Nuove tecnologie e infrastrutture: così la Cina è diventata un drago…ne

di Laura Magna ♦︎ Non più (solo) fabbrica del mondo: grazie a investimenti in innovazione e industria, il Paese nel 2030 diventerà la prima economia globale. Trainata da una classe media che diverrà in pochi anni la più grande al mondo, mentre il commercio al dettaglio supererà quello degli Usa. Ne abbiamo parlato con Stefano Franchi di Gemway Assets

Nel 2030 la Cina diventerà la prima economia mondiale. Una scalata che è stata vertiginosa: solo nel 2000 il Paese era settimo subito dopo l’Italia, e oggi è al secondo posto nella classifica. Passata l’emergenza Covid, resterà fabbrica del mondo, perché Europa e Usa non potranno recuperare venti anni perduti di investimenti in tecnologie e infrastrutture e nel contempo evolverà, riuscendo a migliorare la sua credibilità internazionale.

E diventerà sempre più occidentale in termini di modelli di business, transitando verso un’economia di mercato trainata dai consumi interni grazie a una classe media che è già la più vasta e ricca del mondo. Ne è fermamente convinto Stefano Franchi, head of Business Development Italy di Gemway Assetsl’unica Sgr specializzata nei fondi mergenti in Europa, con prodotti come GemEquity, un azionario globale emergenteGemAsia, focalizzato sull’Asia ex Giappone; GemChina, creato a novembre 2019 per puntare sulla Cina.







 

La classe media traina la crescita di Pechino e dintorni

Stefano Franchi, head of Business Development Italy di Gemway Assets

Già oggi, contrariamente al pensiero comune (secondo cui la crescita cinese è ancora dipendente dall’export) sono i consumi a trainare la crescita cinese. Rappresentano l’80% della crescita del Pil in Cina e la classe mediain Cina è fatta oggi di 420 milioni di persone e crescerà a 723 milioni entro il 2028 (+73%), diventando la più grande del mondo. Nel 2030 il commercio al dettaglio in Cina avrà un valore di 12mila miliardi di dollari, sopra il mercato Usa (10,5mila miliardi di dollari). Spiega Franchi: «Lo sviluppo delle classi medie è il principale driver della crescita economica in Cina: questa classe media a cui fa capo oggi il 66% della popolazione, contro il 4% di venti anni fa, sviluppare un potere di consumo molto più importante e di qualità. La classe media è più istruita e ha impulso a consumare prodotti stranieri. Svolge un ruolo molto importante nell’educazione e fa da intermediario per passare da paese emergente a paese sviluppato. Possiamo dire che questa fascia di popolazione è ciò che consente alla Cina di crescere e crediamo che tra dieci anni consentirà al paese di avere un potere di acquisto superiore del 15-20% rispetto a oggi, crescendo molto più che in Usa ed Europa». 

Ed è, quella cinese, una classe media che ha abitudini di consumo molto diverse da quelle occidentali, nascendo in qualche modo “nativa digitale”. Solo per citare qualche numero: nel 2019 l’ecommerce in Usa valeva il 22% del totale e quello cinese il 56% (l’Europa ha una fetta residuale del 6-7%): il Covid ha solo esacerbato un trend già in atto, quello che vede Cina e Aisa dominare nel digitale. In Cina ci sono 830 milioni di persone che usano Internet e consumano online per un valore pari a 1900 miliardi di dollari, in aumento del 20% anno su anno. L’ecommerce vale il 26% del commercio al dettaglio. «La Cina ha un modo diverso di consumare per demografia, con un’età media di 35-40 anni e perché ha compiuto un balzo tecnologico da zero a 100, passando direttamente allo smartphone e a Internet, saltando per esempio la fase delle carte di credito in plastica e usando direttamente i pagamenti elettronici dal terminale», afferma l’esperto di Gemway Assets.

 

Gli investimenti strutturali che fanno grande il Paese

Il secondo elemento propulsivo della crescita inarrestabile del Paese è l’impegno politico centrale: da venti anni la Cina ha investito, con un piano massiccio su infrastrutture, nuove tecnologie, economia reale. Questo ha consentito l’emergere della classe media, innanzitutto. Ma ha anche consentito a una città come Shenzen di raggiungere Hong Kong in termini di sviluppo economico, con Borse valori che hanno lo stesso valore. 

«Il piano di investimenti ha un valore di quasi il 155% del Pil e ha tre effetti: aumenta il tasso di occupazione, abbassa la fiscalità e consente di investire in settori strategici, come le tecnologie abilitanti di cui il Paese è leader mondiale, il 5G e l’Ai e infine, punta sugli investimenti verso i Paesi stranieri, il 2% di cui sull’Africa. La Cina ha avuto sempre nella sua filosofia il pensiero a lungo termine, e gli investimenti in Africa ne sono un indizio. L’obiettivo è avere il controllo delle materie prime che in Cina non ci sono, con il dominio su un corridoio marino per trasportare queste materie più velocemente. Mi riferisco al mare cinese che è tra Vietnam, Filippine e Indonesia che è il corridoio marino più utilizzato a livello mondiale». Per poterlo dominare, il Paese ha necessità di aumentare la sua influenza politica in Asia, obiettivo non facile. I cinesi non sono in buoni rapporti con il Vietnam, per esempio, che è considerato uno Stato ribelle e hanno un rapporto tradizionalmente conflittuale con Corea del Sud e Taiwan. Ma tutti e con essi Malesia, Thailandia, Indonesia, Singapore sono tutti Paesi strategici per il commercio che transita verso l’Africa.  

Nel 2030 la Cina diventerà la prima economia mondiale. Una scalata che è stata vertiginosa: solo nel 2000 il Paese era settimo subito dopo l’Italia, e oggi è al secondo posto nella classifica. Fonte Gemway

 

La Cina ha resistito meglio alle grandi turbolenze: il caso di petrolio e liquidità

Non solo. La Cina sembra impermeabile – o almeno più resistente – alle tre grandi crisi che stanno nel resto del mondo paralizzando le economie. Gemway Assets individua queste criticità nella guerra del petrolio, nella liquidità e ovviamente nel Covid. Franchi li analizza uno per uno. 

La crisi del petrolio è stata voluta e determinata da due Paesi (Russia e Arabia saudita) e ha un impatto positivo per la Cina che non produce ma importa. «La Cina è molto dipendente dalla Russia. E proprio la Russia ha voluto creare questa guerra del petrolio per eliminare i nuovi competitor: in primo luogo gli Usa che stanno spingendo sullo shale gas che ormai li rende autonomi sul fronte dell’energia e i produttori di energie rinnovabili. Lo shale gas ha un costo di produzione di 4546 euro contro i 100 euro del petrolio, gli Usa hanno iniziato a vendere fuori dall’America diventando il terzo esportare del mondo e la Russia non ha apprezzato: dunque ha spinto il prezzo sotto il valore dello shale gas distruggendo il modello Usa, che è stata costretta il 20 aprile scorso a vendere il Wti a prezzo negativo perché non poteva più stoccare. L’obiettivo di questa guerra è un prezzo giusto a cui gli Usa possano vendere solo in casa e la Russia si salvaguarda. Il secondo obiettivo è abbassare il prezzo per competere con le nuove tecnologie rinnovabili che altrimenti in un trentennio avrebbero soppiantato del tutto il petrolio».

Il tema della liquidità è molto interessante, perché in esso si evidenziano le differenze intercorrenti tra Paesi sviluppati ed emergenti, che non si sono comportati allo stesso modo. Si è osservata una caduta delle valute emergenti e degli spread con un allargamento a 600 punti base tra emergenti e Treasury Usa. «I deflussi sui mercati dei bond sia governativi sia corporate in Europa e in America Latina e in Africa hanno causato una forte sofferenza: per questo le banche centrali hanno spinto sull’acceleratore dell’espansione monetaria per creare liquidità e salvare un po’ l’economia. Per quanto riguarda le Borsa, i volumi sono positivi soprattutto per America e Cina, e gli indici cinesi hanno resistito meglio degli Usa. La Cina ha mostrato maggior resistenza anche sul fronte obbligazionario, ma è anche il Paese, tra gli emergenti, ad aver la quota inferiore di debito denominato in valute estere. Questo ha funzionato come una barriera a protezione», dice Franchi.

Sono i consumi a trainare la crescita cinese. Rappresentano l’80% della crescita del Pil in Cina e la classe mediain Cina è fatta oggi di 420 milioni di persone e crescerà a 723 milioni entro il 2028 (+73%), diventando la più grande del mondo. Fonte Gemway

Nell’emergenza Covid la Cina ha mostrato una reazione matura e trasparente

Infine, sul fronte pandemico, «I primi casi di Covid sono esplosi a metà dicembre a Wuhan e fino al 12 gennaio la Cina ha avuto una reazione passiva deludendo in termini di comunicazione, dopo però ha cominciato a realizzare l’importanza della malattia e del suo tasso di contaminazione. Le contro misure sono arrivate in ritardo ma sono state efficaci e coraggiose, comprendendo il confinamento di 30 milioni di persone, quasi 80 milioni se si guarda all’intera provincia di Hubei. Ci sono volute quasi tre settimane per reagire, per questo lo sviluppo della malattia è stato importante in questa regione, dopo però si è recuperato il terreno perduto. Solo un paese come la Cina che è una meta democrazia può arrivare a reagire come ha fatto: confinando tutti in casa con l’ausilio dell’esercito e creando in tre settimane nuove infrastrutture ospedaliere. Il risultato è che dopo tre mesi le attività sono tornare al pre Covid e la popolazione è più fedele di prima al governo». 

Le decisioni che sono arrivate dopo sono altrettanto importanti: il Paese ha investito il 15% del Pil per aumentare i tassi di occupazione e abbassare la fiscalità. Inoltre, dal 22 al 29 maggio il National People Congress (quello che è una sorta di parlamento nazionale, ndr) ha abbassato la predizione del Pil del 2020 e ha scelto di strutturarsi per fare politiche come i Paesi avanzati: «tra venti anni diventerà come un paese occidentale e crescerà anche su educazione, norme sanitarie e tutti gli altri settori su cui è ancora indietro. La differenza economica e sociale tra città e province tenderà ad essere abbattuta, perché il Paese sta provando a sviluppare anche queste piccole province e città – dice Franchi – A nostro avviso, a parte l’avvio della pandemia, i cinesi hanno comunicato correttamente e sono stati trasparenti, trasferendo il genoma a Usa, Germania e Francia: interessante perché è tipico per loro non comunicare niente perché non si sa mai come si comportano gli stranieri. Vediamo una Cina che si apre e questo cambia anche la sua credibilità a livello internazionale. Non è più la Cina del passato ma quella del futuro che vedremo svilupparsi nei prossimi anni».

In Cina ci sono 830 milioni di persone che usano Internet e consumano online per un valore pari a 1900 miliardi di dollari, in aumento del 20% anno su anno. L’ecommerce vale il 26% del commercio al dettaglio. Fonte Gemway

Tencent e Alibaba, i campioni della Terra di Mezzo

Non solo la Cina ha mostrato una reazione forte ed efficace ma è stata in grado anche dal punto di vista delle società, di diversificare rapidamente seguendo l’evoluzione del Covid: Tencent per esempio, ha puntato sui videogiochi, diventando leader nel Paese con il 50% di un mercato che vale 35 miliardi per l’anno 2020. Tencent ha anche una divisione di pubblicità, mercato che sta crescendo molto e ha anche una fintech bancaria. In Cina non esiste la carta di credito, ma solo pagamenti via mobile: e Tencent di questo mercato ha il monopolio nel Paese con 800 milioni di clienti ma si sta espandendo rapidamente in Vietnam e Thailandia. 

Un altro caso di grande successo, senza competitor nel mondo, è Alibaba, il più grande portale di ecommerce BtoB al mondo con un fatturato di 1.300 miliardi di dollari e con servizi accessori che vanno dai pagamenti, offerti a 900 milioni di utenti su Alipay al cloud alle rete logistica intelligente di Cainiao.

 

Fabbrica del mondo senza concorrenti

Resta da capire se in questa trasformazione la Cina tornerà a essere fabbrica del mondo o come preconizzano alcuni, sia destinata a veder ridimensionato questo suo ruolo a vantaggio di altre aree geografiche. Secondo Franchi, tutto tornerà tutto come prima. «L’Europa vorrebbe essere indipendente, ma non riesce. Tranne che sull’agricoltura, la fine del Covid ha dimostrato l’importanza della Cina a livello mondiale e la dipendenza dei Paesi dalla Cina. Il 33% dell’import/export è tra Europa e Cina e le catene di produzione su alcuni settori sono interamente localizzate nel Paese; come siamo dipendenti per l’ecommerce da esso, a causa della mancanza delle tecnologie sottostanti che non recupereremo perché siamo in ritardo di venti anni. Può essere che su mascherina e disinfettanti si svilupperanno in Europa catene indipendenti, ma siamo un mondo globale dove il prezzo fa la regola e la Cina ha la capacità per fare ancora il prezzo meno caro, che l’Europa non ha. L’esempio perfetto è l’Iphone, Apple a inizio confinamento non poteva produrre il nuovo cellulare e oggi vediamo tutti la pubblicità: la Cina, dove l’iPhone si produce, ha ripreso e si è adattata velocemente alla nuova realtà. Questo è tipico della popolazione cinese: adattarsi ai bisogni delle società straniere. Ed è vero che la Cina non ha produzione di microchip, ma è la prima cliente delle aziende leader che sono Tsmc, a Taiwan e Samsung in Corea. Tsmc ha il più piccolo e potente microchip al mondo, 5 nanometri: è una tecnologia che solo loro hanno saputo sviluppare. Una catena di produzione di questa microtecnologia costa 11 miliardi di dollari ed è impossibile creare questa cosa in Usa o in Europa». 

Il tema della liquidità è molto interessante, perché in esso si evidenziano le differenze intercorrenti tra Paesi sviluppati ed emergenti, che non si sono comportati allo stesso modo con la crisi causata dal Covid. Si è osservata una caduta delle valute emergenti e degli spread con un allargamento a 600 punti base tra emergenti e Treasury Usa. Fonte Gemway

Anche perché la Cina non ha la protezione dei dati sensibili: questo permette di sviluppare tecnologie spinte che in Europa la Grdp impedisce, perciò la tecnologia strategica resterà in Asia. In conclusione la galoppata della Cina e dell’Asia è destinata a proseguire. «Negli ultimi 10 anni, i Paesi emergenti hanno contribuito per oltre l’85% alla crescita globale. Negli ultimi 20 anni, i paesi emergenti sono stati il motore della crescita globale. La loro quota nel Pil mondiale è passata oggi dal 5% al 45%.Tuttavia, nonostante il loro crescente peso economico e sociale a livello globale, il loro peso sulla capitalizzazione di mercato globale è del 22% e la loro ponderazione nei portafogli d’investimento rimane limitata. Oggi, in un portafoglio modello in Europa, la ponderazione dei fondi emergenti rappresenta tra il 12 e il 15%. In Francia, questa ponderazione è dell’ordine del 6-7%. In Italia si aggira intorno al 3-4%. Insomma, siamo ancora all’inizio di un percorso e la strada da percorrere è ancora lunga».














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