L’industria è avvisata: il rally delle materie prime è qui per rimanere

di Marco Scotti ♦︎ Chi credeva che la fiammata dei prezzi di silicio e rame, petrolio e gas naturale fosse soltanto un evento momentaneo deve rapidamente ricredersi. Il Fmi ha confermato che il picco di inflazione si avrà alla fine dell'anno e che per tornare alla normalità servirà la prima metà del 2022. Per Marco Moretti di Bcg non si tratta di una novità, ma quello che è tutt'ora inesplorato è il combinato tra l'inflazione e la crisi economica causata dal Covid. E per l'industria si annunciano tempi duri

Chi sperava che l’aumento dei prezzi fosse passeggero è destinato a rimanere deluso. Ma cerchiamo di capirne di più. La buona notizia, se così si può dire, è che l’incremento dei prezzi delle materie prime non è di certo una novità, ma piuttosto un fenomeno che ciclicamente coinvolge l’economia mondiale. Quella cattiva è che questa volta, alle dinamiche fisiologiche si sono sommate quelle straordinarie dettate dalla pandemia, su tutte le politiche di stimolo messe in campo dai governi. Quello che è certo è che non si tratta di una turbolenza passeggera, ma piuttosto di un tema strutturale con cui bisognerà fare i conti da qui (almeno) alla prima metà del 2022. La decisione dei Paesi Opec di non aumentare la produzione nonostante il balzo verso l’alto dei prezzi del petrolio mostra chiaramente come siano prima di tutto gli attori a non voler trovare un accomodamento. L’energia costa di più, le bollette – nonostante il tentativo del Governo di calmierarle – saliranno anche del 30%. Il carrello della spesa è decisamente più caro, perché sono aumentati i beni di prima necessità come grano, caffè, zucchero. E gli effetti di questa impennata si riverberano lungo tutta la catena del valore, scaricandosi inevitabilmente anche sul consumatore finale. Per il Fondo Monetario Internazionale, il picco avverrà alla fine del 2021, con una variazione positiva dell’inflazione del 3,6% nei Paesi avanzati e addirittura del 6,8% nei mercati emergenti.

«Ci troviamo di fronte a effetti molto frammentati e diversi a seconda dei settori – spiega a Industria Italiana Marco Moretti, managing director e partner di Boston Consulting Group Italia – ma quello che è certo è che ci sono interi mondi che sono sotto pressione in maniera molto significativa. È il caso, per esempio, dei semiconduttori che stanno veramente scarseggiando e che rischiano di paralizzare fette importanti dell’industria mondiale». In effetti il momento storico che stiamo vivendo è davvero complesso da decifrare. Dopo un calo dei prezzi di materie prime come rame, petrolio e acciaio a cavallo di Ferragosto, ora si assiste a una nuova inversione di tendenza. Anche gli analisti si trovano in difficoltà: è difficile stabilire se si tratti di una normalizzazione della curva o di una nuova ondata di incrementi.







Intanto però la scarsità dei semiconduttori inizia ad avere effetti pesanti sull’industria. I prezzi del silicio cinese sono aumentati del 65,2% nella settimana fino al 24 settembre, dopo un balzo del 47% nei sette giorni precedenti. Negli Stati Uniti, il silicio metallico ha guadagnato il 12,3% nella settimana fino a giovedì 23 settembre, in seguito a un’impennata del 13,35% la settimana precedente, a causa di un peggioramento della carenza interna. I prezzi del silicio cinese e statunitense sono ora ai massimi dal 1997 secondo le analisi di Fastmarkets. L’automotive in primis sta soffrendo, visto che senza silicio è impossibile realizzare i chip che consentono alle vetture di circolare. Toyota ha dovuto tagliare la produzione del 40%, Stellantis ha riscontrato parecchie difficoltà negli stabilimenti francesi di Rennes la Janais e Sochaux. Per non parlare di Volkswagen che nel plant di Wolfsburg, il più grande al mondo con i suoi 60mila dipendenti, è ripartita con un solo turno nella prima settimana di settembre. Tra l’altro, l’automotive vive una doppia criticità: non soltanto la scarsità dei semiconduttori e dei metalli, ma anche l’incremento esponenziale dei costi della logistica che – a causa dell’aumento dei costi di trasporto – fa crescere il prezzo dei suoi servizi con conseguente erosione dei margini per gli Oem. I quali, dopo 18 mesi di pandemia, non possono certo permettersi di vedere ulteriormente ridotti i guadagni del comparto.

Ma non c’è solo l’automotive a soffrire. Basti pensare che Sony, il colosso nipponico dell’elettronica, sta riscontrando grandi difficoltà a reperire i materiali per la produzione dei chip. Il che si traduce nella sostanziale impossibilità di rispondere alle richieste degli appassionati di videogame che vorrebbero acquistare la tanto agognata Playstation 5. La console continua a essere introvabile e ogni annuncio di nuove produzioni scatena il tam tam tra gli aficionados. Tra l’altro, il lockdown e l’esigenza di trascorrere tempo a casa, ma anche i nuovi “mondi” creati dai videogiochi, hanno fatto decollare il comparto che oggi ha un fatturato previsto di circa 175 miliardi, superiore alla somma di quello cinematografico e musicale. Ma senza semiconduttori diventa impossibile rispondere alle esigenze dei potenziali acquirenti. Un circolo vizioso.

