Tutto questo è ben compreso da molte aziende italiane. Alcuni esempi. Nei giorni scorsi la Datalogic ha annunciato di voler espandersi in Ungheria, creando 200 posti di lavoro. Si tratta di un investimento importante, circa 9 milioni di euro per questa nuova fabbrica da 7mila metri quadrati che Datalogic Hungary ha aperto a Balatonboglár. Datalogic, che si occupa della produzione di lettori di codici a barre, prevede ulteriori espansioni e ha acquistato dal comune il terreno adiacente all’impianto. O come il Gruppo San Benedetto, la cui acqua è ormai da tempo leader di mercato in Ungheria.














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2 Commenti

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