Stefano Firpo, Mediocredito Italiano: in 10 anni persi 65 miliardi di finanziamenti verso le pmi

di Roberto Castagnoli ♦︎ Per finanziare i propri progetti di innovazione tecnologica, le piccole e medie imprese possono sfruttare il piano Industria 4.0 del Mise, ma soprattutto possono prendere parte ai bandi che assegnano contributi pubblici a fondo perduto, come quello del Made - competence center del Politecnico di Milano -

Stefano Firpo, Direttore Generale di Mediocredito Italiano

Per un’azienda che voglia confrontarsi con la concorrenza sul mercato globalizzato, sfruttare a fondo i benefici dell’innovazione tecnologica è fondamentale. Ma oggi innovazione tecnologica vuol dire far propri i principi di Industria 4.0, che richiedono non solo un cambio di mentalità, ma anche importanti capitali da investire in ricerca e sviluppo. E sappiamo bene che la capitalizzazione non è la migliore dote delle aziende del Bel Paese, soprattutto delle piccole e medie imprese che costituiscono il nerbo del sistema manifatturiero italiano. Come finanziare dunque i progetti di innovazione tecnologica? Una possibilità è sfruttare il piano Industria 4.0 del Mise; un’altra è partecipare ai bandi che assegnano contributi pubblici a fondo perduto, come quello illustrato all’inizio di dicembre al Made, competence center del Politecnico di Milano. Durante l’evento i presentazione, abbiamo ascoltato il parere di Stefano Firpo, Direttore Generale di Mediocredito Italiano, sul rapporto fra le nostre imprese e il credito.

«Il rapporto fra credito e piccola media impresa è un rapporto che negli ultimi anni si è fatto certamente più complicato, per tutta una serie di ragioni. Per esempio, le banche oggi vivono in un contesto regolamentare in cui è diventato più difficile fare credito alla piccola impresa, in particolare a quella che ha indicatori creditizi non particolarmente forti. E questo sta generando dei problemi. Ho visto dei dati sul credito alla piccola impresa (le statistiche del credito di Bankitalia usano una definizione di piccola impresa che non è coerente con la piccola impresa europea, diciamo sotto i 20 addetti) i quali mostrano che negli ultimi 10 anni tale credito è sceso di una cifra sconcertante. Lo stock era intorno ai 180/185 miliardi, ora siamo intorno ai 120: parliamo di 65 miliardi di credito in meno». Ma il calo non potrebbe essere dovuto ai tassi elevati e alla crisi che ha ridotto la domanda di credito?







«C’è stata certamente durante la crisi una disfunzione che ha ridotto la domanda di credito, ma è inequivocabile che sia sia anche ridotta l’offerta. Il combinato disposto di queste due cause ha totalizzato i 60 miliardi di meno. Oggi per fare credito alla piccola e media impresa c’è uno spazio enorme nelle politiche pubbliche. Penso per esempio al Fondo Centrale di Garanzia, che ha aiutato e sta aiutando in maniera significativa. Copre circa 20 miliardi di crediti ogni anno alla piccola e media impresa. C’è ancora uno spazio molto importante da sfruttare su quel fronte ma anche sul fronte delle garanzie europee, per aiutare le banche a fare più credito utilizzando la ponderazione zero in queste garanzie. C’è poi tutto uno spazio sul quale le banche finalmente stanno un po’ lavorando, quello dei modelli alternativi, ovvero di come far lavorare il settore bancario assieme ai canali alternativi. Per esempio noi in Intesa San Paolo stiamo lavorando moltissimo a forme di basket bond, nelle quali la banca sottoscrive dei minibond alle piccole imprese, li cartolarizza e li vende sul mercato tenendo una quota. Ci sono dunque delle opportunità molto importanti per creare dei modelli cosiddetti “originate and distribute”, in cui il mercato dei capitali e il sistema bancario lavorano insieme per consentire un maggiore accesso al mercato dei capitali». La soluzione dunque consiste nel far collaborare sistema bancario e mercato dei capitali?

«L’integrazione fra il settore bancario e mercato dei capitali è un fronte su cui dobbiamo lavorare ancora. Questo perché in Italia, un po’ per la dimensione delle imprese, abbiamo poca carta. Le piccole e medie imprese italiane emettono pochissima carta, quindi bisogna lavorare agli aggregatori. Che possono essere sia tramite minibond, ma anche verificatori di credito. Noi in Intesa per esempio usiamo molto le cartolarizzazioni sintetiche, un ulteriore modo per riuscire a impacchettare questi crediti bancari e trovare degli investitori. Questa è una strada su cui il credito italiano ha iniziato a lavorare, ma per colmare quel gap, molto significativo, del credito verso la piccola e media impresa, c’è ancora molto da fare».














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