Che cosa c’è nel futuro dell’industria meccanotessile? Tutte le novità a Itma 2023

di Barbara Weisz ♦︎ La fiera internazionale del settore torna in Italia: Rho-Fiera Milano, 8-14 giugno. Attesi oltre 1600 espositori da 44 Paesi. Le imprese di comparto italiane: 12mila 900 persone con un giro d'affari di 2,6 miliardi di euro. Acimit: Digital Ready, progetto di filiera per certificazione standard dei macchinari. Le prime cinque aziende associate: Fadis, Fermor, Ferraro, Marzoli, Salvadè. Altre tre in arrivo: Aigle, Sant'Andrea Textile Machine, Pentex. Green Label: risparmio energetico fino all’84%. Con Cristian Locatelli, Roberto Luongo, Alessandro Zucchi

I produttori di macchine tessili italiane si presentano a Itma 2023 parlando digitale. Fra le principali novità che verranno presentate al salone internazionale del settore, che quest’anno torna in Italia, la Digital Ready, ovvero un progetto di standardizzazione dei linguaggi informatici delle macchine che consente di avere dati omogenei. Con tutti i vantaggi in termini di misurabilità delle prestazioni e messa in rete dei macchinari per un’azienda che, per esempio, ha l’obiettivo di rendere 4.0 i suoi stabilimenti produttivi. «I clienti vogliono scambiare facilmente i dati, ma avendo dieci produttori con dieci linguaggi diversi, sono obbligati ad avere dieci protocolli diversi» spiega Alessandro Zucchi, presidente Acimit. Come vedremo, è un adeguamento che non comporta particolari difficoltà tecnologiche, «è una piccola modifica che abbiamo chiesto alle software house», aggiunge Cristian Locatelli, vicepresidente dell’associazione dei costruttori tessili, secondo il quale la standardizzazione di software e protocolli «è il vero limite alla digitalizzazione reale».

Con l’iniziativa Digital Ready l’Italia è all’avanguardia internazionale. Del resto, siamo uno dei principali produttori su scala mondiale che si distingue, oltre che per una importante tradizione, per gli standard qualitativi elevati. Le imprese meccanotessili italiane sono circa 300, impiegano 12mila 900 persone, hanno un giro d’affari di 2,6 miliardi di euro, che per l’87% viene dalle vendite all’estero. Per la precisione, segnala Roberto Luongo, direttore generale Ice, istituto italiano del commercio estero, il fatturato in termini di export è di 1,9 miliardi di euro. E «i macchinari sono solo una parte della nostra offerta: possiamo offrire tecnologie e innovazione in tutto il mondo». E’ uno dei motivi per cui il machinery è un fiore all’occhiello del Made in Italy: «i grandi marchi, come Ferrari e Lamborghini nell’automotive, sono importanti, ma la prima voce di esportazione italiana sono le macchine industriali». E Itma «sarà l’occasione per mostrare la punta di diamante dell’industria italiana delle macchine tessili». A Milano, dall’8 al 14 giugno (Rho-Fiera Milano), ci saranno oltre 1.600 espositori provenienti da 44 Paesi, in rappresentanza di 20 settori merceologici che coprono l’intera catena del valore della produzione tessile e dell’abbigliamento, compresi i compositi tessili, su una superficie di 200mila mq.







L’Italia si presenta con quasi 400 aziende, su 36mila metri quadrati, «con un aumento della superficie di oltre il 20% rispetto all’edizione precedente, tenutasi a Barcellona», dove si è svolta l’ultima edizione del 2019. In pratica, «il 30% dell’area espositiva totale a Itma sarà targato Italia». Andando oltre i numeri, Acimit si presenta con una vision, sintetizzata dallo slogan «Shaping the future», che Zucchi traduce nel seguente modo: «dobbiamo dare forma al nostro business per il futuro, personalizzarlo, sulla base delle richieste del mercato». Tre quelle fondamentali: trasformazione digitale, sostenibilità, competenze e formazione. I pilastri dell’Industria 4.0. Decliniamoli attraverso le iniziative di Acimit in vista della più importante fiera internazionale del settore: oltre a Digital Ready, prosegue l’impegno sulla Green Label, l’etichetta verde (vedremo i numero aggiornati), e ci sono inziative specifiche sulla formazione (webinar tecnologiche, talent attraction). Fra le altre, la partecipazione degli studenti dell’Its Tam (tessile, abbigliamento, moda), che «passeranno la settimana di Icma ognuno in uno stand, e vedranno come funziona una fiera di questo genere», sottolinea la direttrice e responsabile Silvia Moglia.

