Viaggio alla scoperta del Digital Strategy & Innovation Lab di Prysmian

di Marco de’ Francesco ♦︎ Linguaggio naturale elaborato dall’Ia, data intelligent visualization tool, robotic process automation con Amilcare e Alesea: sono alcune delle nuove tecnologie che il gruppo sta sperimentando. Ne parliamo con Stefano Brandinali, chief digital & information officer, e Carlotta Dainese, direttrice del Digital Strategy & Innovation Lab

Il chief digital & information officer di Prysmian Group Stefano Brandinali

«Il nostro obiettivo è essere riconosciuti nel mondo come leader digitale». Parola di Carlotta Dainese, direttrice del Digital Strategy & Innovation Lab di Prysmian, il Gruppo (da 10 miliardi di fatturato) specializzato nella fabbricazione di prodotti tipicamente hardware; cavi per l’energia e per le telecomunicazioni, e fibre ottiche. Per conseguire questo ambizioso traguardo, quattro anni fa la società guidata dal ceo Valerio Battista ha dato vita al Lab, epicentro sperimentale della strategia di innovazione di Prysmian.

Ma come funziona il Lab? È la “fabbrica” dei “progetti pilota”, quelli diretti ad “ibridare” i prodotti hardware con il software e con il digitale, a migliorare le prestazioni dei 106 impianti di Prysmian e ad avvicinare le aziende clienti abbattendo le barriere grazie alle nuove tecnologie. A proposito, sono della partita tante nuove tecnologie: dal machine learning alla realtà aumentata, dai Big Data al “linguaggio naturale”, quello elaborato dall’intelligenza artificiale per consentire ai robot di comunicare con terzi umani intuendo l’intento dell’interlocutore – consentendo così agli automi di aiutare gli operatori per lo svolgimento di pratiche routinarie.







Tra i progetti pilota “tradotti in realtà”, il “data intelligent visualization tool”, un sistema basato sul machine learning che monitora le linee per ridurre al minimo la produzione di pezzi di bassa qualità; PG Connect, una piattaforma dotata di realtà aumentata e altro per realizzare collaudi a distanza; Alesea, strumento IoT che consente di monitorare e gestire bobine di cavi; e infine “Amilcare”, robot che fa acquisti di rame per l’azienda. Saranno tutti oggetto di approfondimento nell’articolo. Ne abbiamo parlato con la Dainese e con il Chief Digital & Information Officer di Prysmian Stefano Brandinali.

 

La fabbrica dei progetti pilota

La direttrice del Digital Strategy & Innovation Lab Carlotta Dainese

Nel 2017 Prysmian ha dato vita al Digital Strategy & Innovation Lab. Ma a che cosa serve? Per Brandinali, il Lab è partito sulla scorta di una previsione: in futuro la tecnologia digitale sarà parte di ogni attività, anche quella “core” di Prysmian, e cioè la produzione di cavi per l’energia e per le telecomunicazioni (e di fibre ottiche). L’hardware, per essere spendibile sul mercato, va arricchito di contenuti software. I cable di Prysmian vanno resi intelligenti. Inoltre, ci si aggancia ad altro trend rilevantissimo, quello della sostenibilità, soltanto con la ricerca e lo sviluppo. Insomma, serviva un ambiente specifico per mettere a terra la capacità di innovazione dell’azienda. Era necessaria una struttura apposita dove sperimentare “i progetti pilota”, quelli destinati, in caso di riscontro positivo, ad una traduzione nel mondo reale.

E qui non parliamo solo di prodotti: la strategia di Prysmian sull’innovazione sarà affrontata in un altro articolo, ma in questa sede possiamo anticiparne la sostanza. Prysmian ritiene che l’innovazione debba essere considerata come un elemento “pervasivo” per l’azienda e per il mondo che la circonda: da una parte i cable vanno permeati con il software e arricchiti di contenuti digitali, dall’altra l’azienda è chiamata ad utilizzare i dati in modo diverso, tanto da diventare una data-driven company, e quindi un’impresa che considera la gestione delle informazioni non come un mero fattore tecnico, ma come un pilastro strategico del business. Inoltre, occorre, per dar vita a tutto questo, una crescita culturale che metta i dipendenti nella condizione di utilizzare nuovi strumenti, e i clienti (che sono industrie) in quella di padroneggiare soluzioni all’avanguardia. Ecco, siccome tutto questo non si realizza da un giorno all’altro e comporta continui tentativi, serviva una “palestra” per l’innovazione: di qui il Lab.

 

L’Innovation Lab punta sul “linguaggio naturale” 

Il Lab si focalizzerà su tecnologie sempre più avanzate, ha assicurato la Dainese: «Big data, machine learning, sistemi di visualizzazione, realtà aumentata, apparati di monitoraggio energetico e altro». Si implementeranno nuove architetture IoT, «strutture fondamentali per la raccolta che dati. Questa però è una tecnologia che con tutta probabilità sarà fornita da qualche Big Player dell’IT. Alcuni di loro si sono già fatti avanti, ma i nomi non possono essere citati» – ha affermato Brandinali.

Soprattutto, «si punterà sul linguaggio naturale» – ha affermato la Dainese. Il riferimento è agli automi immateriali e invisibili che operano nell’automazione del workflow: se ne parlerà più approfonditamente fra poco in tema di Robotic Process Automation. Per adesso si sottolinea che, grazie all’intelligenza artificiale, i robot possono esprimersi con il linguaggio proprio dell’interlocutore umano, del quale riescono a carpire l’intento, il senso, la volontà. Per far questo, però, c’è bisogno, normalmente, di reti neurali. Queste sono funzioni matematiche che imitano il meccanismo del cervello umano. I neuroni artificiali replicano il funzionamento di quelli biologici, piccole componenti del cervello che ci consentono di ragionare. Come nel caso del cervello umano, il modello artificiale è costituito da interconnessioni di informazioni. Ora, in un normale contesto informatico, le informazioni vengono immagazzinate in una memoria centrale ed elaborate in un luogo definito: con la rete neurale, invece, si cerca di simulare il comportamento delle cellule con connessioni analoghe alle sinapsi di un neurone biologico tramite una funzione di attivazione, che stabilisce quando inviare un segnale. In pratica, le informazioni sono distribuite in tutti i nodi della rete. Come accade nel cervello umano.

 

La predictive quality? È una funzione matematica 

L’obiettivo era molto ambizioso: realizzare strumenti di modellazione matematica in grado di supportare gli ingegneri nel monitorare, prevedere e migliorare tutti gli aspetti del processo di produzione che influenzano la qualità del prodotto. Per conseguire un simile risultato Prysmian, con il suo Lab, si è alleata con Moxoff, uno spin-off del Politecnico di Milano. Si è data vita ad una applicazione web e ad un “data intelligent visualization tool”, un sistema capace di monitorare in tempo reale le linee di produzione e i macchinari di un impianto di fibra ottica di Prysmian, e di segnalare in automatico i potenziali problemi, per poterli risolvere in anticipo e ridurre al minimo il rischio di produrre pezzi di scarsa qualità.

Uno degli obiettivi di Prysmian? Realizzare strumenti di modellazione matematica in grado di supportare gli ingegneri nel monitorare, prevedere e migliorare tutti gli aspetti del processo di produzione che influenzano la qualità del prodotto. Per conseguire un simile risultato Prysmian, con il suo Lab, si è alleata con Moxoff, uno spin-off del Politecnico di Milano

«Su uno schermo appare un grafico che ricorda, per la sua forma insolita, la sagoma degli spaghetti: di qui il soprannome del sistema, noodle» – ha affermato la Dainese. “Sotto”, lavorano gli algoritmi di machine learning, che elaborano i dati di processo. La Dainese ha ricordato che «grazie al sistema, si possono reperire correlazioni tra di dati provenienti da 243 macchine che lavorano in parallelo: prima questi rapporti tra grandezze diverse erano invisibili. Inoltre, dal momento che il modello è in grado di auto-apprendere, in futuro sarà anche capace di suggerire agli operatori le azioni da compiere per risolvere i problemi». Tuttavia, l’ultima parola spetterà sempre all’uomo, «perché l’AI aiuta, ma non decide».

Prysmian ha dato vita ad una applicazione web e ad un “data intelligent visualization tool”, un sistema capace di monitorare in tempo reale le linee di produzione e i macchinari di un impianto di fibra ottica di Prysmian, e di segnalare in automatico i potenziali problemi, per poterli risolvere in anticipo e ridurre al minimo il rischio di produrre pezzi di scarsa qualità

 

PG Connect, e il collaudo si fa da remoto

PG Connect: piattaforma che combina il software di realtà aumentata sviluppato da OverIt e integrato da Gruppo Engineering con i dispositivi indossabili di RealWear a comando vocale

«Prima, i collaudi dei cavi e degli impianti si svolgevano “in presenza”: i clienti si recavano nelle nostre fabbriche per osservarne l’esecuzione dal vivo e fare le loro valutazioni. Ora non è più necessario: si fanno da remoto, real time, in continuità operativa. Per noi, ciò significa una riduzione dei tempi di consegna; per i clienti, la semplificazione di tutta la procedura» – ha affermato la Dainese. Lo strumento che consente tutto questo è PG Connect, una piattaforma che combina il software di realtà aumentata sviluppato da OverIt e integrato da Gruppo Engineering con i dispositivi indossabili di RealWear a comando vocale. In pratica, gli operatori di Prysmian possono condividere il proprio punto di vista con i clienti esterni (nonché documenti, contenuti multimediali e conoscenze), mostrando in tempo reale l’esecuzione di test dei sistemi su cavo. Allo stesso tempo, un altro addetto Prysmian può operare da back-end supportando gli operatori con le proprie competenze.

«Già 150 operatori sanno utilizzarlo: è stato adottato da 50 fabbriche su 160, a dimostrazione che ne hanno ben compreso il valore. A parte il collaudo, con PG Connect oggi i clienti ricevono altri servizi: formazione, audit, tour virtuale del plant». Per Brandinali «PG Connect rappresenta bene quel prodotto ibrido realizzato per risolvere un problema specifico e che subito si evolve in un ecosistema utile sia a noi che alla clientela».

 

Gestire le bobine con Alesea 

Alesea è composta da un dispositivo intelligente installato sulla bobina, un’infrastruttura cloud per l’archiviazione e l’elaborazione dei dati e una piattaforma web intuitiva

«Se una bobina cade dal muletto, può provocare danni seri. Ma ora il problema è risolto. E poi oggi è fondamentale sapere esattamente dove si trova il prodotto» – ha affermato la Dainese. Che si riferisce ad una soluzione IoT sviluppata nel Digital Innovation Lab di Prysmian e poi passata in fase di runaway nel Corporate Hangar, un acceleratore di start-up partecipato dalla società: Alesea. In pratica, Alesea è composta da un dispositivo intelligente installato sulla bobina, un’infrastruttura cloud per l’archiviazione e l’elaborazione dei dati e una piattaforma web intuitiva. Alesea è dotata di un localizzatore GPS, sensori ambientali, rilevatori di movimento e comunicazioni mobile multi-rete che consentono la copertura in tutto il mondo. Grazie a questo sistema, la localizzazione è real time. «Anche extra moenia, e cioè fuori dal perimetro aziendale» – ha sottolineato la Dainese. E si possono identificare eventuali casi di furto o manomissione.

Uno degli aspetti più rilevanti è quello relativo alla gestione dell’inventario: i dati vengono archiviati automaticamente su Cloud, in modo da poter essere recuperati in qualsiasi momento e visualizzati su desktop o su piattaforme mobili. Il dispositivo viene installato durante la fase di produzione dei cavi: non sono necessari interventi sul campo.

 

Con “Amilcare” gli acquisti li fa il robot

In Prysmian ha trovato un nome “secolare”: Amilcare. Il “collega” è a tutti gli effetti un nuovo membro del team dell’ufficio acquisti. «Chiama le banche, piazza gli ordini, definisce i prezzi» – afferma la Dainese. È un buyer del rame che lavora per la società. Ma non è umano: è un software. Ed è un “risultato” del programma di innovazione strategica del citato Digital Innovation Lab. “Amilcare” rientra nel contesto della RPA, la Robotic Process Automation, è un insieme di tecnologie intelligenti coinvolte nell’automazione del workflow, in particolar modo di tutte le attività iterative degli operatori, imitandone il comportamento e interagendo con gli applicativi informatici così come farebbe un umano. Si usa distinguere peraltro la RPA presidiata dalla non presidiata. Nel primo caso l’automazione non è totale, ma riguarda solo alcuni aspetti del processo; l’operatore umano svolge il lavoro più importante. L’idea è quella di liberare gli impiegati da attività ripetitive e a basso valore aggiunto, per attribuire loro compiti più importanti e creativi.

I vantaggi sono però più ampi: grazie all’automazione i margini di errore tendono a diminuire drasticamente e i tempi di esecuzione si riducono così come i costi. Inoltre, l’RPA è un modo utile e diretto per utilizzare le informazioni aziendali e per tenerle aggiornate, per standardizzare i processi e per facilitare l’analisi dei dati. L’RPA, inoltre, non è una black box impenetrabile al controllo umano: gli operatori possono sempre valutare la correttezza del lavoro del robot, e a questo si può richiedere di monitorare i requisiti operativi. Inizialmente, l’RPA utilizzava esclusivamente i dati strutturati – quelli dei database o dei file excel. Poi, però, è intervenuta l’intelligenza artificiale (con la sua variante più nota, il “machine learning”, l’apprendimento automatico) e tutto è cambiato. Ora l’RPA lavora grazie ad una vasta tipologia di fonti, che includono anche immagini e video. E, gradualmente, ha appreso ad adeguarsi ai cambiamenti di contesto. È questo passaggio che ha consentito a questa tecnologia di essere introdotta in ufficio, lì dove l’attività è fluida e variabile. Si pensa infine che l’evoluzione degli algoritmi le capacità “comunicative” dei software saranno sempre più adattative ed efficienti.

 

Ripubblicazione dell’articolo pubblicato il 10 settembre 2021














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