Acquisire dati? Non basta se poi non ne si coglie il valore. Parola di Sas

di Alberto Falchi ♦︎ Secondo la software house guidata in italia da Mirella Cerutti, la curiosità è la leva che permette a chi acquisisce informazioni di valutarle e sfruttarle. Per potenziare il business, ottimizzare i processi, anticipare il futuro. Il progetto Excalate4Cov per combattere il Covid. L'esperimento Data for Good, dove l'Ia aiuta a prevenire il disboscamento della Foresta amazzonica. I progetti di Talent Garden per il reskilling e l'upskilling dei lavoratori. Parla Roberto Parazzini, ceo Italia di Deutsche Bank. E Carlo Carli, dg di Fratelli Carli.

Per sfruttare a fondo le potenzialità dei dati è necessaria la tecnologia ma da sola non basta: i software e le piattaforme di analisi offrono le risposte facendo leva sul patrimonio dati azienda, ma per dare un valore a queste informazioni bisogna saper essere curiosi, porsi costantemente domande e, soprattutto, comprendere quali sono le domande giuste. Lo sa bene Sas, 3,1 miliardi di fatturato, uno dei principali attori nel settore degli analytics, ma anche le aziende che hanno potenziato il loro business facendo leva sulle informazioni. Realtà che appartengono a settori completamente diversi come Fratelli Carli (che produce olio e lo vende direttamente ai clienti finali) e Deutsche Bank. I dati e gli strumenti di analisi però richiedono qualcosa che non è semplice da trovare: competenze specifiche. Che possono arrivare da giovani neo-laureati in materie Stem (e purtroppo) sono ancora pochi, ma anche da chi ha già maturato esperienza lavorativa e che potrebbe dare un importante contributo, a patto che si avvii a un percorso di upskilling o reskilling.

Mirella Cerutti, regional vice president di Sas, intervistata da Riccardo Luna

«La curiosità è il motore dell’esplorazione che, per noi, assume una valenza importante perché riferita al dato. L’esplorazione del dato è da sempre nel nostro Dna. Oggi è resa possibile da una straordinaria disponibilità di capacità computazionale e dalla grandissima mole di dati accessibili ed utilizzabili… ma senza la loro esplorazione, sarebbero ‘solo’ dati», spiega Mirella Cerutti, regional vice president di Sas, sottolineando come i tanti passi avanti fatti in ottica digitalizzazione rischino di essere frenati dalla scarsa capacità di analizzarli correttamente, di relazionarli.
Oggi del resto è facile ed economico acquisire enormi quantità di informazioni su processi, macchinari ed interi ecosistemi, ma non sempre le aziende hanno le competenze e l’approccio adatto a trasformare questi dati in valore. Per due motivi: perché ancora scarseggia la capacità di maneggiarli, di sapersi porre le domande giuste, ma anche perché queste informazioni sono spesso frammentate, acquisite tramite sistemi differenti e non sempre accessibili a tutte le figure che sono coinvolte nei processi. «In azienda deve passare il messaggio che non puoi lavorare a silos», ribadisce Cerutti, specificando che «in azienda deve passare il messaggio che non puoi lavorare a silos».







Italia fanalino di coda Desi, ma il Covid ha dato un forte scossone e accelerato la digitalizzazione

Questo è il momento giusto per cambiare visione, smuoversi da posizioni ormai vecchie e abbracciare una nuova cultura aziendale: la pandemia ha stravolto numerosi settori ma ha anche avuto l’effetto di accelerare la digitalizzazione in una maniera che sarebbe stata impensabile solo un anno fa. «Abbiamo fatto in pochi mesi un salto di anni, ma dobbiamo portarcelo nel futuro», commenta Cerutti. «Siamo in un momento magico e abbiamo la capacità di fare quel salto verso la digitalizzazione che ci viene richiesto».

L’indice Desi valuta il livello di digitalizzazione dell’economia e della società in Europa

