Manifattura, la ricchezza arriva dal web: matrimonio da 263,93 miliardi nel 2020. E in futuro…

di Piero Formica* ♦︎ Grazie a social media, content marketing ed e-commerce marketing internet sta aprendo nuovi mercati per l’industria. Ed è anche cambiata la percezione dei brand, che devono offrire esperienze emozionali ai consumatori. Il caso Starbucks e lo shopping personale di Amazon

Come per le persone così per le imprese è la curiosità che allunga la vita. Diversamente dal sopravvivere, si vive estendendo le proprie capacità mentali con il desiderio di sapere. Insomma, a fare la differenza è lo spirito dei nomadi della conoscenza che un tempo si inoltravano in territori anche sconosciuti vivendo nelle tende e oggi, nell’età del digitale, possono viaggiare online a tutto campo. La prospettiva del pensiero creativo si è allungata di molto. E lo spazio per la creazione di business e imprese si sta dilatando con la trasformazione digitale nel mercato manifatturiero, valutata in 263,93 miliardi di dollari nel 2020 e prevista di raggiungere 767,82 miliardi di dollari entro il 2026, al ritmo di crescita media annua nell’ordine del 19,5%. Idee fresche e nuovi mercati lungo tre canali di marketing digitale per la manifattura: social media, content marketing ed e-commerce marketing. Grandi cose a portata delle aziende il cui soffio vitale è imprenditoriale. Esse potranno concentrare i loro sforzi su mercati ancora non esistenti e così allontanarsi dai modesti guadagni all’orizzonte dei mercati convenzionali.

Già alla fine degli anni ’90, Andy Grove, l’ex presidente di Intel, dichiarava: «Tra cinque anni, tutte le aziende saranno aziende Internet o non saranno affatto aziende». Questa affermazione è stata decifrata come una necessità imperativa e una sfida per tutti i tipi di aziende ad usare la Rete «per abbassare i costi, entrare in nuovi mercati, creare nuovi flussi di entrate e, cosa importante, ridefinire le relazioni con clienti e fornitori». Le economie industriali vecchio stile sembrano dinosauri che competono principalmente sui mercati esistenti, spesso conservatori e maturi. Producendo più hardware che software, più macchine che informazioni, le loro imprese sono appese all’efficienza e all’efficacia dei loro vettori per fornire atomi che sarebbero più funzionali se si puntasse sui bit che fanno da ponte tra l’offline e l’online. Nell’economia imprenditoriale, spiccano i business basati sulle idee e, quindi, plasmate dalle pratiche ad alta intensità di conoscenza e dai bit: dal design al marketing e alla commercializzazione dell’innovazione. In questo ambiente è forte la spinta verso la cooperazione competitiva. Concorrenti molto agguerriti non rinunciano a diventare partner.







Come per i concorrenti, cosi tra acquirenti e venditori la divisione non è più netta. I confini vanno a sfumarsi. I consumatori si organizzano in comunità proattive di persone. Non più sciami di individui passivi perché disorganizzati che comprano prodotti fabbricati da aziende detentrici di un potere di mercato. Sempre meno si tollerano inconvenienti come quelli causati dalla mancanza di informazioni, informazioni non personalizzate, ritardi di spedizione e listini fissati da cartelli aziendali per congelare la concorrenza sui prezzi. Comunità web di viaggiatori possono determinare il tipo di volo e di alloggio che stanno cercando e proporre un prezzo. I venditori replicheranno per aggiudicarsi quell’offerta. Un gruppo di clienti focalizzato su un particolare prodotto o servizio può inviare messaggi personalizzati a una specifica azienda per quanto riguarda la qualità e il prezzo della sua offerta, spingendola a migliorare il prodotto/servizio corrente. Posti di fronte alla sfida di clienti non più destinatari passivi di ciò che i venditori decidono di fornire, le aziende sono costrette ad acquisire nuove conoscenze per prendere migliori decisioni commerciali.

 

 

Chi compra vuol fare esperienza, affidandosi a grappoli di tecnologie digitali che modellano il cyberspazio. Alla voglia del consumatore di sperimentare, le imprese non possono rispondere inviando sulla rete un miraggio. Esse devono guardare il cliente negli occhi, anche se digitali, e dire: “Voglio davvero che tu mi dica cosa pensi”. La creazione del mercato nel cyberspazio sprigiona da aziende che interagiscono con i potenziali clienti. Nei territori virtuali del web c’è da offrire ai consumatori di beni apparentemente simili una larga e profonda esperienza affinché si possano rendere conto delle diverse caratteristiche di ciò che viene proposto. Tanti produttori affrontano due pressioni opposte. Da un lato, appare tirannica la forza delle grandi aziende, ‘tori’ che rendono estremamente difficile per un ‘vitello’ battere i loro marchi più venduti. Gli acquirenti sono abituati a comprare il marchio familiare, e quindi gran parte del prezzo che pagano è per il marchio. Il costo di pubblicità e promozione da sostenere per proporre un marchio concorrente è troppo alto per una piccola azienda. Da un altro versante, bisogna impegnarsi per cogliere al balzo l’opportunità che viene dai consumatori che muovendosi nel cyberspazio non sono più affetti dalla sindrome del grande marchio. ln effetti, le multinazionali dei marchi da uno e più miliardi di dollari sono già oggi sotto l’attacco dei proprietari di marchi indigeni. Le due pressioni contrastanti potrebbero essere gestite, grazie a strumenti software, da aziende capaci di trasferire un’intera esperienza come quella che Starbucks è riuscito a fornire per bere il caffè. Cambiando il consumo di quella bevanda da industria di commodity ad esperienza emozionale, Starbucks ha creato un nuovo mercato concettuale che ha due grandi protagonisti: il relax e la conversazione.

Jeff Bezos, il patron di Amazon

Le aziende che operano nel mondo web guidate dall’offrire esperienze ai consumatori sono, dunque, agenti di shopping personale. Esse dischiudono nuovi mercati insegnando ai consumatori come selezionare, apprezzare e trovare un prodotto o un servizio specifico. Gli agenti di personalizzazione sono le interfacce di fiducia dei consumatori. Organizzano un dialogo con loro basato su tecnologie digitali interattive al fine di aggiungere o modificare contenuti e sviluppare nuove idee di prodotto. Per riscuotere successo, i punti vendita online devono avvalersi di agenti personali che colleghino le parti in gioco. Questo è esattamente ciò che Amazon sta facendo. Afferma Bezos, fondatore di Amazon: «Il nostro lavoro principale consiste nell’aiutare le persone a fare acquisti, e stiamo investendo più di chiunque altro nella personalizzazione che è coerente con i prezzi competitivi». Un corollario naturale di un processo che aiuta le persone a esprimere la loro individualità allontanandosi dal mercato di massa sembra essere la frammentazione del pubblico e, quindi, dei marchi. Ritornando a quanto detto sopra, il branding globale dovrebbe perdere il suo appeal a favore delle etichette locali. Ci potrebbe essere un’implicazione ancora più scioccante: l’ingresso in un mercato sarebbe facilitato perché l’utente non si rivolgerebbe più alla marca, ma esigerebbe un prodotto fatto su misura mediante interazioni sul web e stampanti 3D.

La cultura online è anti-autoritaria, e i naviganti del Web si adattano a comportamenti dissimili da quelli tenuti nel mondo fisico. Per complicare ulteriormente le cose, le leggi che governano il cyberspazio sono nelle loro prime fasi formative e cambiano rapidamente. Intanto, con le domande e i bisogni delle persone che raggiungono i mercati online, la ricetta per il successo si basa sul pensare a ciò che le rende le persone diverse, non a ciò che hanno in comune. La ricerca di esperienza da parte degli acquirenti personalizzati non può essere semplicemente convertita in una formula magica, aggiungendo un sito web a un business esistente. Un salto di qualità è obbligatorio. L’intero business deve essere rimodellato intorno alle caratteristiche di Internet, tra le quali:

  • Fare ordini e prenotazioni online. Secondo il Rapporto 2020 della Fondazione Nord Est, solamente il 13,8% dei portali consente di fare ordini e prenotazioni online.
  • Facilitazione della comunicazione.
  • Costi di transazione prossimi allo zero.
  • Ogni cliente è un segmento di un “mercato di uno”.
  • Facilitazione del confronto dei prezzi.
  • Risparmio dei costi.

Infine. Al pari delle persone, ciò che dà valore alle imprese è la loro reputazione. Quella genuina fa dire all’impresa: “iniziamo con il cliente, con l’esperienza e la personalizzazione che gli offriamo, e da lì muoviamoci a ritroso”. È questo l’ossigeno culturale che necessita alle imprese per fiorire in un mondo fatto di luoghi multipli, all’incrocio di tre realtà: fisica, virtuale e aumentata. Quell’ossigeno è fornito dal rapido flusso di idee favorito dalle aziende e dagli individui che si spostano online. Nel 2010, avevamo poco meno di due miliardi di persone online, connesse. La stima per il 2020 è di circa cinque miliardi di utenti Internet.

 

*Piero Formica è Professore di economia della conoscenza, Senior Research Fellow dell’International Value Institute presso la Maynooth University in Irlanda. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale














Articolo precedenteDalla fusione di Cta e Ctl nasce Good Truck
Articolo successivoDigiline al Dex di Siemens, un nuovo approccio ai digital twin






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui