Tra e-commerce e tensioni geopolitiche: qual è il futuro della supply chain?

di Piero Formica* ♦︎ Il 2020 ha messo a dura prova il commercio mondiale: le imprese ora vogliono operazioni più snelle con catene di approvvigionamento più corte e più vicine ai plant. Non solo: per analizzare il fenomeno dobbiamo prendere in considerazione quattro fattori: infrastrutture, vendite online, frizioni internazionali, clima, cooperazione. E nei prossimi anni…

Quale il futuro delle catene di fornitura? Secondo David Dollar, senior fellow della Brookings Institution, «È sorprendente quanto poco cambiamento ci sia stato nei modelli di commercio mondiale nel 2020. Le grandi imprese sono ancora concentrate sul profitto a breve termine e vogliono mantenere le operazioni più snelle ed efficienti possibile. Potrebbero esserci più scorte, e le catene del valore potrebbero essere più corte e più vicine a casa, ma resto scettico nel ritenere che questo sarà un fenomeno diffuso».

Un’indagine condotta dal Financial Times permette di osservare da diverse prospettive lo scenario delle catene di approvvigionamento. Ne diamo qui un resoconto che prende in esame: Infrastrutture; E-commerce; Tensioni geopolitiche; Clima; Cooperazione e valori condivisi.







 

Infrastrutture

Il presidente Usa Joe Biden

Introdotto dal Presidente Herbert Hoover nel 1933, il Buy American Act ha richiesto alle agenzie governative americane di acquistare beni prodotti negli USA da aziende statunitensi. Nel suo programma di investimenti per circa 2 trilioni di dollari, il Presidente Joe Biden ha ribadito che i contratti saranno affidati a società americane con prodotti americani. È questo un disegno che entra in conflitto con l’apertura dei mercati evocata dalla Global Business Alliance, un gruppo che rappresenta le sedi statunitensi operative delle multinazionali straniere. Esse danno occupazione ai lavoratori statunitensi e contribuiscono a stimolare l’economia producendo in quel paese, insomma incarnano il “Made in Amarica”. Si stima che ci siano circa 8 milioni di lavoratori negli Stati Uniti impegnati nelle aziende internazionali. Non pochi di loro lavorano in stabilimenti globali localizzate negli USA da quelle multinazionali (per esempio, la Bmw e L’Oreal). In presenza di confini così sfocati e di vite imprenditoriali e lavorative tanto intrecciate, è arduo tratteggiare una linea netta tra ciò che è e ciò che non è americano. Le catene non sono rigide. Sono flessibili, si girano, si piegano, possono torcersi e ad avvilupparsi una intorno all’altra.

 

E-Commerce

Il passaggio dei consumatori al digitale e le forme miste (off e online) d’acquisto avranno forti ripercussioni sulle supply chain. Se ne possono trarre lezioni considerando l’evolversi dell’e-commerce. Promesso da Jeff Bezos, è ora in vista il maschio artificiale dell’ape, il drone, che recapita a domicilio gli acquisti fatti nei negozi online. Nell’arco di pochi anni, Amazon si ripromette di consegnare, in grande scala, con elicotteri-robot miniaturizzati i prodotti da noi richiesti. Se non è questo il tramonto paragonabile a quello di una lunga teoria di cavalli, tanto tempo fa, – per esempio, del Pony Express, un servizio postale veloce dal Missouri a San Francisco – e, oggi, dei camion nelle strade, certo è che, con i bit a muovere le merci, le aziende stanno cercando di capire il modo migliore per integrare l’e-commerce nelle loro operazioni. Anche quelle aziende che hanno già immerso un dito del piede (o anche un’intera gamba) nelle acque del commercio digitale stanno riconoscendo che questo è solo l’inizio di un lungo viaggio, piuttosto che una soluzione istantanea. Lo dimostrano i piccoli droni di Bezos. Il commercio di oggetti fisici in combinazione con le operazioni online personifica le soluzioni ibride del web.

I mercati online possono essere costruiti intorno ai compratori o intorno a scambi indipendenti. I primi mercati sono a senso unico, con i grandi acquirenti che detengono il potere di mercato. I secondi tendono ad essere bidirezionali: occupando una posizione centrale tra acquirenti e venditori, mediano tra le parti. Le aziende che già detengono un grande potere di mercato tendono a rafforzare la loro posizione valorizzando i mercati virtuali attraverso consorzi che sostituiscono gli sforzi stand-alone online. All’interno di un’industria che si è consolidata intorno a poche grandi aziende, queste si accordano per usare un sito web per la maggior parte delle loro attività B2B, creando così un consorzio industriale. Questo è anche conosciuto come un “portale verticale” che è un mercato di parte “a forma di piramide” perché assembla pochi grandi acquirenti per indirizzare una massa frammentata di piccole e medie imprese che formano diversi livelli di fornitori.

le preoccupazioni per la salute e le conseguenti restrizioni imposte per controllare la diffusione del Covid-19 hanno portato a un numero crescente di acquisti online e a un maggior ricorso alle imprese locali. L’evidenza suggerisce che questi cambiamenti nel comportamento dei consumatori dureranno più a lungo della pandemia, il che significa che i rivenditori dovranno adattarsi, per garantire che le merci possano essere consegnate rapidamente e a buon mercato