A richiederlo è il mercato, naturalmente, e gli ultimi dati Desi relativi all’indice di digitalizzazione dell’economia non sono incoraggianti: l’Italia è fra i fanalini di coda, 25esima su 28 stati membri, ben lontana dai “campioni” del Nord Europa come Finlandia, Svezia e Danimarca, e anche ben sotto alla media. Ma questa fotografia è stata scattata prima che il Covid spingesse aziende e Pubblica Amministrazione a correre ai ripari, spingendo sul gas per garantire la continuità del business e dei servizi anche durante i ripetuti e prolungati lockdown. Anche la Pa italiana, storicamente lenta nel recepire l’innovazione tecnologica, ha fatto passi da gigante, come testimoniano la rapidissima diffusione di Spid e il successo dell’App Io. Sas ha fatto la sua parte in questo, collaborando con le istituzioni per velocizzare questa transizione. «Mettiamo l’analisi del dato al servizio del cittadino. Ci serve capire l’impatto del dato sui progetti economici, su tutta la comunità». Ora però non è il tempo di riposarsi e godere di questi risultati, ma di insistere, di premere ancora più a fondo sul gas così da cogliere le opportunità che arrivano dal Pnrr, che ha fra i suoi pilastri il digitale e la sostenibilità ambientale. Due concetti differenti ma strettamente legati, perché «non si può avere sostenibilità senza digitale».

Data for Good: l’Ia per proteggere la foresta amazzonica

Una delle sfide più complesse alle quali l’umanità deve dare velocemente una risposta è quella della sostenibilità ambientale e la soluzione non può che arrivare dai dati e dalla tecnologia. Sas ha già attivato dei programmi in tal senso e uno dei più significativi è destinato alla salvaguardia della Foresta Amazzonica, un ecosistema che sta venendo rapidamente distrutto dalle attività umane. Per monitorare lo stato di questo enorme polmone verde Sas ha avviato insieme all’International Institute for Applied Systems Analysis (Iiasa) un programma che sfrutta l’intelligenza artificiale, nello specifico algoritmi di computer vision, per analizzare le immagini satellitari e valutare il progresso dello stato di deforestazione e inviare segnali di allarme ai governi e alle organizzazioni che si occupano della salvaguardia ambientale.

Grazie al supporto di volontari che analizzano le immagini satellitari, Sas e Iiasa stanno mappando lo stato della Foresta amazzonica

Un progetto di condivisione delle informazioni che però non può essere automatizzato completamente, e richiede il supporto di volontari per addestrare e potenziare il sistema di machine learning. Il programma colleziona costantemente nuove immagini satellitari dell’area, le classifica e successivamente le valuta tramite algoritmi di computer vision alla ricerca di nuovi segni di deforestazione, per poi allertare le autorità competenti quando vengono evidenziate attività nocive per l’ambiente. La piattaforma scelta è Sas Viya, soluzione di analytic basata sul cloud che consente di ottenere risultati accurati a velocità incredibili. Chiunque può contribuire al progetto semplicemente andando sul sito ufficiale e dedicando qualche minuto del suo tempo analizzando alcune immagini. Queste analisi permetteranno di migliorare costantemente il sistema di machine learning, così da renderlo sempre più preciso e indipendente dall’intervento umano.

La lotta contro il Covid: il progetto Exscalate4Cov

Un altro esempio di come i dati e l’Ia possano venire utilizzati per migliorare le condizioni delle persone è il progetto Exscalate4VCov, che Sas supporta con le sue piattaforme. Exscalate4Cov è portato avanti da un consorzio al quale prendono parte anche Dompé, azienda italiana attiva nel settore bio-farmaceutico, il Politecnico di Milano, il Cineca e numerosi altri enti.

La tecnologia di Sas viene qui utilizzata per elaborare le enormi quantità di dati disponibili su farmaci già esistenti, così da individuare quelli più efficaci nel frenare la diffusione del Covid-19. Un progetto aperto che vede anche la partecipazione di numerose pmi, oltre ai colossi già citati, a dimostrazione del fatto che la tecnologia evoluta non è riservata solo alle grandi aziende.

Prevedere il futuro facendo leva sui dati: la strategia di Deutsche Bank

Roberto Parazzini, ceo di Deutsche Bank

«Le innovazioni un tempo arrivavano dai collaboratori», afferma Roberto Parazzini, ceo di Deutsche Bank, che per anni tastava il polso del mercato e le esigenze delle persone grazie ai suoi collaboratori e al rapporto con i clienti. Un approccio che però oggi non può funzionare, e va cambiato. Il motivo è che non funziona, non è efficace. «Abbiamo analizzato i dati sulla penetrazione, e abbiamo realizzato che il mondo andava da un’altra parte», una direzione ben lontana da quella che i vertici dell’azienda intuivano. Ecco perché la banca ha deciso di cambiare approccio, rivedendo i suoi processi di business e sfruttando analytics e big data per scoprire come i clienti usano servizi e prodotti, così da comprendere in anticipo dove investire e dove de-investire. Il mondo bancario aveva compreso già da tempo l’importanza dei dati per il business, anzi: sono fra le imprese che prima e meglio hanno saputo sfruttarli e integrarli nelle loro strategie. Ma storicamente le informazioni acquisite venivano utilizzate per fare analisi di intelligence sui consumatori, per esempio per valutarne l’affidabilità o il profilo di spesa. Oggi, invece, i dati vengono usati per prevedere gli scenari futuri, soprattutto per quanto riguarda il risk management. Sotto questo profilo le direttive PSD2, che hanno dato una forte spinta all’Open Banking, sono state una manna per realtà come Deutsche Bank, che ora possono contare su una maggiore condivisione da parte degli altri istituti, sempre nel rispetto delle norme europee sulla privacy.

