Noovle, l’asso nella manica di Tim per diventare grande nel cloud

di Piero Macrì ♦︎ La nuova società, interamente controllata, inizierà a erogare i propri servizi attraverso gli attuali sette data center di cui l’azienda guidata da Gubitosi dispone sul territorio nazionale. L’infrastruttura che si andrà progressivamente ad ampliare è basata su una logica di massima apertura industriale: è questo il fattore differenziante del modello di business della cloud company. Le opportunità per l’industria e il manifatturiero

Tim data center Acilia

Accelerare la digitalizzazione del sistema impresa italiano e creare opportunità per attrarre investimenti da parte dei big player internazionali del cloud. È questo l’obiettivo di Noovle, la nuova società del gruppo Tim che ambisce a diventare la più grande infrastruttura data center italiana per l’erogazione di soluzioni e servizi digitali. Noovle, nata dall’integrazione dell’omonima azienda partner di Google Cloud, è anche uno degli elementi cardine del nuovo piano strategico “Beyond Connectivity” annunciato da Tim per il triennio 2021-2023. Oltre la connettività, quindi, poiché la sostenibilità delle telco è ormai largamente dipendente dalla fornitura di soluzioni e servizi digitali. Secondo quanto affermato dall’amministratore delegato Carlo D’Asaro Biondo, Noovle dovrebbe raggiungere nel 2024 un fatturato di 1 miliardo di euro e un ebitda da circa 400 milioni di euro. L’infrastruttura attuale basata su 7 data center e 4 centri servizi sparsi sul tutto il territorio nazionale verrà rapidamente estesa con la realizzazione di 6 nuovi data center per raggiungere nel 2022 una dimensione di oltre 50.000 mq di superficie totale.

Un’espansione che è strettamente associata alla partnership con Google ma che potrebbe coinvolgere altri cloud provider globali che ambiscono ad essere presenti fisicamente con proprie strutture sul territorio italiano. «Il cloud – afferma Alfredo Nulli, responsabile portfolio & center of excellence di Noovle – è diventato un elemento irrinunciabile per la trasformazione digitale in tutti settori di business. La presenza diffusa di data center in tutta Italia darà vita a un’infrastruttura distribuita che consentirà a un numero sempre più ampio di aziende di accelerare il percorso di innovazione, nel cloud e nell’edge, grazie anche al contributo di importanti partner del mondo It come Atos, Cisco, Citrix, Microsoft, Salesforce, Sap e Vmware». Secondo dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2020 la spesa nel cloud ha raggiunto in Italia un valore di 3,34 miliardi di euro con una crescita rispetto al 2019 del 21%, trainata soprattutto dal Software as a Service che rappresenta il 50% del totale dei consumi. Il primo settore per volumi di investimenti è il manifatturiero che cuba per il 24% del mercato complessivo.







 

Dalla connettività al valore digitale per tutti i settori di industry

L’amministratore delegato di Noovle Carlo D’Asaro Biondo

«Il piano di sviluppo, accanto al consolidamento di tutta una nostra offerta di servizi di tipo orizzontale e di applicazioni, in primis quelle associate alla cloud platform di Google, prevede la realizzazione di soluzioni verticali a supporto dei mercati dell’industria e della logistica, delle smart city, dell’agricoltura e dei settori retail ed office nonché del mercato consumer. Le aziende richiedono soluzioni per trasformare processi rendendoli più efficienti, con minori costi e in grado di aumentare la competitività. È finito il tempo del data center come pura infrastruttura di computing», afferma Nulli.

Per mantenere e rafforzare la posizione di rilevanza nella trasformazione digitale, Tim parte quindi dal proprio punto di forza che è la connettività, in fibra e  wireless, rendendo disponibili con i data center di Noovle soluzioni cloud a copertura di tutti gli ambiti della catena del valore digitale in settori specifici di mercato. Per essere un player distintivo nella cloud economy, Tim farà leva sulle sue controllate Olivetti, Trust Technologies e Telsy che hanno sviluppato negli anni competenze nell’Internet of Things, nell’identità digitale e nella cybersecurity. In questa logica – come spiegato da Nulli – si sta lavorando alla creazione di digital business platform, un insieme di “meta piattaforme” con raggruppamenti di funzionalità coerenti a servizi omogenei di industry. Esempi di questi “service enabler” sono il massive IoT e lo smart manufacturing, la robotica, l’intelligenza artificiale, la blockchain, l’audio/video analytics finalizzati alla realizzazione di soluzioni digitali avanzate.

