Il metaverso? È la naturale evoluzione dei digital twin. Parola di Aveva

di Alberto Falchi ♦︎ La multinazionale del software industriale strizza l'occhio al metaverso. Per verificare l'usabilità degli impianti ancor prima che siano costruiti. E per poterli mantenere da remoto, indossando visori Vr, collaborando nello spazio virtuale. Supportati anche tablet e computer come interfacce, oltre a soluzioni di realtà mista come Hololens di Microsoft. Il motore grafico sviluppato in-house. Il nodo della cybersecurity... Ne parliamo con Maurizio Galardo, chief technologist Xr | 3D Visualization

Un impianto industriale visualizzato in realtà mista

Sempre più aziende stanno sposando il concetto di metaverso e sono al lavoro su soluzioni e piattaforme per abilitarlo, ma ancora manca una visione comune. Ci sono metaversi dedicati all’intrattenimento, in particolare quello di Meta (la holding che fa capo a Facebook), altri dedicati alla formazione o al mondo dell’industria. È il caso di Aveva, multinazionale specializzata nello sviluppo di software industriale che elabora soluzioni end-to-end per la gestione di stabilimenti produttivi, e che vede nel metaverso la naturale evoluzione del digital twin. Tutti i dati dei gemelli digitali sono visualizzati in 3D, ed esplorabili liberamente, aggiungendo così un nuovo livello di interazione. Così facendo è possibile semplificare la manutenzione da remoto, ma anche evidenziare eventuali problemi di design ancora prima di costruire un impianto produttivo, risparmiando tempo e denaro. Una peculiarità di Aveva, che nel 2017 si è fusa con la business unit di software industriali di Schneider Electric, è che tutto viene sviluppato internamente, compreso il motore di rendering 3D e la piattaforma per la cybersecurity, così da non dover dipendere da terzi per sviluppare ulteriormente queste parti. Unica concessione i visori Vr e Ar: per quelli, Aveva si affida alle soluzioni offerte dal mercato.

Il concetto di multiverso secondo Aveva

Maurizio Galardo, chief technologist Xr di Aveva

Ma cosa significa metaverso per Aveva? «Ho da poco iscritto Aveva a un consorzio che ha il compito di definire quale sarà lo standard del metaverso industriale», spiega a Industria Italiana Maurizio Galardo, Chief Technologist XR | 3D Visualization di Aveva.  «Grazie a Meta, la declinazione consumer del metaverso sembra abbastanza chiara. Per quanto riguarda la parte industriale, Aveva ha una sua definizione, mentre i nostri partner e concorrenti ne propongono di differenti. Il consorzio tenderà a uniformare standard a livello tecnologico per poter far sì che metaversi industriali possano entrare in comunicazione fra loro. Ancora non è così». Ma per Aveva, esattamente, cosa significa? «La [nostra] definizione è basata sulla “readyness” del portafoglio di ogni singola azienda. Noi siamo fortunati perché il nostro portafoglio si estende dall’engineering alle operation, che ci permette di coprire il mercato 360°. Possiamo sintetizzare il metaverso come un’esperienza nel settore industriale che va ad accomunare i digital twin e aggiunge funzionalità proprie dell’essere all’interno di un contesto virtuale: la collaborazione, la sensazione di presenza di altri, e quindi la possibilità di poter richiamare dati storici, in tempo reale e di ingegneria, che possono essere rivisti all’interno di un contesto allargato».







Sintetizzando, uno spazio di condivisione dei dati e che ha visto un’accelerata nel suo sviluppo a causa del Covid. Aveva, come abbiamo spiegato qui, ha maturato una grande esperienza nell’ambito del software industriale in genere e nello specifico sui digital twin, tecnologia che si è rivelata fondamentale durante le fasi più complicate della pandemia per garantire l’operatività degli impianti industriali, anche critici. Sia per abilitare la manutenzione predittiva, sia per formare i tecnici e per operare sugli stabilimenti anche da remoto. Nell’ottica di Aveva, il metaverso è di base una piattaforma che semplifica la condivisione dei dati, permettendo di farlo in un ambiente virtuale in tutto e per tutto identico alla sua controparte reale. Un operatore può muoversi come in un videogioco all’interno di una fabbrica virtuale che ha tutte le stesse caratteristiche di quella reale, ed è alimentata dalla stessa base di dati. Per gli operatori non sarà solamente un tour “turistico” della fabbrica, perché come spiega Galardo, «stiamo lavorando alla possibilità di risolvere problemi, anche mission critical».

I visori per la realtà virtuale saranno l’interfaccia principale, ma non l’unica

Una delle interfacce per il metaverso industriale sarà rappresentata dai dispositivi per la realtà mista/aumentata. Per esempio, si potrà avere una copia in scala e interattiva di un intero impianto sulla scrivania

Considerata l’esperienza su di Aveva sul software industriale, il metaverso alla fine è la trasposizione delle informazioni raccolte tramite sistemi IIoT e sensori vari in un mondo 3D. Detto così può sembrare quasi banale, «ma non è una cosa da poco – dice Galardo – Perché il 2D come interfaccia utente ha dei pro e dei contro. Se per esempio vuoi sapere dove si trova un oggetto fisico, per esempio un allarme, e quali apparecchiature coinvolge questo alert, puoi sicuramente affidarti a una mappa bidimensionale, magari dall’alto. Avere un digital twin 3D, di un impianto virtuale, però, ti permette di gestire tutto quello che è missioni critical – anche le vie di fuga – in una dinamica più adatta all’esperienza umana». E migliora la sicurezza, perché muovendosi in una riproduzione virtuale è più semplice comprendere se le uscite di emergenza sono facilmente individuabili e accessibili anche durante momenti concitati, cosa meno intuitiva da fare lavorando solo su schemi 2D.

Il manager di Aveva sottolinea che non bisognerà aspettarsi un’adozione in massa in tempi brevissimi. Questo è dovuto in parte agli standard per il metaverso industriale, ancora in via di definizione dal consorzio, ma soprattutto dal tasso di adozione dei dispositivi per la realtà virtuale, la cui diffusione sta comunque crescendo rapidamente. «La realtà è che ci vorrà molto tempo prima che i dispositivi Vr siano adottati in massa, e quindi quello che stiamo realizzando non sarà vincolato a questo tipo di hardware. Sarà disponibile anche su tablet e tramite app per desktop. E l’interfaccia e l’esperienza utente cambieranno a seconda del device usato». Un tema importante, perché implica che inserire un digital twin in un mondo 3D significa anche cambiare l’interfaccia e ripensare l’esperienza utente. Introducendo una serie di nuove possibilità. Per esempio, permetterà di fare verifiche sulla “reachability”, cioè la raggiungibilità di tutti gli elementi da parte degli operatori. Può sembrare un dettaglio, ma si tratta di una funzione molto importante. Galardo fa l’esempio di un impianto in Giappone: prima di assemblarlo sono stati fatti dei test per verificare che tutti i comandi fossero facilmente raggiungibili. E in fase di test tramite Vr ci si è resi conto che gli operai locali (mediamente l’altezza media dei giapponesi è leggermente più bassa di quella degli europei) non riuscivano a raggiungere alcune valvole. «Sono aspetti di cui ti rendi conto solo quando l’impianto è ormai realizzato». Tramite digital twin e realtà virtuale, è possibile insomma correggere questi problemi in anticipo, risparmiando anche sui costi di realizzazione.

Indipendentemente dallo strumento usato per accedere al metaverso industriale di Aveva, però, tutti i partecipanti potranno comunicare fra loro, anche utilizzando dispositivi differenti, per esempio alcuni con elmetti Vr e altri con un tablet o un PC. «L’output, cioè il client adottato dal cliente, è totalmente trasparente rispetto alla tecnologia, i cui dati sono centralizzati e condivisi lato server».

Aveva supporterà tutti i principali visori Vr sul mercato ma l’attenzione è su Oculus Quest 2, che attualmente è uno dei più diffusi

Parlando di visori, sul mercato se ne trovano svariati, ma per il momento Aveva sta concentrando l’attenzione su Oculus Quest 2 che «attualmente ha le migliori caratteristiche per quanto riguarda qualità, performance e costo. Ma siamo compatibili con tutti i dispositivi, dato che supportiamo gli attuali standard del settore Vr. Se i clienti volessero puntare su visori di fascia più alta, possono farlo». Galardo spiega che è possibile anche sfruttare i modelli più evoluti sul mercato, che costano migliaia di euro, ma tarare la piattaforma su uno standard troppo costoso avrebbe rappresentato un rischio per la diffusione della piattaforma. Oculus Quest 2, per capirci, ha un prezzo che si aggira attorno ai 300 euro. Non solo: uno stesso utente potrà passare da un dispositivo all’altro a seconda della necessità di quel momento. Per questo motivo Aveva supporta anche visori di tipo see trough e di realtà mista (Hololens di Microsoft, per citarne uno), così che un utente possa operare sui dati visualizzati sullo schermo del desktop e, quando necessario, accedere al metaverso in Vr.