Fratelli Carli adotta Sas per offrire ai suoi clienti un’esperienza omnicanale

Carlo Carli, direttore generale di Fratelli Carli

Gli esempi qui portati sono particolarmente complessi ed è impensabile di poter fare questo tipo di analisi senza adottare strumenti e piattaforme evoluti. Ma i dati possono fare la differenza anche in ambiti meno avveniristici, nella vita di tutti i giorni, anche di aziende che non operano nella tecnologia, come i produttori di beni alimentari. Fratelli Carli è pioniere nel settore dell’home delivery: a partire dalla sua fondazione, nel 1911, il modello di business si basa sul portare l’olio direttamente a casa dei clienti. Col tempo il modello si è evoluto e rifinito e per comprendere e supportare meglio la sua clientela l’azienda ha scelto le soluzioni di Sas per garantire un’esperienza omnicanale, con servizio contestuali e personalizzati, tarati sulle esigenze di ogni singolo cliente. Un passaggio necessario ora che l’e-commerce è letteralmente esploso a causa del Covid, spingendo anche quelli che fino a ora erano più scettici a effettuare acquisti online. Sebbene Fratelli Carli possa contare su una rete di 19 empori in Italia, l’azienda prosegue nella sua strategia omnicanale, sul rapporto diretto coi clienti, coi quali sviluppa relazioni. Per curare al meglio questi rapporti Fratelli Carli sfrutta le soluzioni di analytics, di marketing automation e di customer intelligence di Sas, così da meglio comprendere le esigenze dei suoi clienti, offrire loro esperienze di acquisto ritagliate su misura, indipendentemente dal canale usato. E allo stesso tempo offrire ai suoi dipendenti strumenti migliori e più efficaci per svolgere il loro lavoro, abbattendo i silos di informazioni. «Il successo in azienda è stato quelli di sfruttare i dati», spiega Carlo Carli, direttore generale di Fratelli Carli. «Il successo è quando qualunque percorsa in qualunque reparto è in grado di creare il proprio cruscotto personalizzato, a livello trasversale. Solo così ciascuno può portare il proprio valore facendo leva sui dati presenti».

Il reskilling per far fronte al problema dell’occupazione


Come anticipato, uno dei principali freni all’innovazione è quello della carenza di competenze, a partire da quelle di chi si affaccia al mondo del lavoro. Troppo pochi i laureati in materie Stem (Science, Technology, Engineering and Mathematics), quelle più richieste dalle aziende, che faticano a trovare personale specializzato in ambito scientifico. Non è un caso se solo nell’ultimo anno Talent Garden ha formato 2.000 giovani su temi specializzati, e il 98% di questi ha già trovato lavoro.

Non è solo l’occupazione giovanile a preoccupare: sono numerose le persone con anni di esperienza alle spalle che faticano a rientrare sul mercato del lavoro dopo averlo perso. Non parliamo necessariamente di lavoratori con scarse competenze in assoluto, ma di professionisti che necessitano di un aggiornamento per potersi adeguare a cambiamenti che sono arrivati all’improvviso, e in parte li hanno travolti. Sas cerca di limitare il problema creando gruppi di lavoro dove vengono mescolate figure di varie età, così da contribuire a un upskilling costante della sua forza lavoro ed evitare che qualcuno possa rimanere indietro sotto il profilo dell’innovazione.
Non tutte le aziende però hanno attivato programmi interni di formazione e per cercare di supportare chi ha perso il lavoro Talent Garden ha attivato un progetto pilota destinato specificamente alle persone di età compresa fra i 45 e i 55 con almeno due anni di disoccupazione alle spalle. Per i 25 posti disponibili sono arrivate più di 700 candidature, spiega Davide Dattoli, ceo e co-founder di Talent Garden, sottolineando che si tratta di un grave problema sociale, che non va sottovalutato. «Quella del reskilling è la sfida del secolo, e le aziende devono capirlo», afferma Dattoli, concludendo il suo intervento all’evento Be Curious, Be Innovative, organizzato da Sas.














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