Già nel 1999, General Motors, Ford e DaimlerChrysler crearono Covisint, un consorzio di “Collaborazione, Visibilità e Integrazione”, allora uno dei più grandi mercati virtuali del mondo, con acquisti di miliardi di pezzi da decine di migliaia di fornitori. Renault e Nissan Motor accettarono di unirsi. Nel 2000, i grandi rivenditori Sears Roebuck degli Stati Uniti, Carrefour della Francia e Sainsbury del Regno Unito disegnarono un consorzio di vendita al dettaglio, chiamato GlobalNetXchange, che rappresentava 200 miliardi di dollari di acquisti annuali. Worldwide Retail Exchange, il principale concorrente di GlobalNetXchange, fu fondato da 11 membri, tra cui i principali rivenditori europei come Tesco, Auchan e Market & Spencer. Al contrario, i mercati online costruiti intorno a scambi indipendenti hanno mostrato una frammentazione su entrambi i lati della domanda e dell’offerta. Sono stati etichettati come mercati neutrali “a forma di farfalla”, focalizzati su industrie specifiche (chiamati “portali verticali puri”) o su funzioni specifiche e processi di business attraverso industrie diverse (“portali funzionali puri”). I market maker indipendenti o gli intermediari online hanno generato questo tipo di portali all’interno di settori poco consolidati dove ci sono meno grandi attori che comandano una quota importante del mercato. Con l’equilibrio del potere tra diversi acquirenti e venditori in competizione, tutti i partecipanti hanno condiviso i benefici del commercio elettronico indipendente e neutrale.

Ai giorni nostri, le preoccupazioni per la salute e le conseguenti restrizioni imposte per controllare la diffusione del Covid-19 hanno portato a un numero crescente di acquisti online e a un maggior ricorso alle imprese locali. L’evidenza suggerisce che questi cambiamenti nel comportamento dei consumatori dureranno più a lungo della pandemia, il che significa che i rivenditori dovranno adattarsi, per garantire che le merci possano essere consegnate rapidamente e a buon mercato. «Nelle prime otto settimane di Covid, quando tutto è stato chiuso [negli Stati Uniti], l’e-commerce ha accelerato tanto quanto aveva fatto nei 10 anni precedenti», ha commentato Tamara Charm, co-autrice della ricerca McKinsey sul sentimento dei consumatori statunitensi. «C’è stato un cambiamento fondamentale», dice Rory O’Connor, amministratore delegato di Scurri che fornisce ai rivenditori un software per gestire le consegne. «Le abitudini che stavano già cambiando sono state accelerate dalla pandemia. Covid è stato solo il catalizzatore». Più del 45% dei britannici ha riferito che comprare da marchi locali e indipendenti è diventato più importante dall’inizio della pandemia, secondo un sondaggio della società di ricerca Quadrangle. Altri sondaggi hanno rilevato che 3 persone su 10 nel Regno Unito progettano di fare acquisti locali più spesso quando le restrizioni saranno rimosse. In Italia, avanza l’export digitale.

Tensioni geopolitiche

Samsung caveva chiesto alla coreana Illjin Materials di sviluppare la tecnologia per produrre il rame ultrasottile secondo le sue specifiche dopo il terremoto e lo tsunami del Giappone del 2011

Le tensioni in corso in un mondo multipolare e frammentato aprono fronti sul versante della tecnologia, coinvolgendo l’assetto delle supply chains. L’indagine del Financial Times ha portato l’attenzione sulla Samsung che «aveva chiesto alla coreana Illjin Materials di sviluppare la tecnologia per produrre il rame ultrasottile secondo le sue specifiche dopo il terremoto e lo tsunami del Giappone del 2011. Il disastro e le conseguenti interruzioni avevano evidenziato l’eccessiva dipendenza dalla giapponese Mitsui. Il risultato di Illjin è ora una fonte di orgoglio nazionale: riduce la dipendenza della Corea del Sud da componenti e materiali provenienti dal Giappone – un paese contro il quale i coreani nutrono rancori storici. È questo un esempio delle sfide che stanno rimodellando le catene di approvvigionamento in tutto il mondo, mentre le aziende cercano ovunque di ridurre la loro esposizione alle crescenti tensioni geopolitiche, così come i governi si impegnano a promuovere le industrie nazionali attraverso la relocalizzazione della produzione».

 

Clima

I fenomeni meteorologici estremi presentano un conto salato agli scambi commerciali. Per evitare la forte dipendenza da pochi fornitori che potrebbero subire severe conseguenze dal cambiamento climatico, le imprese diversificano le fonti di approvvigionamento ricorrendo al supporto dell’intelligenza artificiale per la scelta delle luoghi. Ciascuna fonte è un possibile ‘cuscinetto’ cui ricorrere nel caso del verificarsi di eventi climatici imprevisti.

 

Cooperazione e valori condivisi

Si coopera con chi condivide i nostri valori, sostiene Biden. Si coopera con i migliori fornitori. Si coopera per allargare la torta che va poi distribuita tra le partecipanti al gioco cooperativo. C’è da bilanciare valori, fiducia reciproca e competenze. Queste ultime vanno portate dove servono. Il monitoraggio continuo assicura stabilità e flessibilità della fornitura. Le sfide sopra accennate fanno intravedere una situazione precaria, in bilico tra avanzamento e arretramento degli scambi transfrontalieri. Se le imprese si attendono una serie di interruzioni delle supply chain provocate da eventi traumatici, ci sono esperti che sostengono quanto sia costoso passare dalla produzione just-in-time e dalle lunghe catene di approvvigionamento a grandi scorte e magazzini. Non solo costoso, ma anche fallibile proprio a causa di ondate successive di shock di varia natura che le nazioni potrebbero dover affrontare. Non mancano, dunque, i presupposti a favore, grazie anche allo sviluppo di catene resilienti ai traumi, della creazione di commercio internazionale che aumenti il benessere collettivo anziché beneficiare solo poche imprese e pochi paesi.

 

*Piero Formica è Professore di economia della conoscenza, Senior Research Fellow dell’International Value Institute presso la Maynooth University in Irlanda. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale














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