Customer first, partners always: i segreti della nuova strategia go to market di Red Hat (Ibm)

di Renzo Zonin ♦︎ Dopo l'acquisizione da parte di Ibm, l'azienda rivoluziona il suo approccio al mercato con una struttura piramidale di partner, suddivisi in tre tipologie: enterprise, corporate & emergin partner e Pmi. Il colosso non si è limitato a stringere collaborazioni, ma ha investito molto sulle competenze e sulle certificazioni. Fra questi Extra Red, che collabora a stretto contatto con Influxdata, Liferay, Aws. Il caso Coopservice e la ricetta per abbattere gli ostacoli alla digitalizzazione. Ne abbiamo parlato con Fabio Pini (Coopservice), Thomas Giudici (Red Hat) e Laura Pisano (Extrared)

Red Hat Developer Hub è inoltre complementare e integrato con Red Hat Trusted Software Supply Chain, una soluzione per la sicurezza della supply chain del software

I sistemi informativi delle aziende impegnate nella trasformazione digitale stanno rapidamente crescendo in complessità, a causa delle nuove esigenze post-pandemia e post-crisi economica. Fortunatamente, l’industria It tiene botta e negli ultimi anni ha proposto soluzioni, come il cloud ibrido, che vanno a soddisfare quei nuovi requisiti di resilienza, assenza di lock-in, disponibilità globale e bassi costi d’ingresso apparentemente difficili da conciliare.

Un’altra arma scoperta da poco dal mondo dell’It “business” è quella del software Open Source, che offre trasparenza, flessibilità e agilità, oltre a incrementare la sicurezza e ridurre i costi. Fra gli artefici del recente successo dell’Open Source nel segmento business c’è Red Hat, fin dalla sua fondazione (nel 1993) impegnata in particolare sul fronte Linux. Nel 2019, l’azienda di Raleigh (North Carolina) è stata acquisita da Ibm, che ha fatto della sua linea di prodotti Open un pilastro della sua offerta per il mondo hybrid cloud e mainframe.







A seguito dell’acquisizione, Red Hat ha modificato il suo approccio al mercato trasformandosi in una realtà fortemente connessa con il suo ecosistema di partner, dai quali – soprattutto in Italia – dipende gran parte del suo fatturato. Questo tipo di risultato è stato possibile anche grazie a un sostegno costante ai partner, che vengono incoraggiati (e cofinanziati) nell’acquisizione di competenze e certificazioni, per arrivare al punto che, per il cliente finale, a volte è difficile distinguere il personale del partner da quello interno di Red Hat. E questo consente ai partner, in particolare a quelli dei due livelli top della piramide in cui è diviso l’ecosistema Red Hat, di seguire progetti anche di elevata complessità e con clienti di grandi dimensioni.

Un caso da manuale è quello di Extra Red, Premier Business Partner di Red Hat con sede a Pontedera (PI). Extra Red da alcuni anni sta seguendo il percorso di digitalizzazione di CoopService, una grande cooperativa di Reggio Emilia, che con oltre 17.000 dipendenti e un fatturato che sfiora i 700 milioni di euro rappresenta un ottimo banco di prova per la creazione di un moderno sistema informativo. Con un piano industriale per i prossimi tre anni che prevede una crescita ambiziosa, Coopservice ha posto la digitalizzazione e la cultura del dato come pilastri fondamentali del suo sviluppo. Partita già nel 2018 con il cloud ibrido, Coopservice ha adottato nel 2019 OpenShift e sta lavorando, d’intesa con Extra Red, per realizzare una serie di Api e di microservizi che facciano da base a un sistema informativo concepito come architettura componibile multicloud, con componenti digitali fortemente riutilizzabili che implementino le singole funzioni del business.

Una nuova strategia go to market per Red Hat

Dopo l’acquisizione da parte di Ibm, avvenuta a metà del 2019, Red Hat ha rivisto il suo approccio al mercato. «Negli ultimi 3 o 4 anni abbiamo cambiato il nostro go to market – spiega Thomas Giudici, Med region ecosystem leader di Red Hat – adottando una struttura piramidale in cima alla quale ci sono i nostri Enterprise Account, all’incirca una quarantina, coperti dalla forza vendita locale di Red Hat. A seguire abbiamo quelli che chiamiamo Corporate & Emerging Market, circa 400 clienti anch’essi gestiti da persone Red Hat, e alla base abbiamo il segmento Smb, che sono i clienti che non vengono seguiti direttamente da un commerciale Red Hat, bensì in autonomia dai nostri partner. Tutti e tre i segmenti sono gestiti tramite il canale». E, in effetti, l’Italia è una delle country dove è maggiore la percentuale di vendite tramite canale, il che è indicativo delle competenze e della capillarità che caratterizzano l’ecosistema dei partner.

In Italia Red Hat può contare su una rete di oltre 440 partner. È uno dei Paesi con la percentuale di vendite tramite canale più elevata

La filosofia di Red Hat oggi potrebbe essere sintetizzata, secondo Giudici, in «Influx». Se penso a come era Red Hat solo 4 o 5 anni fa, questa cosa rivela chiaramente il cambio di prospettiva. L’ecosistema, nella nostra strategia, è diventato di primaria importanza».

Per agire in sinergia con Red Hat, l’ecosistema di partner ha investito in competenze e certificazioni, e oggi il livello di skill del canale è pressoché indistinguibile da quello del personale della casa madre. Questo permette ai partner di scegliere vari percorsi di interazione con i clienti, potendosi presentare per esempio come system integrator, o come fornitori di servizi eccetera.

Red Hat ha investito molto sulle competenze e sulle certificazioni dei propri partner

I partner dell’azienda di Raleigh sono raggruppati in una sorta di piramide, con tre livelli di certificazione, in base alle competenze, al numero di persone dedicate e agli use case che sono in grado di presentare. Al livello top troviamo i Premier Business Partner, al centro gli Advanced Business Partner e alla base i Red Hat Ready Partner, che sono quelli che, dopo una verifica, risultano allineati con la filosofia aziendale e dispongono dei requisiti minimi necessari per poter vendere le soluzioni di Red Hat.

Un’altra suddivisione riguarda la focalizzazione dei vari partner di canale: in Italia, Red Hat agisce su tre segmenti verticali, ovvero quello dei Gsi (Global System Integrator), quello dei system integrator e quello dei cloud solution provider (hyperscaler in particolare, ma anche fornitori di servizi su base locale). Ogni partner di canale opera su uno o più di questi verticali, in base alle proprie competenze. Per assicurare questo livello di sinergia con l’ecosistema, Red Hat è particolarmente attiva nel sostegno diretto ai partner. «Cerchiamo di sostenere l’attività dei nostri partner, in modo che essi possano creare valore e soprattutto creare lead verso l’azienda – puntualizza Giudici – Inoltre li aiutiamo nel loro percorso di education, tramite cofounding per esempio, e poi naturalmente c’è tutta la scontistica e i programmi dedicati per migliorare la marginalità, dedicati in particolare ai segmenti Premier e Advanced».

Il ruolo di Extra Red

Con base a Pontedera, Extra Red nasce come “braccio” dedicato alle soluzioni Red Hat all’interno della società ExtraSys, per diventare poi azienda autonoma con una settantina di persone e un fatturato di circa 7 milioni di euro. «Ci piace definirci un Technology Service Provider – chiarisce Laura Pisano, sales director di Extra Red – siamo un’azienda che mette al centro le competenze delle proprie risorse specializzate, sulle piattaforme dei principali vendor. Per questo abbiamo creato e alimentiamo partnership con i maggiori player sul mercato». Oltre alla storica partnership con Red Hat, infatti, Extra Red vanta rapporti di stretta collaborazione con aziende come InfluxData (data base per monitoraggio), Liferay (portali in tecnologia Dxp), Aws (servizi cloud, IoT e IA) e, ovviamente, Ibm. «In particolare, con Ibm ci siamo focalizzati su due ambiti, quello del cloud ibrido e quello dell’intelligenza artificiale» puntualizza Pisano.

Red Hat può vantare collaborazioni coi principali dornitori di tecnologia. Oltre a Ibm, che ha acquisito Red Hat, possiamo citare Influxdata, Aws e Liferay

Le strade di Red Hat e dell’allora Extrasys si sono incontrate per la prima volta nel 2011, quando l’azienda vince un bando dell’Ospedale di Careggi per realizzare un progetto di interoperabilità, utilizzando un software che, nel frattempo, era stato acquisito da Red Hat. Sulla scia di questo progetto, l’azienda diventa Red Hat Partner Ready nel 2012. Successivamente, nel periodo 2013-2017, con ben 30 progetti finalizzati in 12 Paesi d’Europa la business Unit di ExtraSys diventa Advanced Business Partner, mentre all’interno crescono le competenze in ambiti come cloud, IaaS, DevOps, PaaS, gestione dei Bpm (business software management) e dei motori a regole. «Il periodo dal 2017 a oggi è quello della maturità, durante il quale quella che era una business unit di ExtraSys diventa un’azienda – continua Pisano – e decidiamo di chiamarci Extra Red per portare nel nostro nome la partnership con Red Hat». In questo periodo, l’azienda di Pontedera diventa leader italiano riconosciuto sullo sviluppo di progettualità sui prodotti Red Hat, e non solo sul middleware ma anche su cloud, automazione eccetera, partendo da soluzioni con OpenStack e proseguendo poi con OpenShift e con Ansible. E, contemporaneamente, diventa Premier Partner dell’ecosistema di Raleigh. «Non abbiamo acquisito solo le certificazioni, ma anche le competenze necessarie per dare valore ai prodotti del portfolio Red Hat» puntualizza Pisano.

Exttrared è leader italiano riconosciuto sullo sviluppo di progettualità sui prodotti Red Hat, e non solo sul middleware ma anche su cloud, automazione eccetera, partendo da soluzioni con OpenStack e proseguendo poi con OpenShift e con Ansible

Middleware, cloud, automation, tutte tecnologie alla base della trasformazione digitale delle organizzazioni, da declinare sfruttando DevOps e tecnologie di Application Migration & Modernization. Di fatto, l’expertise di Extra Red aiuta le organizzazioni a creare vere e proprie pipeline di continuous integration e continuous delivery per trasformare le loro applicazioni monolitiche in applicazioni a microservizi, e a costruire tutto quello che è l’automazione dei servizi all’interno dei data center dei clienti. Un punto importante è quello di trasformare, tramite la tecnologia, l’esigenza di business del cliente. «Ci stiamo trasformando. Prima ho detto che siamo un technology service provider, ma la nostra strategia nei prossimi anni sarà quella di non solo rispondere alle esigenze del cliente, ma accompagnarlo nella trasformazione digitale, facendogli individuare quali siano le sue reali esigenze, accompagnandolo così nella costruzione del suo business».

Il caso Coopservice

Oltre 6.000 soci, quasi 18.000 dipendenti, un fatturato che punta a toccare i 700 milioni di euro quest’anno e a sfiorare gli 800 con il business plan 2023-2026: questa in poche cifre è la Coopservice di Reggio Emilia, che opera in vari comparti, dalla pulizia e sanificazione anche in ambienti ospedalieri, ai servizi di trasporto e logistica, dalla sicurezza e vigilanza all’Energy&Facility management.

Pulizia e sanificazione servizi di trasporto e logistica, sicurezza e vigilanza, Energy&Facility management.. Sono solo alcune della aree in cui opera CoopService

Fattore comune di tutte le attività di Coopservice è la volontà di migliorare concretamente i mondi dove le persone vivono, si muovono, lavorano e si curano. «Forniamo molti servizi diversi tra loro, quindi si tratta di un business con un’elevata complessità intrinseca – sostiene Gianfranco Scocco, cio di Coopservice – e ci siamo dati un piano industriale molto sfidante, che prevede un valore di produzione che raggiunga i 789 milioni di euro nel 2026, cui si arriverà sia tramite crescita organica, sia con operazioni di m&a. Ma per arrivare a questi risultati bisogna contare su tre pilastri. Uno è l’agilità operativa, che è nel nostro Dna. Gli altri due sono la digitalizzazione e la cultura del dato». Il piano industriale di Coopservice indica anche una tappa intermedia: entro il 2024, tutti i servizi diventeranno digitali. «Di fatto, renderemo digitali i principali processi dell’azienda – puntualizza Scocco – perché per noi essere digitali vuol dire possedere tecnologie digitali fondanti su tutti i processi di base: ciclo attivo, ciclo passivo, erogazione del servizio. Tutto ciò dovrebbe portarci a una riduzione del time to market e a un miglioramento del cash-flow».

Il “digital journey” di Coopservice inizia nel 2018, con l’adozione di tecnologie di cloud ibrido e con un approccio “cloud first” per i nuovi servizi, integrando funzioni SaaS e PaaS. Nel 2019 inizia l’adozione su larga scala di OpenShift,sia on prem sia su cloud, creando in questo modo un layer che ha permesso all’azienda di standardizzare il modello di delivery e le competenze, sia dei lavoratori interni sia dei partner. Fra il 2019 e il 2020 parte l’attività di data integration e data governance sull’intera piattaforma, seguita dall’implementazione di Red Hat Single Sign On per l’identity governance e la protezione delle informazioni “by design”. Infine, dal 2021 lo sviluppo software viene orientato tutto su Api e microservizi, in modo da ottenere prodotti software cloud ready. Oggi, Coopservice sta compiendo un ulteriore passo avanti, puntando a costruire un’architettura componibile in logica multicloud, con lo sviluppo di componenti digitali fortemente riutilizzabili, che implementano una funzione di business. In pratica, si punta a realizzare un’integrazione basata su Api per arrivare a creare un ecosistema di Api che esponga le business function.

La strategia di crescita di CoopService si fonda su una base tecnologica, costituita da una serie di attività e progetti portati avanti insieme a Red Hat ed ExtraRed

Per fare ciò, in Coopservice si sono dati delle regole. «Abbiamo stabilito una strategia di governance, abbiamo definito un modello di sviluppo e rilascio, abbiamo definito come il ciclo di vita di questi componenti deve svolgersi, qual è la sicurezza alla base di tutto il sistema e quale valore il componente espone all’interno dell’ecosistema del service» elenca Scocco.

Questa dunque la strategia, che ovviamente si fonda su una base tecnologica, costituita da una serie di attività e progetti portati avanti insieme a Red Hat ed Extra Red. «Api integration vuol dire che cerchiamo di catturare i concetti di business con delle Api – chiarisce Fabio Pini, enterprise Solution Architect di Coopservice – di fatto definiamo un contratto, un modo per gli altri sistemi di parlare con queste Api, che non fanno altro che esporre le informazioni contenute nel “mondo” Coopservice e consentire di manipolarle. Tutto questo, nel ciclo di vita delle Api, è garantito da strumenti di runtime, con OpenShift come piattaforma principale, scalabile, affidabile e moderna, basata su container. In più dobbiamo gestire anche il ciclo di vita di tutto quello che sta dietro e fa funzionare queste Api. In questo senso ci aiutano gli strumenti di Integration Pattern di Red Hat, insieme a tutta una serie di tool che consentono di configurare,installare, manutenere, aggiornare. Si va dal portale 3Scale al sistema di Single Sign On che determina chi può accedere alle Api e cosa può vedere».

La strategia di CoopServic fa leva su Red Hat Integration come layer tecnologico di riferimento

Tutto ciò ha richiesto anche dei cambiamenti a livello di organizzazione interna in Coopservice. Premesso che mantenere un sistema basato su Api è un compito complesso, in Coopservice hanno organizzato lo sviluppo con una vera e propria “digital factory” interna, all’interno della quale si muovono i diversi team di sviluppo che lavorano agli applicativi aziendali. Oltre a questa factory, c’è anche un “competence center” specializzato sulle Api, composto sia da persone all’interno di Coopservice sia da persone esterne, appartenenti a Extra Red. Il tutto è posto sotto la supervisione e il coordinamento di un Enterprise Architect.

Ostacoli e come abbatterli

Ora, stiamo parlando di digitalizzare completamente una realtà che opera in diversi contesti geografici e di mercato, con migliaia di collaboratori, e di farlo con tecnologie come hybrid cloud, scenari di integrazione dati avanzata su multi cloud e soluzioni SaaS, il tutto in un contesto molto dinamico e in continua evoluzione. È chiaro che un sistema informativo di questo tipo può presentare un grado di complessità difficile da gestire. E questo in vari aspetti: per esempio, usando molti tool aumenta la necessità di skill specialistici, e l’impegno di sviluppo, configurazione e manutenzione diventa elevato; ci possono essere problemi di affidabilità legati alla difficoltà di tenere monitorati sistemi così complessi; e infine ci possono essere problemi di vulnerabilità, legati per esempio alla possibilità che qualche componente venga “dimenticato” e non si proceda ai necessari aggiornamenti di sicurezza. Fortunatamente, ci sono i mezzi per abbattere gli ostacoli e ridurre i rischi. «Noi, insieme a Red Hat e a Extra Red, stiamo cercando di dare una ricetta, nella quale una parte importante è la trasparenza – dice Pini – e questo perché Red Hat non è solo un’azienda di prodotti, ma è anche una fautrice dell’Open Source. Questo vuol dire che noi non abbiamo dietro solo degli specialisti e dei prodotti, ma abbiamo anche una community che mantiene questi prodotti, e questa è una garanzia ulteriore sul loro mantenimento e sull’evoluzione e miglioramento nel tempo».

Trasparenza, support avanzato di integrazione, standardizzazione e astrazione dell’architettura sono gli ingredienti chiave della ricetta di Red Hat per abbattere gli ostacoli e accelerare sulla digitalizzazione

Altri ingredienti della ricetta di Coopservice, Extra Red e Red Hat è l’uso di standard, ovvero l’adozione di formati e pattern riconoscibili per aumentare l’interoperabilità e la sicurezza, che semplifica la vita quando magari si deve integrare nell’ecosistema qualcosa che arriva da fuori; c’è poi il supporto avanzato, una system integration fatta in modalità moderna, con DevOps, che di fatto è incombenza di Extra Red. Questo supporto soddisfa da una parte le esigenze di delivery applicativo e del funzionamento delle applicazioni stesse, e dall’altra quella di avere un’infrastruttura affidabile, resiliente, scalabile. Ed Extra Red agisce in entrambi gli ambiti, disponendo sia di competenze relative allo sviluppo, sia di quelle che toccano le operation e in generale la gestione dell’infrastruttura.

Da sx Fabio Pini, enterprise solution architect di Coopservice, Thomas Giudici, Med region ecosystem leader di Red Hat e Laura Pisano, sales director di ExtraRed

Ultimo ma non meno importante ingrediente della ricetta è quello relativo all’architettura. «Cercando di legare ambienti eterogenei, si ha una rappresentazione di questi sistemi che non corrisponde al 100% a quella reale, dato che si deve nascondere una parte della complessità del sistema per poter prendere decisioni su come il sistema va fatto, mantenuto o evoluto nel tempo» spiega Pini. Di fatto, dal punto di vista architetturale si vanno a privilegiare standard aperti che consentano di utilizzare efficacemente modelli di astrazione in grado di nascondere quella parte di complessità che non va considerata nel processo decisionale.

È sulla base di questa “ricetta” quindi che Coopservice, con i suoi partner Red Hat ed Extra Red, ha impostato lo sviluppo delle sue attività digitali. Oggi l’azienda ha progetti in corso per la revisione del ciclo attivo e per la digitalizzazione delle rendicontazioni, ma anche per l’estensione della Data Governance. «Riceviamo ogni giorno una grande mole di dati dai nostri sistemi – esemplifica Pini – ci interessa però estrarre del valore da questi dati, che possono anche darci una mano per prendere le decisioni giuste una volta che li abbiamo elaborati in maniera opportuna». Altri progetti riguardano la riduzione del time to market e del backlog, che l’azienda sta portando avanti usando piattaforme low code e no code, “agganciate” alle Api delle quali parlavamo più sopra. Infine, si sta lavorando su progetti di Brand awareness & Retention. «Dobbiamo cercare di aggiungere al nostro marchio, che è già sinonimo di affidabilità e di competenze sul campo, anche il valore per quella che è l’offerta digitale oggi integrata in quello che facciamo, e che dà anche una mano ai nostri colleghi a lavorare in modo più rapido e a rispondere meglio alle esigenze di processo» conclude Pini.














Articolo precedente300 espositori, 40 imprese del settore laser a Lamiera 2023, l’evento di Ucimu e Ceu (Fieramilano Rho, 10-13 maggio)
Articolo successivoMermec fornirà tecnologie per la sicurezza della rete ferroviaria ucraina






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui