Servitizzazione: è il futuro del machinery! E per Cefriel non ha segreti…

di Renzo Zonin ♦︎ La strada verso l’as a service passa dal consolidamento della strategia digitale e della piattaforma di soluzioni e servizi. Servitizzazione di secondo livello: il cliente del produttore di macchinari offre servizi ai suoi acquirenti. L'azienda guidata da Alfonso Fuggetta si propone come Trusted Advisor per supportare le aziende nel loro percorso. Ne parliamo con Nadia Scandelli

Qualche anno fa, all’arrivo della rivoluzione di Industria 4.0, la maggior parte delle aziende italiane produttrici di machinery ha preso un po’ sottogamba il tema della trasformazione digitale. Questo ha creato loro non pochi problemi, visto che i competitor stranieri – tedeschi in particolare – si sono mossi più rapidamente, guadagnando terreno sul piano della competitività. Ma con la prossima rivoluzione della servitizzazione, sembra che molte aziende non vogliano replicare l’errore di stare alla finestra mentre i loro competitor premono l’acceleratore. Molti produttori quindi si sono lanciati in una girandola di prove di fattibilità, microprogetti a macchia di leopardo, e sperimentazioni di vario tipo. Ma questa fretta potrebbe creare tanti problemi quanti ne creò, in passato, l’eccessivo attendismo, perché in moltissimi casi si parte con il piede sbagliato, senza uno studio serio sulle reali necessità dell’azienda e, soprattutto, dei suoi clienti. Di servitizzazione nel comparto dei produttori di macchinari e dei relativi problemi si è parlato in un recente webinar organizzato dal Cefriel, centro di innovazione digitale con base a Milano, che da oltre 30 anni accompagna le imprese e pubbliche amministrazioni nel loro percorso di crescita. La registrazione del webinar (intitolato “La Servitization in ambito Machinery”) è visibile a questo link Joining (c-meeting.com).

Abbiamo fatto qualche domanda su alcune tematiche collegate alla servitizzazione all’ingegner Nadia Scandelli, relatrice del webinar nonché responsabile dell’unità smart industry solution di Cefriel. Scandelli ci ha ribadito l’importanza di un corretto approccio alla servitizzazione, che deve passare prima di tutto dal consolidamento ed esplicitazione della strategia digitale e della piattaforma di soluzioni e servizi, ma anche dalla focalizzazione dell’attenzione sui bisogni del cliente finale, eventualmente anche tramite sessioni di design thinking congiunto. E ha specificato che un errore molto comune è quello di innamorarsi di una tecnologia invece di cercare, in modo agnostico, quella più adatta a risolvere il problema che l’azienda ha individuato. Ha poi messo in luce il fatto che quello verso la servitizzazione è un percorso che coinvolge l’azienda a tutti i livelli, in quanto non si tratta solo di intervenire a livello tecnologico, ma anche di modificare il business model. O addirittura di cambiare il Dna aziendale, nel caso si volesse arrivare al massimo livello di servitizzazione, per esempio offrendo i macchinari “as a service” come già succede in altri ambiti con le stampanti, i motori d’aereo, eccetera.







Se arrivare a questo livello è complicato, ancora di più sarà fare l’ulteriore passo verso il secondo livello di servitizzazione, nel quale si mette in condizione il proprio cliente (l’acquirente di un macchinario) di offrire servizi al suo cliente (l’acquirente dei prodotti che escono dal macchinario). Per arrivare lì, bisogna mettere in campo un’infrastruttura adeguata, know-how ma soprattutto bisogna avere un ecosistema di aziende interconnesse in grado di scambiarsi dati fra loro, realizzando una filiera digitale. In tutto questo, il Cefriel si mette al servizio delle aziende grazie alla sua più che trentennale esperienza, ritagliandosi un ruolo di “trusted advisor“, consigliere di terza parte indipendente in grado di aiutare l’impresa nelle fasi di studio di fattibilità e progettazione, e di accompagnarla fino alla realizzazione e messa in linea della soluzione completa.

