Siderurgia ed edilizia: con la simbiosi industriale il sistema è sempre più circolare!

di Marco De' Francesco ♦︎ Si tratta di ecosistemi nei quali gli scarti di un’azienda diventano materie prime o sottoprodotti per altre imprese anche di settori diversi. Così si riducono i costi e l’impatto ambientale. La circular economy del metallurgico: le scorie vengono utilizzate nel cemento. Ma servono tecnologie ed economia di scala. La Strategic Community De- e Remanufacturing di Afil. Con Federacciai, Tenova, Italcementi, Unicalce, Iren

In vista della transizione energetica e dell’economia circolare, uno dei “mantra” emergenti è la “simbiosi industriale”.  Ci si riferisce alla creazione di ecosistemi nei quali gli scarti di un’azienda diventano materie prime o sottoprodotti per altre imprese anche e soprattutto di settori diversi. L’idea è quella di creare un mondo interdipendente, dove flussi di rifiuti ed energia siano consumati di continuo, come accade in natura, senza la generazione di residui non eliminabili. Ciò comporta dei vantaggi oggettivi, come la riduzione dei costi e dell’impatto ambientale; inoltre, incoraggia lo sviluppo di nuovi prodotti, crea posti di lavoro, apre settori di attività, promuove l’innovazione e stimola la crescita economica.

In Lombardia, diverse filiere si stanno muovendo in questa direzione. Infatti, all’Assemblea Generale di Afil (Associazione Fabbrica Intelligente Lombardia, e cioè il cluster regionale per il manifatturiero avanzato) del 6 luglio, la simbiosi industriale è stato un tema ricorrente nelle proposte di partecipazione alla “Manifestazione d’Interesse per lo sviluppo ed il consolidamento delle filiere e degli ecosistemi” di Regione Lombardia nate in seno alle strategic community di Afil. Queste ultime sono gruppi di lavoro composti da aziende, atenei ed enti di ricerca, che si riuniscono per definire priorità comuni, trasferire soluzioni innovative ed implementare attività a beneficio dell’ecosistema regionale.







Tra le proposte, una di economia circolare applicata al settore metallurgico. I grossi player della siderurgia, infatti, stanno sperimentando sistemi in grado di indirizzare i residui di processo in settori differenti, come l’edilizia, e loro stessi potrebbero utilizzare la plastica come materiale di carica sostitutivo. La realizzazione della simbiosi industriale non è però possibile senza affrontare due sfide principali: l’esigenza tecnologica di un’economia di scala e l’incertezza regolamentare. Ma come si è arrivati fin qui? Numerosi spunti erano emersi tempo fa all’evento “Le Opportunità regionali per lo sviluppo di un ecosistema circolare nel settore metallurgico” promosso dalla strategic community De- e Remanufacturing di Afil e co-organizzato da Associazione Italiana Metallurgia; e soprattutto, in quel contesto, nel corso della tavola rotonda “Simbiosi industriale per i residui metallurgici”, alla quale avevano partecipato i rappresentanti della siderurgia (Federacciai, Tenova), quelli dell’edilizia (Italcementi, Unicalce), quelli del riciclo polimeri (Gruppo Iren) e quelli delle istituzioni regionali.

 

Occorre, finalmente, un quadro certo sull’economia circolare degli scarti dell’acciaieria

Forno a passo di pellegrino di Tenova

Perché il sistema prenda quota, ciò che manca «è, da una parte, la certezza delle regole del gioco; dall’altra, l’applicazione omogenea delle norme. A volte le imprese sono titubanti pure nell’implementazione di soluzioni formalmente previste dai regolamenti, perché vi possono essere diverse interpretazioni» – afferma il direttore tecnico di Federacciai Alfredo Schweiger. Secondo Schweiger, lo stesso concetto di “sottoprodotto”, pur essendo fattispecie prevista da normative specifiche, non è chiaro a tutti. Gli fa eco Enrico Malfa, R&D Director Metals di Tenova, società del Gruppo Techint specializzata in soluzioni di ingegneria per l’industria metallurgica e mineraria: «Serve chiarezza regolamentare».

Sul punto, però, Maria Teresa Gazzaniga di Arpa (l’Agenzia regionale per la protezione ambientale) fa presente che «anche l’ente pubblico tecnico, anche il “controllore” (che non scrive le regole) “subisce” le norme, che talora sono obsolete. In Lombardia, tuttavia, Arpa e l’industria lavorano ai “tavoli” da vent’anni, nell’interesse comune di definire soluzioni che rendano sostenibili i nuovi approcci».  Insomma, per la Gazzaniga «ai tavoli regionali c’è collaborazione tra le parti».  Quanto ai controlli, «non piacciono a nessuno»; ma in un certo senso costituiscono una scuola di «formazione alla formalità».  In ogni caso, «nel rispetto dei ruoli, c’è l’approccio del confronto, che è la modalità giusta per lavorare; e la sfida è comune: valorizzare le risorse e le capacità».

 

Siderurgia ed edilizia, il sistema è sempre più circolare

Cementeria di Rezzato – Mazzano. © Giuseppe Cella. Immagine presa dal sito italcementi.it

«Il rapporto tra Italcementi e il mondo dell’acciaio è ormai consolidato da tempo» – afferma Matteo Catanese, Alternative Raw Material & Fuels Manager in Italcementi. È noto, infatti, che le scorie dell’acciaieria, a seguito di un adeguato trattamento, possono essere utilizzate con efficacia nel cemento e impiegate sia come sostitutivi dei leganti che come quelli degli aggregati. Si ottengono prestazioni di buon livello con il duplice vantaggio di reimmettere nel ciclo produttivo i rifiuti che di ridurre l’utilizzo del cemento stesso. «Abbiamo cominciato utilizzando le scaglie di laminazione, che costituiscono un correttivo del ferro che è a sua volta un componente base del clinker. Le scorie nere (n.d.r.: una miscela ternaria di ossido di calcio, diossido di silicio e ossidi di ferro) sono utilizzate come aggregato riciclato nella produzione del calcestruzzo, al posto di materiali provenienti dalla cava; quelle bianche (n.d.r.: quelle da metallurgia secondaria, derivanti dalla massa fusa ricca di ossido di calcio) come correttivo della materia prima in parziale sostituzione del calcare e dell’alluminio. E poi la scoria bianca dà un contributo al processo di decarbonizzazione contribuendo ad abbassare le emissioni di anidride carbonica nella fase di cottura».

Per Catanese, la relazione di Italcementi con il mondo dell’acciaieria «andrà ad intensificarsi: è una vera e propria sinergia strategica». D’altra parte Italcementi, storica azienda Italiana (fondata nel 1864 a Bergamo) di cemento, calcestruzzo e aggregati ora guidata dal Ceo Roberto Callieri, è impegnata nell’economia circolare in senso più lato, stringendo relazioni anche con settori diversi dalla siderurgia: si utilizzano anche altri rifiuti industriali non pericolosi come ceneri volanti e gessi chimici. Dal primo luglio 2016 Italcementi fa parte del gruppo HeidelbergCement, ora il secondo player mondiale per materiali da costruzione, con 18,8 miliardi di euro di fatturato e con 54mila dipendenti in 3mila siti produttivi. Italcementi è stata acquistata con 1,85 miliardi di dollari dalla famiglia Pesenti, attraverso la holding Italmobiliare.

SmartBurner di Tenova

Ha una importante tradizione di rapporti con l’industria dell’acciaio anche Unicalce, il principale produttore italiano di calce calcica, dolomitica e prodotti derivati con 11 stabilimenti su tutto il territorio nazionale per una capacità produttiva (grazie a 22 forni) di oltre 2 milioni di tonnellate all’anno – a cui si affianca la linea di premiscelati con quattro siti produttivi. L’azienda di Lecco, 550 dipendenti e 140 milioni di fatturato, è guidata dal General Manager Luca Negri. È una relazione di scambio biunivoco, quella tra il mondo della calce e l’acciaio. «Il 60% di quello che produce un’azienda di calce aerea (n.d.r.: chiamata così perché indurisce per assorbimento dell’anidride carbonica dall’aria; è il prodotto della cottura di calcari più puri, rocce ad alto contenuto di carbonati di calcio) è assorbito dall’industria siderurgica» – afferma Giorgio Bruletti, Product Manager di Unicalce.

Peraltro Unicalce, di recente, ha realizzato una ricerca applicata in campo siderurgico. Lo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista Steel Research International e condotto presso Acciaierie di Calvisano (Brescia), con l’impiego di un nuovo sistema di iniezione pneumatica di calce sviluppato da Unicalce e installato su un forno ad arco elettrico da 90 tonnellate, ha permesso di misurare (grazie all’analisi di oltre 1.200 cicli di fusione) le prestazioni ottenute da questa nuova tecnologia rispetto alla pratica tradizionale di adduzione della calce in cesta. Secondo l’azienda i principali vantaggi consistono in una rilevante riduzione del consumo di materie prime, nei benefici dovuti alla formazione di scoria con caratteristiche di schiumeggiamento ottimali, nel miglioramento degli aspetti ambientali e nel contenimento dei costi operativi. In senso opposto «va ricordato che la scoria bianca è costituita per il 50% da ossido di calcio, che è la materia prima che produce Unicalce. Da questo punto di vista, le potenzialità del rapporto con la siderurgia sono enormi» – conclude Bruletti.

 

La simbiosi si costruisce con la tecnologia

Centrale termoelettrica di Iren a Turbigo

Ricorda Malfa che la tecnologia, soprattutto quella digitale, svolge una funzione fondamentale nella realizzazione della simbiosi industriale, «perché è indispensabile per la tracciabilità, la gestione e l’utilizzabilità dei rottami di ferro. Gli algoritmi di intelligenza artificiale associati a nuovi sistemi di visione svolgono un ruolo prezioso e insostituibile». Esistono poi tecnologie specifiche che riguardano l’economia circolare per la siderurgia. Ad esempio Iren – multiservizi di Reggio Emilia da 3,7 miliardi di euro di fatturato, quotata in Borsa e operativa nella produzione e distribuzione di energia elettrica, nei servizi di teleriscaldamento (di cui è il maggior operatore italiano) – ha lanciato ad ottobre scorso il polimero Bluair per la produzione dell’acciaio green e ha al contempo inaugurato l’impianto I.Blu a San Giorgio di Nogaro (Udine).

Secondo la società guidata dal Ceo Giorgio Vittorio Armani, all’interno del sito vengono selezionate e trattate le plastiche miste post-consumo che non possono essere avviate nei tradizionali circuiti di riciclo e che, invece, trovano una seconda vita grazie ai processi che si svolgono nell’impianto I.Blu; è così, appunto, che si ottiene il polimero Bluair, una materia circolare brevettata che può essere utilizzata in sostituzione del carbone come agente riducente e come ottimizzatore di processo nella produzione dell’acciaio. Sempre secondo Iren, Bluair consente l’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica di oltre il 30%, la riduzione e l’efficientamento dei consumi elettrici, il miglioramento della qualità delle emissioni e, più in generale, del processo siderurgico. Ma quanto Bluair può utilizzare una acciaieria? Ci sono dei limiti tecnici o il carbone può essere completamente sostituito? «Non totalmente, ma il prodotto è stabile nel tempo, e per perfezionare la sua efficacia nel processo di iniezione stiamo valutando di associarlo anche ad altri materiali. Insomma, assistiamo a miglioramenti continui, acciaieria per acciaieria» – afferma Roberto Conte, Ceo di I.Blu, gruppo Iren.














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