Taccuino di appunti sull’innovazione di Dallara: ecco come si costruisce un’auto da corsa (Andrea Pontremoli)

di Chiara Volontè e Renzo Zonin ♦︎ Digital twin, dati e open innovation: sono questi i pilastri dell’innovazione dell’azienda guidata da Andrea Pontremoli. Tra i clienti: Bugatti, Ferrari, Porsche, Lamborghini, Maserati. I tre modelli per sfruttare gli errori. E sulla guida autonoma… Vademecum raccolto in occasione dell'evento congiunto con Lenovo

Dallara

Innovazione e competizione dovrebbero essere il motore di ogni impresa: è solo con la loro combinazione che le imprese possono crescere. E sono sicuramente il carburante di Dallara Automobili, produttore mondiale di autovetture da gara che ogni weekend porta in pista circa 300 macchine che si danno battaglia nei maggiori campionati, dalla Formula 1 alla IndyCar, dalla Formula E all’Endurance.

L’azienda di Varano de Melegari, fondata dall’ingegner Giampaolo Dallara nel 1972, conta oggi circa 800 dipendenti, per un fatturato di poco superiore agli 85 milioni di euro. Ma coma ha fatto questa impresa della provincia di Parma a diventare la numero uno nel suo settore? «Innovando continuamente e sfruttando al massimo tutte le tecnologie disponibili, da quelle dei materiali a quelle digitali». Ecco il taccuino di appunti dell’innovazione di Dallara raccontato dal suo amministratore delegato Andrea Pontremoli.







Taccuino di appunti 1: Cad 3D e digital twin

Il simulatore di guida che consente a un pilota di guidare un’auto mai costruita. Utilizza i modelli matematici che, opportunamente collegati, danno vita al gemello virtuale della futura auto da corsa

Secondo Pontremoli, per innovare bisogna poter sbagliare. Ed è la virtualizzazione che consente ai progettisti di sbagliare velocemente e a basso costo. Il modus operandi dell’azienda è dunque un misto di sofisticate tecnologie digitali di progettazione, che implicano l’uso di Cad 3D, gemelli digitali delle auto, supercomputer per eseguire i calcoli della Fluidodinamica Computazionale (Cfd), ma anche simulatori di guida per avere un’idea del comportamento dell’auto prima ancora di costruirla. E, infine, modelli fisici in scala per il test in galleria del vento, dove si misura la corrispondenza fra le caratteristiche ipotizzate sul modello virtuale e quelle rilevate sul modello fisico dell’auto, costruito tramite manifattura additiva. Nella fase “virtuale” della progettazione, l’auto è di fatto un insieme di modelli matematici, non tutti creati in Dallara.

Il modello del motore lo fornisce il produttore del motore, e così quello delle gomme e di ogni elemento di provenienza esterna. «Quella che usiamo è una grande piattaforma open source, che integra modelli matematici nostri, modelli del cliente, e modelli di fornitori esterni con un linguaggio per far parlare tutte le componenti. Chiaramente, nei modelli matematici c’è il know-how delle varie aziende coinvolte, quindi sono configurati in modo da avere un’area riservata, una black box, dove gira il modello vero e proprio, e un’area accessibile esternamente, una white box, dove posso parametrizzare il funzionamento del modello». Ai modelli matematici accedono i progettisti quando disegnano i pezzi, ma anche il simulatore che permette a un pilota di guidare l’auto virtuale prima che venga costruito un singolo esemplare.

Taccuino di appunti 2: i dati a servizio di peso e aerodinamica

Andrea Pontremoli, Ad in Dallara da 16 anni, arriva da un’esperienza di 27 anni ai vertici di Ibm

«In una vettura da corsa, il 15% delle prestazioni viene dal motore, un altro 35% dipende dal peso, mentre il restante 50% arriva dall’aerodinamica. Dallara non fa motori, quindi noi lavoriamo sull’85% della prestazione, fatta da peso e aerodinamica. In genere, il motore lo fornisce il cliente, oppure lo scegliamo noi in base a delle caratteristiche che definiamo a priori». Tra i clienti nomi di spicco delle supercar come Bugatti, Ferrari, Porsche, Lamborghini, Maserati. Ma perché questi brand scelgono Dallara?

«Prima di tutto perché ogni weekend abbiamo circa 300 nostre macchine che gareggiano nel mondo – spiega Pontremoli – Quindi disponiamo di una mole di dati enorme. Pensiamo a una casa automobilistica molto conosciuta come Ferrari: hanno in gara due macchine di Formula 1, e nient’altro. Noi abbiamo Formula 1 (con la Haas), Formula 2, Formula 3, Formula E. Quindi, la raccolta dei dati per noi è fondamentale per validare i Digital Twin e i modelli matematici che gli stanno dietro. Più dati hai, più sarai preciso nel costruire i tuoi modelli matematici. Ed è fondamentale la competizione, che è uno degli strumenti che abbiamo per essere innovativi».

Il metodo di lavoro di Dallara è duale. Da una parte il progetto viene impostato e studiato virtualmente, con il Cad 3D e la Cfd sul supercomputer, dall’altro il modello viene costruito in scala e misurato in galleria del vento

Taccuino di appunti 3: tre modelli per sfruttare gli errori

Vista di una parte del complesso Dallara. In primo piano la sede dellAcademy che ospita fra l’altro i corsi universitari di ingegneria finalizzati alla progettazione di auto da competizione

«Potrebbe sembrare un po’ più strano, ma tutta l’innovazione che facciamo è basata sull’errore – ammette Pontremoli – Se non puoi sbagliare, farai solo quello che sai già fare, e quindi sarai conservativo». Il problema è che un imprenditore che fa molti errori finisce per fallire. Come evitarlo?

«Per sbagliare senza fallire, dal mio punto di vista ci sono tre modelli – elenca Pontremoli – Quello che viene usato dal 99% delle aziende è di confinare gli errori. Quindi alloco un budget per gli errori e creo un team per commetterli (e di solito chiamo questo team Ricerca & Sviluppo). In quasi tutte le imprese è così, il team r&s è delegato a sbagliare per tutti e quando trova qualcosa di buono lo passa alla produzione. Questo modello potremmo definirlo “per organizzazione”. Un secondo metodo è “finanziario”: si tratta di investire dei soldi in alcune start-up che si occupano di attività che mi interessano; investo in 10, ne funzioneranno due, intanto ho confinato il budget e ottengo innovazione recuperata dall’esterno che poi porterò in azienda. Infine, il terzo modello è quello che usiamo noi, e che io chiamo “sbagliare attraverso la tecnologia”. La nostra galleria del vento, il simulatore di guida, il supercomputer, il centro di ricerca per i calcoli strutturali, sono degli strumenti per sbagliare molto, velocemente e a basso costo. Prendiamo per esempio la galleria del vento. Quando sviluppiamo una Formula 1, partiamo a marzo e il progetto viene “congelato” a novembre, quindi parliamo di 8/9 mesi. In questi mesi, noi abbiamo fatto circa 40.000 modelli di macchina. Ma non è possibile nel mondo fisico fare 40.000 modelli e provarli per trovare qual è il migliore. Bisogna usare strumenti per selezionare i modelli, e la galleria del vento è uno di questi, abbinata alla Cfd, Computational Fluido Dynamics».

Taccuino di appunti 4: Open Innovation

Il supercomputer di Dallara può completare l’analisi Cfd di un’auto virtuale (costituita da 1,2 miliardi di tetraedri) in meno di 8 ore

In Dallara sta crescendo l’importanza di un nuovo approccio: quello dell’Open Innovation. In questo modo in azienda non ci si deve più occupare di selezionare le tecnologie necessarie per costruire un determinato prodotto, ma ci si concentra sul risultato che si vuole ottenere. Infatti, saranno i fornitori a dover selezionare il giusto mix di prodotti e tecnologie che consentano di raggiungere l’obiettivo prefissato. Ad esempio, Dallara può chiedere al suo fornitore informatico Lenovo un supercomputer capace di calcolare la Cfd di un’auto in 8 ore, e starà poi a Lenovo individuare quali server, quali memorie, quali tecnologie di rete e di raffreddamento saranno necessari per completare il calcolo nel tempo richiesto.

Il cambio di approccio è significativo per almeno tre buoni motivi. Primo perché consente all’azienda di concentrarsi su ciò che vuole fare e su ciò che sa fare, lasciando ai fornitori il compito di occuparsi di cose che non rappresentano il suo core business. Secondo, permette di ridurre il ritardo nello sviluppo di nuovi prodotti causato dalla necessità di fare scouting delle tecnologie presenti sul mercato, e di studiarle per “farle proprie”. Terzo, il cambiamento di paradigma introdotto dall’open innovation tende a favorire in qualche modo l’aggregazione di scoperte e tecnologie provenienti da diverse entità (commerciali o accademiche), in modo simile a quanto è successo nel settore del software con il modello di sviluppo Open Source.