Pianificare è fondamentale

Nadia Scandelli, relatrice del webinar nonché responsabile dell’unità smart industry solution di Cefriel

Se per quanto riguarda la digitalizzazione le aziende italiane si sono mosse generalmente in ritardo, preferendo rimanere alla finestra per capire cosa avrebbero fatto gli altri, per la servitizzazione le reazioni sono più diversificate. Il partito degli attendisti infatti pare essersi ridotto, pur contando ancora su numeri importanti; ma molte aziende hanno adottato un approccio opposto, forse per evitare di presentarsi in ritardo anche a questa ennesima rivoluzione. Sta di fatto che molti si sono lanciati a sperimentare soluzioni di servitizzazione, senza avere un’idea precisa di ciò di cui avevano bisogno. Sono così fioriti progetti ed esperimenti, generalmente riguardanti piccole parti dell’azienda, spesso basati sull’idea di adottare una tecnologia, o più tecnologie, e vedere cosa se ne poteva ricavare. Con quali risultati, è facile immaginarlo.

«Il tema della modalità di approccio è fondamentale, come abbiamo visto anche con la digitalizzazione – osserva Scandelli – Anche allora, molte aziende sono partite digitalizzando i processi, a macchia di leopardo, facendo svariate “proof of concept” in parti diverse dei loro impianti, ognuna con una soluzione diversa. Quello che vogliamo far capire alle aziende è che sì, va benissimo fare sperimentazione, ma bisogna avere una strategia, una visione. E per crearla bisogna fermarsi un attimo, capire quali sono le vere esigenze, il vero problema da risolvere, e solo allora si possono mettere in fila le cose da fare. Ma con una visione unica, anche per evitare di fare svariati investimenti che non porteranno da nessuna parte. Abbiamo visto aziende adottare quattro piattaforme IIoT diverse: ovviamente erano aziende grandi, ma di fronte a casi come questi bisogna che qualcuno spieghi loro che ci vuole un minimo di coordinamento, altrimenti ognuno va per la sua strada».

Molte realtà si sono buttate sulla servitizzazione cercando di copiare quanto fatto dai competitor. Una scelta non ideale. Secondo Cefriel, è meglio prendersi del tempo e ragionare, cercando di individuare l’approccio migliore a seconda del tipo di azienda e del suo modello di business

Quello che succede di solito, invece, è che si vede magari un servizio sviluppato dal competitor e si cerca di replicarlo, senza chiedersi se è proprio quello che serve ai propri clienti, e se invece non ci sia qualche altro servizio che potrebbe essere più richiesto e portare più valore. Senza contare che lanciarsi su un percorso di servitizzazione richiede di coinvolgere tante funzioni aziendali e di integrare nuovi skill, perché il nuovo approccio andrà a cambiare non solo il modo di vendere ma, a ritroso, tutto il modo di costruire e di progettare un prodotto. «Non è la stessa cosa vendere un macchinario e vendere un servizio software – conferma Scandelli – e cambiano anche le competenze interne di sviluppo del prodotto, perché un’azienda che fa macchine deve diventare un’azienda che fa software».

Fra l’altro, complice il ritardo con cui molte aziende hanno affrontato la digitalizzazione, esse adesso si trovano ad affrontare due rivoluzioni contemporaneamente. Aziende che storicamente hanno grandi competenze in meccanica, idraulica, ingegneria devono dotarsi di persone con skill nel digitale, nel software, nella gestione di servizi: tutti settori dove, di fatto, non hanno esperienza. «In questo caso, per molte aziende l’opportunità è doppia – aggiunge Scandelli – perché già che stai digitalizzando il macchinario ti conviene impostare fin da subito il progetto in ottica di servitizzazione, in modo da fare un investimento unico che ti aprirà una serie di possibilità». Non dobbiamo dimenticare che le tecnologie coinvolte nei processi di digitalizzazione e servitizzazione sono contigue se non sovrapponibili, e che quindi l’investimento complessivo è probabilmente di poco superiore a quello della sola digitalizzazione. E il costo supplementare si recupera facilmente con la migliore value proposition del macchinario. A patto, naturalmente, che chi lo vende sappia farla apprezzare al cliente.

È pericoloso innamorarsi di una tecnologia

Assodato che è meglio se il processo di servitizzazione viene preceduto da uno studio che coinvolga le risorse aziendali ad ampio spettro, c’è un altro problema legato all’approccio che capita spesso di riscontrare, e cioè il fatto che molte aziende partono con un progetto perché si innamorano di una tecnologia. «Oggi si parla dell’intelligenza artificiale, della computer vision, dei caschi per la realtà aumentata – spiega Scandelli – il mondo consumer, in particolare, è pieno di tecnologie interessanti, e quindi la tentazione di dire “la metto nella mia macchina” c’è, indubbiamente. Abbiamo avuto un’azienda che voleva registrare in video tutti gli interventi di manutenzione, per fornire al cliente la prova che essi erano stati effettuati seguendo in dettaglio il protocollo concordato. Gli abbiamo chiesto se davvero pensavano che il loro cliente avrebbe guardare ore di video per essere sicuro del loro operato. Ovviamente no, nessuno lo farebbe. Gli abbiamo consigliato invece di approntare un report digitale delle operazioni, che certificava al cliente l’avvenuta manutenzione. Era quella l’esigenza, garantire al cliente che il lavoro era stato fatto, ma l’innamoramento per la tecnologia del video stava portando l’azienda a mettere in campo una soluzione inadeguata. Insomma, non bisogna innamorarsi della tecnologia, e lo dico da ingegnere».

Un vecchio detto recita “Chi ha un martello vede tutti i problemi sotto forma di chiodi”. E lo stesso succede quando si prende una tecnologia e poi si cerca di adattarla alla soluzione dei problemi. L’approccio giusto invece è quello critico: prima individuo il problema, e poi vado alla ricerca della tecnologia che è in grado di risolvermelo. Una scelta complicata, perché spesso ci si trova con più tecnologie candidate al ruolo, ma nell’incapacità di scegliere la più adatta per mancanza di know-how specifico in azienda. Ma in questo, il Cefriel viene in aiuto. «La nostra mission, come Cefriel, è di essere una terza parte indipendente – puntualizza Scandelli – e questo rappresenta un valore estremo in queste fasi del progetto, perché a noi non interessa spingere una piattaforma piuttosto che un’altra, perché non ne sponsorizziamo nessuna: vogliamo capire qual è la migliore tecnologia per risolvere i problemi dell’azienda che si rivolge a noi, e dei suoi clienti. A volte la cosa può andare contro i nostri interessi, per esempio quando conosciamo a fondo una piattaforma ma dobbiamo consigliarne un’altra che è più adatta al progetto, ma se vogliamo essere una terza parte il nostro ruolo è questo, consigliare la tecnologia, la soluzione, la piattaforma migliore. Sviluppando o prendendola dal mercato, perché non è detto che sia sempre necessario sviluppare ex novo. Ma in ogni caso, il nostro ruolo è di guidare le aziende nelle scelte di business e tecnologiche».

Il problema del business model

Per Cefriel è fondamentale studiare percorsi di servitizzazione tenendo a mente le esigenze del cliente finale

C’è un altro punto critico nel processo decisionale che porta alla servitizzazione, ed è collegato con il business model dell’azienda. «Se faccio un nuovo prodotto, un nuovo macchinario, che ha tante capacità in più e che offre questo servizio, la prima cosa che devo chiedermi è: la mia base clienti è quella adatta? – puntualizza Scandelli – Mi comprerebbe questo servizio, o lo acquisterebbero magari due clienti su dieci? Abbiamo avuto casi di aziende nei quali la risposta era negativa. Per esempio, piccole aziende che vendevano a hobbisty o piccoli professionisti, clienti cui non sarebbe interessato un servizio di manutenzione predittiva, o di riordino automatico dei pezzi di ricambio. Se invece andiamo nella fascia alta, nei settori del lusso o dell’automotive, dove i fermo macchina sono critici, allora lì diventa fondamentale vendere i servizi». Questo implica, ovviamente, che la scelta della servitizzazione o meno dovrebbe essere in qualche modo granulare: non è detto che debba riguardare tutti i prodotti di un’azienda, tutti i macchinari che produce, e tutti i clienti a cui li vende. E per capire quali sono le macchine e i clienti per i quali il processo di servitizzazione è maggiormente utile, bisogna parlare con il marketing, con le vendite, coinvolgendo queste funzioni aziendali nella progettazione dei prodotti.

C’è servitizzazione e servitizzazione

Non esiste un modello unico di servitizzazione. Il termine, infatti, può assumere significati diversi a seconda del livello di avanzamento dell’azienda nella problematica. Per la maggior parte delle aziende italiane, servitizzare un macchinario è solo un piccolo step successivo alla digitalizzazione: visto che la macchina è connessa e può scambiare dati, usiamo i dati per fornire al cliente il servizio di manutenzione su base predittiva, o il servizio di riordino automatico dei ricambi (il paradigma della “machine customer”, la macchina come cliente), o il servizio di monitoraggio della produzione, o tutte queste cose insieme. Ma la vera servitizzazione è qualcosa di più. È fare come Rolls Royce, che non vende più i motori d’aereo alle aviolinee: vende ore di volo. Il motore rimane proprietà di Rolls Royce, e l’aviolinea paga le ore di funzionamento. Negli uffici, questa soluzione si usa da decenni per le fotocopiatrici, e ora per le stampanti laser dipartimentali: la stampante non viene acquistata, ma si paga una cifra per ogni copia prodotta. Nei data center, server e storage sono sempre più spesso forniti anch’essi con un modello “As a Service”: il cliente paga, a seconda dei casi, i cicli macchina, la memoria installata, il numero di Cpu impegnate eccetera. Idealmente, anche la servitizzazione di un macchinario dovrebbe arrivare a questo: non ti vendo la macchina, te la noleggio in cambio di una cifra X per ogni pezzo prodotto.

Comprendere il ciclo di vita del prodotto è il primo passo per sviluppare un modello di servitizzazione efficace e capace di generare nuove opportunità di business

Ma i produttori italiani di macchine sono pronti a fare ciò? «Secondo me, non ci sono ancora arrivate. Questa impostazione è una servitizzazione molto spinta, e richiede un cambio totale del Dna dell’azienda. Sono pochissimi quelli che possono farlo. Si torna al punto iniziale, quello dell’approccio. Bisogna capire quale si vuole tenere: un approccio ibrido, nel quale continuo a vendere la mia macchina per un periodo transitorio? Ma quanto transitorio? Oppure vendo le macchine in maniera tradizionale ma con un’aggiunta di servizi lungo tutto il ciclo di vita che aggiungono stream di revenue? E siamo sicuri che queste revenue potranno sostituire lo stream tradizionale? Sono tutte problematiche che mi fanno pensare che siano pochissime le aziende che possono prendere in considerazione la servitizzazione spinta. In ambito consumer la situazione è differente, faccio l’abbonamento alla fornitura di caffè e mi danno in omaggio la caffettiera, non vado più a fare la spesa perché faccio un abbonamento per ricevere direttamente i pasti pronti e così via».

In ambito industriale, il passaggio al modello servitizzato al 100% è più difficoltoso anche perché richiede di progettare le macchine in modo diverso. A partire dal fatto che, se la macchina rimane del produttore, non si potranno trasformare le operazioni di manutenzione in un “revenue stream“, ma saranno semplicemente un costo da ridurre al minimo. La macchina andrà quindi progettata per consentire operazioni di manutenzione rapide, facile sostituzione dei pezzi, massima standardizzazione per ridurre il magazzino ricambi, e magari completata da tutorial e istruzioni per consentire l’impiego di manutentori generici. E poi, c’è la questione dell’accountability, che si esplica nel sistema di conteggio e monitoraggio che misura la produzione e i Kpi. Sistema che deve essere accessibile sia al produttore sia al cliente, e che deve essere certificato in modo da essere contrattualmente valido per entrambi. Insomma, le problematiche non sono poche e difficilmente si può pensare di prendere un macchinario esistente e proporlo in uso “As a Service”, magari con un’operazione di retrofitting: molto meglio riprogettare dalle basi.

Il secondo livello della servitizzazione

Se quello che abbiamo scritto finora vi ha fatto pensare che la servitizzazione è un argomento complesso, sappiate che non è ancora finita. Esiste anche un’ulteriore problematica, che riguarda la cosiddetta servitizzazione di secondo livello. In che cosa consiste? Pensate di essere il produttore di un macchinario che offre ai suoi clienti una serie di servizi. Fra questi, ce ne sono alcuni che consentono al vostro cliente, che ha acquistato il macchinario, di offrire dei servizi ai suoi clienti. Ecco, questa è la servitizzazione di secondo livello.

Limitarsi ad affittare un macchinario, e occuparsi della manutenzione, rischia di rivelarsi un boomerang per le aziende. Per questo Cefriel propone di adottare un secondo livello di servitizzazione, al quale si aggiungono servizi aggiuntivi destinati al cliente finale del macchinario

Ma possiamo fare un esempio concreto? «Supponiamo che la tua azienda produca macchinari per il mercato tessile – esemplifica Scandelli – Il tuo cliente quindi usa i macchinari per produrre tessuti, e sfrutterà probabilmente i servizi di manutenzione predittiva eccetera che tu gli fornisci. Il suo cliente, invece, compra dal tuo cliente i tessuti e produce vestiti. Ora, poniamo che quest’ultimo debba presentare la nuova collezione e voglia sapere a che punto è la produzione del tessuto che userà per confezionare gli abiti. Oggi tipicamente si attacca al telefono e chiama il produttore del tessuto, che gli risponderà in modo più o meno accurato a seconda di quanto abbia il polso della situazione della produzione e di quanto tempo abbia voglia di dedicargli. Ma le risposte saranno precise e veritiere? Non è possibile saperlo, quindi starà al produttore di vestiti decidere quanto fidarsi delle risposte del produttore di tessuti. Ma se invece il tuo macchinario fosse predisposto per condividere i dati di produzione – ovviamente su una piattaforma controllata e riservata – il cliente finale dovrà semplicemente accedere alla piattaforma per sapere, per esempio, che l’ordine è completato all’80%, o che il camion è già in autostrada alla volta del suo stabilimento». Ma per realizzare tutto questo, bisogna che chi produce il macchinario abbia dotato il sistema di una lunga serie di sistemi: sensori capaci di determinare la quantità e la tipologia del prodotto uscito dal macchinario, software di gestione in grado di correlare il materiale prodotto con gli ordini ricevuti e con le anagrafiche dei clienti, magari interfacciandosi con l’Erp aziendale, poi altri software capaci di scrivere i dati in un sistema cloud cui abbiano accesso i clienti del cliente, e che siano in grado di rispondere a interrogazioni anche su produzioni non completate, magari interfacciandosi al sistema Mes e a quello di dispatching degli ordini. Tutte cose probabilmente complicate da aggiungere in “retrofitting” su un sistema, ma che non dovrebbero aumentare di molto il costo di sviluppo se pianificate fin dall’inizio dell’attività di digitalizzazione e servitizzazione nel caso del progetto di un macchinario nuovo. «A ben vedere, si tratta anche di un tema collegato al Digital Product Passport, il passaporto digitale dei prodotti, che consente di tracciare tutte le fasi di avanzamento di una lavorazione – aggiunge Scandelli – e questo presuppone naturalmente un’interconnessione fra le varie aziende: è dunque anche un tema di filiera. Una filiera strutturata e interconnessa digitalmente, dove ci si scambiano i dati secondo una logica win-win».

Il ruolo di Cefriel

Stefano Venturi, amministratore delegato di Cefriel Italia

Ma cosa può dare Cefriel a un’azienda che si trovi in ritardo sul processo di digitalizzazione o di servitizzazione? «Noi, come ribadito prima, ci poniamo come terza parte indipendente, siamo un attore riconosciuto anche a livello ministeriale perché siamo Centro di Trasferimento Tecnologico 4.0 per le tematiche di digitalizzazione e servitizzazione – spiega Scandelli – abbiamo quindi un ruolo di “trusted advisor” per aiutare l’azienda a capire cosa deve fare, qual è la strategia che deve seguire. Questo perché conosciamo il business, abbiamo esperienza sul campo e sappiamo orientarli. E, ripeto, siamo terzi,  non abbiamo interessi nascosti nel consigliare una piattaforma piuttosto che un’altra, e il cliente sa che agiamo solo nel suo interesse e che quindi può fidarsi del nostro consiglio». Un fattore importante è che la competenza di Cefriel nelle scelte non deriva solamente dalle relazioni con l’ambiente accademico, seppure molto importanti, ma soprattutto da esperienza sul campo: lavorando con altre aziende, facendo progetti di ricerca e innovazione nei quali si sperimentano nuove tecnologie, si è accumulato negli anni il know-how necessario a poter dire, con cognizione di causa, questa piattaforma è adatta a risolvere il tuo problema e questa no.

Esaurita poi la fase di scelta, di impostazione iniziale, Cefriel rimane a disposizione nel caso serva una soluzione customizzata, ovvero “su misura” per il cliente. Può quindi agire come advisor, oppure fornire le sue competenze di sviluppo in vari settori, dal design meccanico all’integrazione IioT, dalle piattaforme di backend allo sviluppo di portali, eccetera. «Possiamo davvero affiancare il cliente dalla fase di fattibilità alla progettazione, fino alla messa in produzione. Una volta attivata la produzione, Cefriel lascia, non prima di aver completato il trasferimento di conoscenze verso il cliente, che potrà proseguire il suo percorso da solo. Questo perché noi siamo un centro di innovazione, non siamo il system integrator che rimarrà per sempre in azienda per occuparsi della manutenzione o di altre cose. In Cefriel lavorano quasi 150 persone, con tanti ingegneri: ci piacciono le sfide, ci piace metterci in gioco e risolvere i problemi. E una volta completato il lavoro, siamo più che contenti di lasciare un’azienda che possa camminare con le sue gambe e costruire il suo percorso di innovazione grazie al digitale» conclude Scandelli.

 

(ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 24 luglio 2023)














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