Metaverso e cybersecurity

Fabbriche connesse, esplorabili e “gestibili” in realtà virtuale. Un tema affascinante, ma come la mettiamo con la sicurezza? In un periodo in cui gli attacchi informatici contro infrastrutture industriali sono in aumento, il rischio non può essere trascurato. E non a caso «è uno di quei temi caldi di cui si sta interessando il consorzio», dice Galardo. «Quello su cui si sta ragionando è mettere a fattor comune gli standard di sicurezza raggiunti a oggi dalle infrastrutture cloud e far sì che siano standard adottati da tutte le piattaforme [per il metaverso]. Per quanto riguarda Aveva, in questa fase in cui manca uno standard, tutto quello che opera sulle piattaforme cloud, nel nostro caso Aws a Azure, è protetto dall’ombrello della nostra soluzione Aveva Connect». Questo anche perché non è pensabile di applicare la cybersecurity a ogni singolo pezzo del puzzle, e di conseguenza qualsiasi prodotto di Aveva basa la sua sicurezza sulle funzioni di Aveva Connect. Metaverso incluso.

Gli ostacoli alla diffusione del metaverso industriale

Tramite il metaverso i tecnici potranno esplorare e gestire un impianto industriale da una control room remota, che potrebbe trovarsi dall’altra parte del mondo

Al momento sono due gli ostacoli da superare. Uno è tecnico: «abbiamo vari componenti all’interno delle nostre tre principali piattaforme [una sui dati, una per l’infrastruttura cloud e una terza per la visualizzazione]: la difficoltà è connettere in un nuovo modo tutti i puntini che avevamo sul tavolo e far sì che questa connessione sia efficace, sia sotto il profilo della cybersecurity sia dell’usabilità». La seconda criticità è invece rappresentata dalla necessità di “educare” i clienti a un nuovo modo di fruizione di informazioni complesse. «Operando in 3D abbiamo una nuova dimensione non più limitata dai pixel sullo schermo e virtualmente infinita, che permette di visualizzare contemporaneamente tutti i dati storici. Questo nuovo modo di maneggiare i dati ci vedrà impegnati a organizzare workshop per i nostri clienti, un po’ per spiegare loro cosa sta succedendo, un po’ per ottenere dei feedback sul modo di utilizzo».

Aveva non ha intenzione di lanciare subito sul mercato la piattaforma già completa di tutte le sue componenti, ma punta a partire da un set base, le minimum viable functionality (le funzionalità indispensabili), pero poi aggiungere altri blocchi nel tempo, fatto che richiederà circa due o tre anni.

Un problema che invece è stato risolto, ma che non è relativo ad Aveva bensì ai dispositivi per la realtà virtuale in generale, è quello del motion sickness, la sensazione di nausea che molti sperimentano quando li indossano. Questo è dovuto al fatto che arrivano segnali contrastanti al cervello: visivamente, si ha la sensazione di muoverci, ma non arrivano stimoli in questo senso, creando una sorta di cortocircuito che può scatenare la nausea. Per ovviare a questa fastidiosa sensazione, Aveva ha seguito l’approccio adottato anche da Meta, consentendo all’utente di scegliere se muoversi fisicamente nel suo spazio reale oppure semplicemente teletrasportando il suo avatar da un punto all’altro del metaverso. «Il sistema è in grado di capire se l’utente si sta muovendo o è seduto, ed è in grado di suggerire, o passare automaticamente, alla modalità più efficace per quella situazione».

Un motore grafico sviluppato in-house

Come detto prima, Galardo stima che il metaverso industriale di Aveva sarà accessibile fra due anni, almeno per quelli che saranno gli early adopter, i primi a sperimentare la tecnologia, per poi aprirsi anche ad altri utenti. Uno dei motivi per cui è ancora necessario attendere parecchi mesi è il fatto che Aveva, al contrario di altre realtà, sviluppa tutta la tecnologia internamente, non limitandosi ad acquistarla da terzi. Questo vale anche per il sistema che si occupa di visualizzare il mondo tridimensionale, chiamato in gergo il 3D Engine. Molte applicazioni di metaverso fanno leva su engine tridimensionali derivati dal mondo dei videogiochi, in particolare l’Unreal Engine e Unity, ma Aveva ha scelto una strada diversa. Il suo engine 3D è stato sviluppato da un’azienda italiana che era di proprietà dello stesso Galardo, realtà poi acquisita da Schneider Electric che con Aveva condivide un approccio mirato all’innovazione e all’ottimizzazione dei prodotti reciproci. «Per quanto riguarda il puro rendering grafico, è basato su buona parte di quello che veniva dalla mia precedente società, unito ai successivi sviluppi. Oggi abbiamo un engine che utilizziamo non solo per il rendering dei nostri prodotti Cad, ma anche per la realtà virtuale e aumentata. Tutto vive all’interno del nostro ambiente Xr Studio». Il fatto di non appoggiarsi a engine pensati per il settore ludico porta un grande vantaggio: «non siamo soggetti a roadmap di terze parti. Se abbiamo un’esigenza, dovuta alla richiesta di un cliente o da una nostra necessità, siamo indipendenti e possiamo seguire la strada che vogliamo coi tempi che desideriamo.














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