Acimit, dati di settore 2022

Acimit a Itma 2023, Shaping the future

«Il 30% dell’area espositiva totale a Itma sarà targato Italia», sottolinea Zucchi. «Avremo un incoming di 140 top buyer esteri provenienti da 25 diversi Paesi», aggiunge Luongo. L’area espositiva è divisa in dieci segmenti, così suddivisi:

  • diverse tipologie di produzione meccanotessile: spinning e winding, (filatoi e roccatrici), knitting e testing (macchine per maglieria e macchine per prove tessili), weaving e braiding (telai e trecciatrici), printing e inks (stampa), nonwovens (tessuto non tessuto), finishing (finissaggio);
  • tessuti: fibres, yams and fabrics (fibre tessili, filati, e tessuti), colourants and chemicals (coloranti tessili e prodotti chimici);
  • ricerca e sviluppo, innovazione e startup: Research & Innovation, Start up Valley;
  • un’area dedicata a varie tematiche: fra le altre, software e automazione, riciclo, plants equipment, servizi.
Mappa Itma 2023
Asciugatoio Salvadè

Fra le iniziative, gli Italian textile technology awards organizzati da Ice e Acimit che premieranno i 18 migliori studenti delle università tessili dei paesi in cui ci sono o stanno per essere realizzati i centri tecnologici di formazione tessili italiani: Bangladesh, India, Mongolia, Pakistan, Perù e Vietnam. Una mostra fotografica che ripercorre la storia di Itma. Piuttosto che i webinar tecnologici di Acimit. Il tutto, nella consapevolezza che «senza formazione non ci sarà futuro», spiega Zucchi, che oltre a presiedere l’associazione meccanotessile del sistema Confindustria è amministratore delegato e socio di Ferraro. «Ci lamentiamo della mancanza di tecnici qualificati, magari non riusciamo a essere attrattivi per le nuove generazioni», per questo «la formazione rappresenta un elemento chiave. Cerchiamo di organizzare su base continuativa webinar indirizzati a studenti e giovani per dare loro maggiore informazione». E qui si inserisce, per esempio, il rapporto con l’Its Tam, a cui Acimit ogni anno paga 4mila euro all’anno di borse di studio. In occasione di Icma 2023, «abbiamo una classe intera, ovvero i 20 ragazzi del nostro percorso più tecnico, dedicato a macchinari e processo (noi abbiamo quattro corsi molto simili, perchè percorrono la filiera del tessile) saranno presenti negli stand di altrettante aziende», quindi avranno l’opportunità di vivere per una settimana a stretto contatto con l’intero settore, facendo un’esperienza di respiro internazionale. L’Its, lo ricordiamo, è un percorso di studi post diploma, e «più di 600 ore, delle 1800 di formazione, sono dedicate agli stage in azienda. Con una percentuale di employability del 93%».

 

La Digital Ready, standard PoliMi e certificazione Rina

Ma il fiore all’occhiello con cui Acimit si presenta a Itma è la Digital Ready. Il progetto è appena partito, in fiera avrà un primo palcoscenico internazionale, e si muove in una direzione precisa: la standardizzazione del linguaggio del machinery. Fondamentale per semplificare l’interazione fra i macchinari e i sistemi gestionali (dall’Erp al Mes), connettere l’intera struttura produttiva (Iiot), e (soprattutto) per avere dati omogenei dalla produzione. E’ una direzione in cui stanno andando tutte le tecnologie legate alla fabbrica intelligente, robotica compresa (esempio: lo Standard Robot Command Interface, messo a punto dal Consorzio Profinet per la comunicazione industriale). Dunque, un driver della trasformazione digitale. «Non chiediamo ai nostri produttori di cambiare i loro software – spiega Zucchi -. Ma di organizzare le informazioni dei sistemi, per far sì che ci possa essere lo stesso output per ogni funzione della macchina». Il percorso per la messa a punto dello standard e della certificazione è stato relativamente lungo, anche perché è partito primo del Covid, nel 2019, e di conseguenza ha subito i relativi rallentamenti. Fra il 2020 e il 2021 Acimit ha iniziato a parlarne con le aziende associate, quindi ha portato avanti e terminato il lavoro di standardizzazione, con il Manufacturing Group del Politecnico di Milano, e ha coinvolto Rina Consulting per la certificazione.

Esportazioni italiane

Cristian Locatelli, general Manager di Marzoli Spinning Solutions & Camozzi Digital, aggiunge un elemento che aiuta a comprendere il valore di uno standard certificato. Non solo per il mondo meccanotessile, ma per qualsiasi impresa che digitalizza la produzione in chiave 4.0. Se ogni macchina parla una lingua diversa «è difficile dare valore alla potenzialità dei macchinari. Noi abbiamo deciso di essere meno egoisti, e di parlare digitale». In primo luogo, questo serve a «mettere a disposizione il dato, ed è un elemento importante. Il dato è già all’interno della macchina, e quando il cliente compra la macchina, compra il dato». Digital ready «è un processo per renderlo disponibile». Il vendor in questo modo può «certificare le performance delle macchine. Il cliente, a sua volta, può certificare la qualità del prodotto, in modo economico, immediato, veloce». Certo, è importante che lo standard si diffonda. E’ un progetto di filiera, devono essere certificati tutti i macchinari. E Itma sarà il primo banco di prova sia per proporlo alle imprese, sia per capire come la novità viene accolta dal mercato.

Importatori

Le aziende Digital Ready

Marco Salvadè, Ceo e presidente Salvadè

Al momento sono cinque le aziende già Digital Ready, ovvero Fadis, Fermor, Ferraro, Marzoli, Salvadè. E altre tre hanno invece già aderito e stanno effettuando il percorso per la certificazione: Aigle, Sant’Andrea Textile Machine, Pentex. Fra i primi ad aderire, Salvadè, azienda familiare, 50 anni di storia, produce macchinari per la stampa e il finissaggio tessile. «All’inizio, ero molto scettico su questa soluzione» non nasconde Marco Salvadè, Ceo e presidente. «Perchè il concetto è quello di dare informazioni ai nostri clienti in un linguaggio comune a tutte le tecnologie delle macchine, che vanno dal telai, al finissaggio, ad altre tipologie. Mi sembrava difficile tecnicamente mettere a punto un linguaggio comune fra macchinari che hanno unità di misura diverse. Ritenevo più applicabile l’idea di suddividere per settori, perchè chi lavora il filo ha unità di misura che non sono quelle che lavorano il tessuto. Poi, quando è stato portato avanti il progetto, ho inteso quale poteva essere il beneficio, sono partito subito, e sono stato il secondo ad avere la certificazione, ma solo perchè la prima azienda mi ha battuto di un soffio, arrivando il giorno prima».

Cristian Locatelli, vicepresidente dell’associazione dei costruttori tessili

Soddisfatto? «Mi sono ricreduto. Nella mia azienda, mettere determinati dati sotto un menù o un altro, sarebbe stata la stessa cosa. Ma una regola uniforme, per chi deve ricevere questi dati e poi comunicarli o gestirli, è molto utile. E’ come quando compriamo un computer: sappiamo che tendenzialmente dove trovare il copia e incolla. Questa è la ratio». Per valutare il ritorno è presto, «è una cosa molto nuova, siamo ancora in pochi, Acimit lancerà questo progetto a Itma. Però un primo vantaggio lo sto già rilevando. Io vendo la macchine, e il cliente poi mi fa contattare dalla sua software house. Prima, erano loro a imporre a me dove mettere i dati. Oggi, come certificato digital ready, c’è un protocollo uguale per tutti, che semplifica l’operazione». Tecnologicamente, non bisogna fare chissà quali adeguamenti. Il Rina ha emesso il manuale delle regole, «bisogna solo riorganizzare il software secondo uno schema». «Anche Marzoli l’ha eseguita – aggiunge Locatelli -. E’ una piccola modifica che, come Acimit, abbiamo chiesto ai costruttori, per comunicare il dato in un vocabolario standard. Il system integrator che deve integrare la macchina italiana, in questo modo raccoglie il dato in un modo standard. Sembra una banalità, nel 2023, ma oggi è il vero limite alla digitalizzazione reale».

 

Per la Green Label, risultati e nuove sfide

Roberto Luongo, direttore generale Ice

L’esperienza di Acimit in questo senso era già forte di un’analoga iniziativa, di cui Industria Italiana ha già parlato, ovvero la Green Label, o targa verde, che certifica le performance ambientali e di risparmio energetico. Progetto nato nel 2010, Zucchi lo definisce «di grande successo, molte altre associazioni ci hanno seguito, anche a livello governativo». Ci sono clienti che «hanno deciso di acquistare macchine soo per green label». Sono 47 le aziende che hanno preso parte al progetto, con più di 16mila macchinari certificati, una riduzione di 1,2 milioni di tonnellate di Co2, un risparmio energetico fino all’84%. Il progetto Green Label (anche qui, la certificazione è del Rina), si è poi evoluto con l’indice di riciclabilità, che invece quantifica la quota di macchinari riciclabili a fine vita.

 

I numeri del meccanotessile italiano

Interno plant Fadis

Infine, qualche dato di mercato. Nel 2022 la crescita di fatturato complessiva rispetto all’anno precedente è stata dell’11%. «Nonostante la crisi», sottolinea Zucchi. E per di più dopo un 2021 che aveva segnato una crescita del 34% (grazie alla ripresa post pandemia). «Nessuno si aspettava un ulteriore crescita nel 2022, invece abbiamo migliorato produzione ed export». Restano però i punti critici legati a una situazione internazionale caratterizzata da incertezza, guerra in Ucraina, inflazione, prezzi dell’energia ancora sopra la media. Elementi che, più che sul fatturato, incidono sui margini. «Nonostante questo – prosegue Zucchi -, le previsioni Acimit per il 2023-2026 sono positive. Si attende un’accelerazione già nella seconda parte di quest’anno, quindi una crescita in rialzo dal 2024 al 2026. Per quanto riguarda l’export, che come detto rappresenta l’87% del fatturato e che nel 2022 è cresciuto del 12%, il primo mercato è l’Asia (44% per cento del nostro export), le prime cinque destinazioni sono Cina, Turchia, India, Usa, Bangladesh.














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