Un esempio pratico di Open Innovation: la guida autonoma

Una Dallara AV-21 a guida autonoma, protagonista di un riuscito esperimento di Open Innovation. L’auto è identica a quelle che corrono in IndyCar, con l’aggiunta dei necessari sensori e attuatori

«Alcuni anni fa parlavo dell’approccio open innovation e mi chiesero che cosa avremmo voluto realizzare in Dallara – ricorda Pontremoli – Risposi che la nostra ambizione sarebbe stata costruire un’auto da corsa a guida autonoma in grado di girare sul circuito di Indianapolis e capace di sorpassare». Il sorpasso è, da un punto di vista informatico, un paradosso di programmazione: se chiedo all’intelligenza di bordo che guida la macchina di sorpassare un’altra vettura, sto di fatto chiedendogli di fare una cosa tipicamente umana, ovvero di prendere un rischio. Non è una cosa banale da programmare. Sta di fatto che da quella risposta è partito un progetto, che è stato chiamato Indy Autonomous Challenge (Indy Autonomous Challenge – Official Website). E poiché Dallara sa fare le macchine, ma non si occupa di programmi di guida autonoma, ha pubblicato la richiesta del software sotto forma di “challenge”. «Abbiamo detto: fra un anno vogliamo fare questa gara di macchine senza pilota. Noi diamo la vettura, uguale a quelle che corrono a Indianapolis ma sensorizzata, per cui chi voleva realizzare il software aveva a disposizione i dati relativi a ciò che il computer “vedeva” (radar, Gps, sensori di prossimità eccetera). Diamo anche gli attuatori per sterzo, acceleratore, freno, cambio. Chi partecipa alla challenge deve solo creare il “cervello”».

Il premio per chi vinceva la challenge era di 1 milione di dollari. Interessante il fatto che chi sviluppava il software poteva provare la vettura in versione virtuale, perché Dallara forniva anche il suo modello di sviluppo, quello usato correntemente in azienda. Tanto che si è stabilita una tappa intermedia: ci sarebbe stata la gara fra i modelli virtuali, in concomitanza con la famosa competizione “fisica” di Indianapolis. «Non si è presentata alla challenge nemmeno un’azienda. Ma si sono palesate 37 università, anche prestigiose. Stanford, Mit, Corea, e tre dall’Italia (PoliMI, Modena & Reggio Emilia, UniPisa). La gara virtuale viene vinta dal Politecnico di Milano, che prende un premio di 100mila dollari. A questo punto si inizia a lavorare per la gara con le macchine vere. Le varie università, studiando i modelli degli altri, hanno capito chi era più bravo a fare cosa, e così si sono aggregate. Partendo da 37 università, ci siamo ritrovati con 10 team, ciascuno composto da 3 o 4 università. PoliMI si è messo con Polonia e Canada, Modena con la Corea, eccetera».

Le stampanti 3D vengono usate per costruire, pezzo per pezzo, i modellini in scala 1 a 2 da testare in galleria del vento, per ottenere dati fisici da confrontare con quelli del modello virtuale calcolati dal supercomputer

Il 23 ottobre si fece la gara fra le 10 vetture, anche se si decise alla fine di togliere la possibilità di sorpasso: solo tre team erano riusciti a programmarla. L’evento comunque aveva attirato l’attenzione di grandi marchi della tecnologia, che entrarono come sponsor: Microsoft, Cisco, Ansys, Luminar. «La cosa più interessante però avvenne quando il Ceo di Comdex ci propose di sponsorizzare una gara a Las Vegas a patto che inserissimo nuovamente la possibilità di sorpasso. Accettammo, e successe che le tre squadre che avevano il software per sorpassare lo diedero anche agli altri 7 team. La gara si fece e vinse il PoliMI». Dopo la gara di Las Vegas, la TII di Abu Dhabi (Uae) chiese a Dallara di preparargli 20 macchine per realizzare il primo campionato per vetture a guida autonoma. La prima gara è prevista ad Abu Dhabi il prossimo 28 aprile. Così, questa challenge nata in ottica open innovation si è già trasformata in una nuova linea di business. «Un business che ci sta dando grandi soddisfazioni – specifica Pontremoli – perché non c’è solo il discorso della guida autonoma: è che stiamo cambiando il concetto di sicurezza. Oggi, le dotazioni di sicurezza di un’auto reagiscono a fronte di errori. L’Abs corregge la tua frenata, l’Esp corregge la tua entrata in curva. Ma gli strumenti montati su un’auto a guida autonoma sono come un angelo custode, lavorano in ottica di previsione: evitano l’errore adeguando i parametri alle condizioni del percorso». Così, se applicati a una macchina con pilota umano, si accorgono in anticipo che si sta per affrontare la prossima curva a velocità troppo elevata, e intervengono in anticipo, facendo rallentare il veicolo prima della curva. O magari ti impediscono di iniziare un sorpasso perché hanno captato la presenza di un altro veicolo, che il guidatore non ha notato».

(Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 30 novembre 2023)














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