Snam tiene botta nel trimestre: ricavi totali a 691 milioni (+8,1%)

di Aldo Agosti ♦︎ La società guidata da Alverà chiude i primi tre mesi con utile a 298 milioni e margine in crescita del 4,6%. Ma è presto per fare i conti con il coronavirus. Ora spinta all’idrogeno

Headquarters Snam a San Donato Milanese

Snam tiene il passo, nonostante una crisi economica che sembra non conoscere confini, al punto da fare a pezzi la nostra industria. Solo ieri Bruxelles ha inchiodato il Pil italiano nel 2020 a -9,5%, il dato peggiore dal 1945. Ma la società guidata da Marco Alverà, che sta scommettendo parecchio sull’idrogeno, ha tenuto botta. Chiudendo il primo trimestre dell’anno con un utile netto a 298 milioni di euro, in crescita del 5,3% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

 







La spinta dell’innovazione

I ricavi totali sono risultati pari a 691 milioni di euro (+8,1% rispetto al primo trimestre 2019) mentre il margine operativo lordo (Ebitda), che misura la redditività di un’azienda, sale a 567 milioni di euro (+4,6%). Performance resa possibile grazie ai maggiori ricavi e al controllo dei costi di gestione, ma soprattutto ai massicci investimenti tecnici a 220 milioni di euro (166 milioni di euro nel primo trimestre 2019), inclusi gli investimenti in innovazione e transizione energetica (SnamTec) di 24 milioni di euro.

 

L’analisi di Alverà

Il ceo di Snam ha fatto una disamina approfondita circa i risultati del gruppo in questo primo scampolo di un terribile 2020. “I risultati del primo trimestre confermano la solidità del nostro business e il valore delle azioni di sviluppo ed efficienza realizzate negli ultimi anni, anche in difficili contesti di mercato. In questi mesi Snam non si è mai fermata, lavorando con grande impegno e con misure straordinarie per garantire il proprio servizio essenziale di sicurezza energetica. Contestualmente, abbiamo dato un contributo per sostenere il sistema sanitario con iniziative di solidarietà e con l’acquisto di ventilatori polmonari e mascherine, supportando anche il settore non-profit attraverso fondazione Snam e le raccolte fondi delle nostre persone”.

Quello che ha rassicurato il mercato è soprattutto la conferma della road map degli investimenti, obiettivo non scontato vista la situazione. La società dei tubi conferma il piano di investimenti 2019-2023 a supporto della ripartenza dei territori. “Stiamo riavviando”, ha spiegato Alverà, “i nostri cantieri, con tutte le misure necessarie per garantire la sicurezza di dipendenti e appaltatori, e individuando tutte le iniziative possibili per recuperare l`impatto delle interruzioni dei lavori degli ultimi due mesi e, ove possibile, accelerare. Allo stesso tempo continuiamo a investire in modo deciso per rafforzare il nostro impegno per la transizione energetica e i progetti per la decarbonizzazione e lo sviluppo dei gas verdi”.

 

Lo spettro del Coronavirus

Attenzione però, perché l’effetto coronavirus potrà essere contabilizzato nei prossimi mesi e c’è sempre tempo per un impatto sui conti. Ma il gruppo non si sbilancia. Snam ad oggi “non è in grado di determinare con attendibilità gli impatti derivanti dal Covid-19 sui target del 2020 e degli anni successivi”, ha chiarito la società. Tuttavia, “sulla base delle più aggiornate informazioni disponibili, anche in ragione della natura delle attività condotte da Snam, la società prevede impatti limitati sui target economici e sul programma di investimenti, proporzionali alla velocità di ripresa dell’attività”.

Insomma, allo stato attuale è difficile valutare gli eventuali effetti sulle iniziative di sviluppo e potenziali ricadute su fornitori o clienti derivanti dal rallentamento delle attività oltre che dall’attuale contesto macro-economico conseguente allo sviluppo della pandemia.

 

Orizzonte idrogeno

Se dunque i piani di Snam non cambiano, allora resta in piedi anche il discorso idrogeno, di cui Snam è al contempo campione nazionale e alfiere in Europa. La società che in Campania sta sperimentano nuove tecnologie applicate all’energia blu, è più che mai convinta del fatto che l’Italia debba e possa diventare un hub europea dell’idrogeno. Solo pochi giorni fa, dalle colonne di Affari&Finanza, Alverà spiegava come “sei mesi fa si diceva che la produzione di idrogeno da rinnovabili, grazie all’utilizzo di eolico o fotovoltaico, sarebbe stata competitiva con un prezzo del petrolio a 50 dollari entro 5 anni. Al momento, il prezzo del greggio cosi basso non aiuta. All’ingrosso ora l’energia elettrica costa 25-30 euro a megawattora mentre l’idrogeno, sempre all’ingrosso, costa oltre 100 euro. Ma presto arriverà a 80, e poi scenderà ancora: allora possiamo dire che tutto dipenderà dai prossimi salti in avanti della tecnologia, esattamente come è avvenuto per le rinnovabili”.

Dunque, “c’è un 40-50% di domanda energetica non elettrificabile, che richiede comunque energia decarbonizzata, sicura e a basso costo. L’idea è quindi di produrre idrogeno verde, da utilizzare nell’industria e nei trasporti. Per esempio, in Africa, dove non ci sono problemi di spazio, l’irraggiamento solare è più del doppio rispetto al Nord Europa e la minore stagionalità permette un utilizzo ottimale delle infrastrutture. E per la sua posizione geografica l’Italia può diventare un hub dell’idrogeno per l’Europa”.














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