EY Capri: il 42% degli italiani teme gli effetti dell’intelligenza artificiale

Durante il Summit organizzato dalla multinazionale della consulenza si è parlato delle nuove opportunità professionali offerte dalla digitalizzazione, grazie alla quale il mondo industrializzato sta vivendo un vero jobs boom. Ma il 65% dei manager ha timore a investire in digital innovation

Innovazione e digitalizzazione sono le parole chiave di ogni azienda che voglia crescere ed essere sempre più competitiva sul mercato. Inoltre, contrariamente a quanto si crede, la quarta rivoluzione industriale sta aumentando i posti di lavori: i tassi di occupazione 2018 in 26 Paesi Ocse, infatti, sono i più alti mai registrati. Anche l’Italia ha raggiunto livelli record e la disoccupazione è scesa sotto il 10% per la prima volta dal 2011, confermando che il lavoro umano non sparirà a causa del digitale, bensì cambierà. Ma la digital transformation richiede non solo investimenti per le nuove tecnologie, ma anche competenze differenti da quelle sino ad ora messe in campo, fattori che preoccupano gli imprenditori.

Da una ricerca condotta da Swg per EY, presentata in occasione dell’EY Capri Digital Summit 2019, emerge che il 94% di imprenditori e top manager ritiene che nel futuro, anche in Italia, nessuna impresa potrà prescindere dal fatto di avere un’elevata competenza e struttura tecnologica. La percezione è che la tecnologia nei prossimi 10 anni sarà impattante su tutti i settori. In particolare per i manager l’impatto tecnologico sarà forte soprattutto a livello di gestione dei dati e trattamento delle informazioni (42%), nella sanità (gestione dei data, genetica, biotecnologie) (36%) e nell’industria (automazione dei processi e dei controlli) (36%).







«Noi crediamo che si possa cambiare ciò che non funziona – ha dichiarato Paola Pisano, Ministro per l’Innovazione tecnologica e la Digitalizzazione – crediamo nella capacità di noi italiani di trasformare, di essere creativi, di ispirare, di motivare, di guidare ma soprattutto di lavorare con voglia di fare e ispirazione. Siamo noi che creiamo il cambiamento, collaborando e supportandoci. A Capri mi trovo a partecipare ad un incontro che sono certa porterà importanti spunti e cambiamenti. E come ho già avuto occasione di dire, il mio Ministero è aperto, con l’intenzione di percepire tutti gli input per lo sviluppo a livello di innovazione e digitalizzazione».

Secondo la survey, le aziende più innovative sono grandi multinazionali o grandi imprese internazionali, mentre le istituzioni pubbliche, le organizzazioni no profit oltre e le pmi procedono più lentamente nel percorso d’innovazione. Infatti, per oltre il 70% sia di top manager sia dei lavoratori, le aziende italiane faticano ad accettare una cultura digitale d’impresa; inoltre, circa il 65% degli stessi hanno timore a investire in innovazione digitale. Per portare un contributo maggiore in termini d’innovazione è necessario cambiare l’approccio culturale dei manager (per il 62% degli imprenditori) e aumentare le competenze tecnologiche dei dipendenti (per il 40% della popolazione).

I fattori che rappresentano la spinta più importante all’innovazione tecnologica per una impresa secondo gli intervistati per la ricerca. Fonte EY

La capacità di innovare è legata a quella di generare comportamenti sostenibili, a conferma di come innovazione e sostenibilità costituiscano un binomio sempre più stretto. L’innovazione non esiste senza le persone: dipende innanzitutto dall’attitudine dei manager, ma anche dalla capacità di formare i dipendenti e di sviluppare e aggiornare le proprie competenze. L’innovazione tecnologica, intesa come concetto collettivo, è certamente una delle sfide più importanti che l’Italia dovrà affrontare nel prossimo futuro. Non si innova da soli, ma lavorando in ecosistema con imprese, Università e poli tecnologici, mettendo le idee a fattor comune e il cliente al centro. Tra le maggiori sfide legate all’innovazione, imprenditori e top manager indicano la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (55%) e l’adeguamento tecnologico delle imprese (36%).

Ecco le caratteristiche più importanti per un’azienda che punta all’innovazione secondo gli intervistati della ricerca. Fonte EY

 

Le sfide nel mondo del lavoro nell’era della digitalizzazione

Con la rivoluzione industriale in corso stanno cambiando le modalità di organizzazione del lavoro. Le persone occupate sono più del periodo pre-crisi, ma le ore lavorate sono ancora in numero inferiore. Si diffondono modalità di lavoro flessibile: Il 56% delle grandi aziende ha messo in piedi progetti strutturati di lavoro flessibile, il numero di lavoratori interessati è aumentato del 14% dal 2016. Le preferenze dei lavoratori stanno cambiando: il 50% dei millennial entrerà nella forza lavoro entro il 2020, e questo imporrà un’accelerazione del tasso di trasformazione delle imprese, attualmente molto più lento del cambiamento tecnologico. Allo stesso tempo, mentre una quota sempre più rilevante della forza lavoro invecchia, aumenteranno le esigenze di conciliazione e di adozione di forme di prestazione e affiancamento lavorativo non standard.

Gli strumenti legislativi messi in campo negli ultimi anni hanno teso ad accompagnare questi processi – legge sul lavoro agile, staffetta generazionale, norme sulla vigilanza. Gli strumenti digitali abilitano una diversa concezione del lavoro, potenzialmente sempre più slegato dai parametri fordisti di tempo, luogo, processo (piattaforme collaborative, cloud, strumenti di knowledge management/sharing etc.) e sempre più collegato a output e risultati. La flessibilità è incentivata come strumento di produttività e attenzione all’ambiente e all’uso ottimale degli spazi. Il coworking ne è un esempio: i lavoratori non sono più legati ad uno spazio fisico grazie alle tecnologie (internet, pc, device) e possono svolgere la propria attività lavorativa anche in spazi diversi dall’abituale luogo di lavoro.

Ecco gli aspetti per i quali le aziende italiane
hanno maggiormente bisogno di innovazione secondo gli intervistati per la ricerca. Fonte EY

Allo stesso tempo, permane un importante problema di adoption: se più del 50% delle grandi imprese ha strutturato progetti di lavoro flessibile, questo dato scende al 24% per le pmi e all’8% per la Pubblica Amministrazione. La PA rappresenta solo il 3,6% dei datori di lavoro che hanno avviato un periodo di smart working. Sul totale dei lavoratori che hanno usufruito del lavoro agile, i dipendenti pubblici rappresentano solo lo 0,7%, il 72% dei quali sono donne.

Esiste inoltre un tema complessivo di alfabetizzazione digitale nel Paese: l’ultimo Skills Outlook dell’Ocse mostra che solo il 21% della popolazione tra i 16 e i 65 anni possiede un livello di alfabetizzazione digitale soddisfacente, e solo il 36,6% è in grado di utilizzare internet in modo complesso e diversificato, contro una media Ocse del 58,3%. Ancora più allarmante il fatto che quasi un disoccupato su 5 dichiari di non aver mai utilizzato internet.

Esiste infine un tema, per ora poco dibattuto, che riguarda la diffusione delle nuove patologie da isolamento digitale: secondo elaborazioni EY da dati Inail, le malattie del sistema nervoso dei lavoratori sono aumentate sia in termini percentuali (il 5% nell’ultimo anno rilevato) che in termini di incidenza sul totale. Anche il cosiddetto hot desking che molte aziende stanno adottando si sta rivelando un potenziale veicolo di alienazione, ad esempio, a causa dei rumori dell’ambiente circostante si tende ad isolarsi e a ridurre la collaborazione ed i rapporti face-to-face. Quindi molti stanno già cercando di correre ai ripari creando ambienti più salubri e maggiori spazi per la socialità.














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