Il General Counsel? Un problem solving. Il caso Arvedi raccontato in una intervista a RP Legal & Tax

Gli avvocati dello studio Rp Legal, Alessandro Paci e Claudio Perrella, intervistano Livia Schizzerotto, dal 2011 General Counsel del colosso italiano della metallurgia e siderurgia

Gruppo Arvedi è il colosso italiano della metallurgia e siderurgia, con un fatturato da oltre 7 miliardi.

Compito dell’avvocato d’azienda è prospettare al management diversi scenari e strategie legali e cercare di orientarne l’azione, identificando e favorendo situazioni giuridiche da cui l’azienda possa trarre benefici. In un contesto internazionale in continua evoluzione anche dal punto di vista normativo, il ruolo dei legali interni è diventato negli ultimi anni sempre più complesso ed allo stesso tempo fondamentale nelle scelte aziendali. Ne abbiamo parlato con Livia Schizzerotto, dal 2011 General Counsel del Gruppo Arvedi, colosso italiano della metallurgia e siderurgia, con un fatturato da oltre 7 miliardi.

D: Qual è il ruolo del General Counsel in una realtà strutturata come la vostra e che impatto ha la sua funzione? Come si inserisce questa figura all’interno del quadro aziendale?

R: Credo che il ruolo del General Counsel e poi del Legal Counsel siano sempre più riconosciuti dall’intero gruppo, anche grazie alla evoluzione notevolissima che ha avuto il Gruppo Arvedi negli ultimi anni, evoluzione che io ho avuto modo di seguire in prima persona nei miei 13 anni di lavoro in azienda. Sicuramente oggi il placet che chiamiamo “legale” è molto importante soprattutto nella fase iniziale di un’operazione. Questo è proprio un aspetto tipico del lavoro all’interno dell’azienda: il legale partecipa alla costruzione delle fondamenta di un’attività (come avviene, ad esempio, nelle operazioni straordinarie), effettuando una valutazione preliminare sia delle questioni legali e fiscali, sia ovviamente dei classici aspetti di business (commerciale, finanziario, ecc.), tenendo in primaria considerazione le indicazioni della proprietà. Il General Counsel viene coinvolto quindi in molti aspetti che compongono l’attività d’impresa, e svolge sicuramente un ruolo centrale, in quanto ha il compito principale di trovare una soluzione che permetta alle altre funzioni aziendali di raggiungere i loro obiettivi, sempre nel rispetto della legge. Questa è, dal mio punto di vista, la risposta e il motivo per cui tale figura è diventata fondamentale, soprattutto in realtà molto strutturate, come è il Gruppo Arvedi.







D: Qual è il rapporto con gli altri dipartimenti? Il riferimento è soprattutto agli uffici commerciali, con cui l’ufficio legale ha spesso una “fisiologica” diversità di vedute?

Claudio Perrella, avvocato partner dello studio RP Legal & Tax ed esperto di contrattualistica e diritto commerciale internazionale

R: Il gruppo oggi ha due componenti che si stanno integrando tra loro: da una parte un’“anima” di matrice familiare, che rappresenta la proprietà, e dall’altra una componente costituita dal management del gruppo. Ciò comporta due tipologie di gestione dell’attività e approcci diversi al business. In questo contesto subentra un’altra delle importanti funzioni svolte dal General Counsel, ossia quella di dare un impulso al business del gruppo e non costituire un impedimento, fornendo un supporto concreto in termini di soluzioni. L’ufficio legale di Arvedi svolge senz’altro un ruolo di assistenza agli altri dipartimenti. Direi infatti che una delle caratteristiche principali del General Counsel è proprio quella di problem solving. Quando la funzione legale si auto-percepisce come spinta al business e come supporto reale in termini di soluzioni, si favorisce anche la collaborazione fra l’ufficio legale e il business. Infatti, ogni funzione ha i propri obiettivi e competenze ma, quando si persegue l’obiettivo comune di dare impulso al business, si crea una grande volontà collaborativa. È chiaro che questa collaborazione non è immediata e dovrà essere costruita.

D: Un tema che la riguarda da vicino, e credo che nel vostro caso sia assolutamente in cima alla lista, è il suo ruolo di affiancamento ai commerciali nel particolare contesto di mercato del settore delle materie prime.

Alessandro Paci, avvocatio partner dello studio RP Legal & Tax ed esperto di contrattualistica e diritto commerciale internazionale

R: La siderurgia a parer mio è un settore interessantissimo perché ha una lunga storia, ma al contempo è in continua evoluzione. Risente, soprattutto in un gruppo come il nostro, di tutte le problematiche più recenti che hanno avuto un impatto sul commercio internazionale. In più, negli ultimi anni tutte quelle clausole contrattuali che un tempo erano considerate di stile, oggi sono divenute assolutamente di primaria importanza. Ad esempio, la clausola di forza maggiore negli ultimi anni ha assunto maggiore importanza in tutto il mondo. Lo stesso vale per l’onerosità sopravvenuta, tema molto approfondito da dottrina e giurisprudenza negli ultimi anni ed in modo particolare nel nostro settore.
All’aspetto contrattuale si aggiunge anche la accresciuta importanza della tematica di compliance, con leggi quali la n. 231/2001 e il Gdpr. Nel nostro settore questi cambiamenti sono stati sentiti in maniera particolare in quanto alcune delle società del nostro gruppo sono energivore e richiedono quindi anche uno sviluppo della parte energetica, non soltanto in termini di energy management, ma anche in termini legali, soprattutto considerato che tutte le nuove politiche energetiche si traducono in contratti di varie tipologie, a cui spesso il mercato non è preparato. Il business, infatti, anticipa sempre il diritto e, anche se il diritto è divenuto sempre più veloce, non è detto che sia sempre ordinato.
Questo è sicuramente uno dei ruoli principali del General Counsel: dal punto di vista del diritto si trova ad affrontare la novità, spesso senza avere gli strumenti di diritto idonei, ma dovendoli costruire.

L’altro esempio, per rispondere anche a un’altra domanda che mi viene spesso fatta, riguarda l’Esg. Ci sono tre direttive che ormai conosciamo tutti e riguardano soprattutto le società quotate. Sebbene attualmente non rientriamo in questa categoria, siamo comunque inevitabilmente interessati dalle direttive, data la dimensione attuale del gruppo.
Tralasciando la “E” e la “S” dell’acronimo, che non è strettamente di competenza del General Counsel, io seguo direttamente la governance, la compliance legale e gli aspetti di segreteria societaria, svolgendo quindi un ruolo di supervisione a 360 gradi. L’adeguamento della governance risulta senz’altro problematico, in mancanza di indicazioni specifiche nella normativa di settore. Un altro esempio di incertezza derivante dagli ultimi sviluppi normativi è la direttiva sul Carbon Border Adjustment Mechanism. In questo momento esiste un tema di applicazione pratica rispetto al contenuto della direttiva, che ad oggi lascia aperti tantissimi punti di domanda e fornisce indicazioni complesse per il futuro. C’è molto dibattito a riguardo, anche dal punto di vista concettuale, e la direttiva pone delle tematiche operative che richiederebbero un’azione immediata e che non risultano affatto di facile soluzione. In questo contesto, il business arriva sempre prima e il compito del General Counsel è quello di trovare delle soluzioni. Capita di frequente che le norme, arrivate tardi, e non facciano altro che approvare soluzioni già adottate dalle aziende. Tuttavia, non è possibile trascurare l’evoluzione giurisprudenziale della normativa, penso ad esempio al fatto che quelle normative con rilevanza penale possono essere oggetto di interpretazioni diverse da parte delle procure.

D: Quanto incide la compliance sull’attività del vostro ufficio legale? Quanto secondo lei incide sull’operatività delle varie società del gruppo? Quanto è un peso e quanto è un’opportunità?

Sull’attività di compliance penso che la differenza la faccia chi fornisce le linee guida da seguire. Come sempre l’eccessiva regola porta all’assenza di regole, quindi le regole devono essere sempre adatte al business, sempre nell’ottica di un miglioramento sostenibile, perché non bisogna mai seguire il business in termini di compliance ma sempre guardare oltre. Io ho coniato questa espressione, che dal mio punto di vista rende perfettamente l’idea, cioè c’è da una parte la sostenibilità intesa a 360 °, quindi anche nel senso di rispetto dei diritti umani, ma poi bisogna anche garantire la “sostenibilità della sostenibilità”. Con questo intendo che bisogna andare verso un’economia sostenibile e lo scopo della società, oltre che di lucro, deve essere la sostenibilità, che è l’idea dell’Esg. Tuttavia, questo perseguimento deve anche essere sostenibile per tutto il business, altrimenti si rischia di dimenticare lo scopo di lucro, che comunque esiste. Se così non fosse, nessuno farebbe impresa. La compliance deve essere quindi garantita in modo sostenibile. In termini pratici, essere sostenibili significa migliorare un processo e trovare una modalità di realizzarlo affinché non resti sulla carta, ma diventi concreto, effettivo, efficace, diffuso e applicato.

D. Cambiamo argomento: vicende in Mar Rosso. Quanto stanno impattando sulla vostra operatività?

R: Sono venuta a conoscenza della notizia svariati giorni prima che venisse pubblicata sui giornali. Ovviamente il primo impatto che abbiamo avuto è stato in termini di assicurazioni: ad un certo punto il trasporto non veniva più assicurato. Mentre prima l’assicurazione era standard ed usuale, oggi invece, a causa dell’aumento dei costi, è diventata un problema. Si torna quindi all’uso degli strumenti contrattuali della forza maggiore e dell’eccessiva onerosità sopravvenuta. Al momento non abbiamo ancora avuto dichiarazioni di forza maggiore ma la spiegazione è “banale”: sapendo già che il trasporto costa di più, il contratto che stipulerò è un contratto che tiene conto dell’aumento. Si ripropone quindi un tema di ribaltamento dei costi e di sostenibilità economica. Chiaramente il mercato si muove a “step”, prima si cerca di verificare se una evento sia temporaneo oppure a lungo termine, e i contratti vengono concepiti di conseguenza in modi differenti. Se ci si accorge che un dato fenomeno è temporaneo allora si ritorna allo stato di cose precedente, se invece ci si accorge che è a lungo termine, il mercato si adatta, avendo in ogni caso una capacità di assestamento notevolissima. Noi legali inseguiamo in questo quanto accade nel business.

D: Arvedi è molto attiva nell’attività di acquisizione: qual è il ruolo dell’ufficio legale interno e quale supporto viene richiesto ai professionisti esterni?

R. Secondo me le variabili sono tre:

  1. La provenienza del General Counsel: a titolo di esempio, se il General Counsel si occupava di diritto amministrativo o antitrust, è difficile che possa gestire un’operazione di questo tipo a 360 °;
  2. La concezione della direzione legale, sia da parte del General Counsel sia da parte degli stakeholder. In generale o si vuole che la direzione legale sia un qualcosa di nuovo e di autonomo, in grado di svolgere effettivamente un vaglio, oppure si preferisce una concezione, alla quale si era abituati in passato, che vede la direzione legale come “una velina”, un intermediario tra l’interno e l’esterno;
  3. La dimensione dell’operazione.

Nel mio caso mi occupavo prima di entrare nel Gruppo Arvedi di M&A all’interno di studi legali internazionali. Rispetto alla concezione della direzione legale, dal mio punto di vista, soprattutto adesso che siamo un gruppo dalle dimensioni significative, la direzione legale deve essere in grado di risolvere i problemi in modo autonomo. Eventualmente, su determinate materie, è possibile che io stessa o la proprietà ritenga che sia comunque meglio avere un confronto con uno specialista esterno. Questo è il contributo significativo dei legali esterni, ma a mio parere serve comunque un previo giudizio critico da parte dell’ufficio interno, senza che vi sia un affidamento totale e completo sul soggetto esterno.
Per quanto riguarda la dimensione dell’operazione, a titolo di esempio l’acquisizione di Terni evidentemente è stata un’acquisizione di dimensioni significative; quindi, abbiamo avuto un approccio diverso rispetto a quello adottato per molte altre acquisizioni. Tendenzialmente, le piccole e medie operazioni le gestiamo internamente, mentre per quelle più grandi, abbiamo creato un team dedicato, in cui io svolgo il coordinamento per la parte di mia competenza.














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