 

Cloud, un mercato da 3,34 miliardi di euro. Il manifatturiero primo per volumi di spesa

Che il cloud sia un mercato in piena espansione è confermato dagli ultimi dati dell’Osservatorio del Politecnico di Milano. A questo aumento ha contribuito la fase di emergenza sanitaria che ha fatto crescere l’adozione del cloud nelle Pmi del 42% anno su anno. L’emergenza ha inoltre spinto l’utilizzo del Software-as-a-Service (SaaS) che, crescendo del 46% sul 2019, rappresenta oggi la metà della spesa complessiva in public & hybrid cloud. Una crescita legata anche alla rapida adozione di servizi di collaboration e gestione documentale e dalla forte spinta dell’e-commerce. Sempre importante il volume espresso dall’Infrastructure-as-a-Service (IaaS) che nel 2020 cuba per il 36% della spesa complessiva e il Platform-as-a-Service (PaaS) che rappresenta il 14% del totale. Analizzando lo spaccato per comparti verticali, l’Osservatorio del Politecnico segnala un leggero rallentamento del manifatturiero, che comunque rimane in testa tra le industry per volumi di spesa con il 24% del totale. A seguire il bancario, telco e media, servizi, utility, PA e sanità, Gdo e retail, assicurativo.

Cloud, un mercato da 3,34 miliardi di euro. Il manifatturiero primo per volumi di spesa. Fonte dell’Osservatorio del Politecnico di Milano

 

Una nuvola aperta ad ospitare partner in business

L’infrastruttura che Noovle andrà progressivamente ad ampliare è basata su una logica di massima apertura industriale. È questo il fattore differenziante del modello di business della cloud company di Tim. «L’unicità di Noovle è quella di creare data center che possano attrarre investimenti da parte dei big cloud provider internazionali che vogliono espandere la loro presenza fisica sul territorio italiano», dice Nulli. È in questo senso che va per esempio intesa la partnership con Google. Il colosso di Mountain View investirà nel nostro paese oltre 900 milioni di dollari in 5 anni. Parte di questi investimenti sono destinati alla creazione di due Region Cloud Google basate sui data center Tim, a Torino e Milano. «Quello a cui puntiamo è un’infrastrutttura distribuita su tutto il territorio», spiega Nulli. «A differenza di quello che si pensava in passato, il cloud non corrisponde a una centralizzazione dell’It ma diventa una modalità per decentrare le risorse digitali».

 

Software as a service come motore di crescita della nuova fase industriale del cloud

Alfredo Nulli, responsabile portfolio & center of excellence di Noovle

Grazie all’ infrastruttura ereditata dal Gruppo Tim, Noovle rappresenta oggi oltre l’11% del mercato public cloud in Italia ed è una quota che, secondo Nulli, è destinata ad espandersi rapidamente. «Esiste ormai un cloud su cui fare approdare la digital transformation delle grandi e delle piccole e medie aziende. In una prima fase le risorse di data center sono state essenzialmente acquisite per razionalizzare l’It interno alle aziende, ricorrendo a servizi di co-location o ad acquisizioni di risorse esterne per il backup e il disaster recovery. Oggi, invece, siamo entrati nella seconda fase dove il cloud viene visto come piattaforma abilitante i processi di business. È un chiaro segnale di come lo sviluppo applicativo delle imprese venga prevalentemente dirottato sulla nuvola».

Gli investimenti tendono a privilegiare il cloud ibrido, una combinazione di risorse pubbliche e private che garantisce la flessibilità di approntamento di servizi secondo un modello coerente con i desiderata delle aziende. «Quello che abbiamo osservato in tutti questi anni è che, nel momento in cui le aziende iniziano a utilizzare il cloud, il processo di accelerazione digitale si evolve rapidamente poiché esiste tutta un’offerta di servizi e soluzioni “ready to use” con un costo di accesso infinitamente più contenuto rispetto a un modello tradizionale It on premise, cioè presso la sede del cliente».

 

 

La grande migrazione al cloud dei workload applicativi

Tim Pomezia. Il Gruppo ambisce a diventare la più grande infrastruttura data center italiana per l’erogazione di soluzioni e servizi digitali

Nel corso degli anni, attraverso analisi selettive, una componente sempre più ampia di workload applicativi aziendali ha intrapreso la strada verso il cloud, andando ad alimentare la capacità computazionale fruibile in una logica as a service. Un processo che ha implicato il passaggio da investimenti Capex a Opex e che ha determinato da parte delle aziende l’outsourcing della gestione della manutenzione e dell’aggiornamento tecnologico. Un percorso che ha reso le organizzazioni It interne alle aziende più flessibili in termini di provisioning infrastrutturale.

«Accanto alla dimensione computazionale si va contemporaneamente affermando la dimensione dei dati, il cui driver è il big data, ovvero la possibilità di convogliare in cloud grandi quantità di dati da elaborare in forma innovativa per riuscire a estrarre da essi nuova conoscenza utile allo sviluppo del business. Tendenza quest’ultima che viene amplificata dall’affermazione dell’Internet of Things, ovvero dalla metabolizzazione in rete di oggetti di ogni genere e grado equipaggiati con sensori che consentono di inviare dati e informazioni sul proprio stato operativo». Secondo Nulli, in virtù di esigenze applicative e di valutazioni economiche, si sta affermando un mondo ibrido in cui convivono risorse server e di storage fisiche e virtuali, declinate nelle forme private o pubbliche as a service. «All’interno del perimetro aziendale rimangono ancora strutture It importanti – legacy e non – ma che nel tempo sono destinate a essere progressivamente neutralizzate dal cloud. E quel che rimane viene re-ingegnerizzato secondo le regole architetturali “software defined” di nuova generazione che vanno a comporre quel che comunemente viene definito cloud privato».

 

Pubblico, privato e ibrido

Il data center Tim di Acilia. L’infrastruttura attuale di Tim è basata su 7 data center e 4 centri servizi sparsi sul tutto il territorio nazionale verrà rapidamente estesa con la realizzazione di 6 nuovi data center per raggiungere nel 2022 una dimensione di oltre 50.000 mq di superficie totale. Un’espansione che è strettamente associata alla partnership con Google ma che potrebbe coinvolgere altri cloud provider globali che ambiscono ad essere presenti fisicamente con proprie strutture sul territorio italiano

Il cloud computing è l’infrastruttura chiave per la digital transformation ed è riconosciuta anche come una delle tecnologie abilitanti l’Industria 4.0. Come è noto può essere di tre tipologie: privato, pubblico oppure, ed è la versione che più va affermandosi, ibrido. Nel caso di cloud privato, l’infrastruttura rimane dedicata esclusivamente all’organizzazione del cliente, che ne ha il pieno controllo: può risiedere nel data center dell’impresa stessa, rimanendo sotto la gestione del personale interno, oppure può essere affidata ad un fornitore esterno specializzato. Nel cloud pubblico, l’infrastruttura è invece di proprietà del service provider che eroga servizi disponibili per la clientela via internet, su risorse condivise da più utenti. Gli investimenti infrastrutturali sono interamente sostenuti dal fornitore, mentre il cliente paga a consumo solamente per i servizi effettivamente fruiti.  Il cloud ibrido è invece un ambiente di cloud computing che utilizza cloud privato, cloud pubblico e soluzioni di terze parti a seconda dei vantaggi ricavabili da ognuna di queste piattaforme, offrendo così una grande flessibilità oltre ad indubbi vantaggi in termini di scalabilità e sicurezza.

 

Ma l’evoluzione è multicloud

La maggior parte delle aziende, soprattutto quelle più grandi, non hanno un unico fornitore cloud. A seconda delle esigenze il sourcing tecnologico è diventato negli anni multicloud ed è questa la caratteristica di fondo che caratterizzerà l’evoluzione del mercato. Insomma, un cliente Tim può essere contemporaneamente un cliente Microsoft, Aws, Google o altro e avere allo stesso tempo in esercizio un private cloud. Una condizione che solleva un’esigenza gestionale non indifferente. È questo il motivo per cui Tim ha creato una piattaforma cloud per la gestione centralizzata dei diversi servizi (Cloud Management Platform): un portale che permette il monitoraggio e il controllo dell’intera architettura da dove si possa ottenere una vista d’insieme e di dettaglio sui costi, identificando anche eventuali sprechi o inefficienze in caso di risorse sovra o sotto-dimensionate. «L’aspetto differenziante di questa offerta – spiega Nulli – è la possibilità di combinare più servizi di differenti cloud service provider, porli sotto un’unica governance e gestirli, indipendentemente da dove si trovino, attraverso un’unica piattaforma».














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