Brent petrolio. La decisione dei paesi Opec di non aumentare la produzione nonostante il balzo verso l’alto dei prezzi del petrolio mostra chiaramente come siano prima di tutto gli attori a non voler trovare un accomodamento

Allarme rosso o momento critico?

Marco Moretti, managing director e partner di Boston Consulting Group Italia

È vero, il mondo delle commodity è ciclico e non è certo la prima volta che l’economia deve fronteggiare un incremento dei prezzi causato da una scarsità di materie prime. «Ricordo bene il 2010 – chiosa Moretti – quando il barile del petrolio schizzò fino a quota 150 dollari e l’acciaio era su prezzi analoghi a quelli attuali. Dunque, non ci facciamo granché impressionare dai costi. Semmai, stiamo vedendo dei rincari che sono fuori da ogni logica, soprattutto se andiamo a vedere i fondamentali macro-economici tradizionali. È evidente che ci sono molti elementi che si stanno innestando. Prima di tutto c’è un tema di rimbalzo: questi stessi prodotti che oggi sono carissimi e introvabili nel 2020 vivevano una dinamica opposta. Il Covid aveva portato a una riduzione forzosa dei sistemi produttivi con conseguente calo delle richieste. Poi però è stato tolto il “tappo”, la Cina non si è sostanzialmente mai fermata e chi aveva intaccato le scorte si è trovato improvvisamente a dover “ricoprire” la sua posizione, come è successo nel caso dei metalli».

Ma non è finita qui. Perché le politiche messe in campo dai governi di tutto il mondo hanno da un lato evitato un disastro di proporzioni inimmaginabili ma dall’altro hanno contribuito a un incremento dell’inflazione e, quindi, dei prezzi di acquisto delle commodity. Non se ne esce, insomma. Anche perché quanto fatto dagli Stati ha portato a una sorta di paradosso per le imprese: era più conveniente ridurre la capacità produttiva ottenendo una copertura dei costi fissi che accumulare quanto necessario per ripartire una volta finita l’emergenza. C’è infine da sottolineare come il dollaro a livelli così bassi grazie alle politiche monetarie della Fed abbia ulteriormente incentivato l’incremento dell’inflazione. Il cambio con l’euro continua a scivolare e questo si traduce in un doppio incremento dei prezzi per i consumatori: le aziende hanno minore vantaggio a comprare in dollari e in più devono scaricare l’aumento dei costi su tutta la filiera.

 

Che cosa aspettarsi nei prossimi mesi?

Il presidente cinese Xi Jinping

La domanda cui tutti cercano di dare risposta è se si tratti di un fenomeno che sta iniziando a vedere la fine o se, invece, dovremo conviverci ancora a lungo. «Una risposta precisa non esiste – ci spiega Moretti – perché si tratta di un risultato molto differenziato da settore a settore. Dove c’è una reale scarsità di offerta ma non così drammatica, come nel caso del rame o del nichel, mi aspetto un’inversione di tendenza in tempi abbastanza rapidi. Altri prezzi scenderanno in maniera brusca e quasi improvvisa per poi ritrovare un equilibrio tra domanda e offerta. Chi può giocare un ruolo decisivo sono i governi: il rischio che si vengano a creare dei cartelli di società produttrici è tutt’altro che remoto o banale. Serviranno meccanismi di incentivazione che aiutino ad armonizzare i prezzi. Per quanto riguarda un mondo cruciale per tutta l’industria come quello dell’acciaio, non possiamo ancora sapere che cosa succederà.

La Cina sta alzando barriere significative sui rottami di ferro e c’è da considerare che manca un equilibrio. L’Unione Europea ha sempre avuto una posizione difficile, ha sempre avuto una forte componente di export ma ora che c’è scarsità di materiali non sa come comportarsi. Per questo si guarderà con un occhio critico a quanto sta succedendo. Non è un invito a politiche protezionistiche, ma piuttosto la richiesta di usare un occhio critico nello stabilire che cosa si deve fare per aiutare l’industria. C’è, infine, da considerare che ci sono settori come quello dei semiconduttori che sono tutt’ora sotto grandissima pressione e alcuni nostri clienti hanno manifestato grande preoccupazione. In questo caso c’è da rivedere l’intero sistema delle forniture e della supply chain, serve un maggiore sforzo perché questi materiali ritornino a essere disponibili».

Andamento del rame

Ma la ripresa è a rischio? E la “green economy” che ruolo giocherà?

Il premier Mario Draghi

Nonostante le rassicurazioni dell’Ocse e del Fmi, il timore che le nuove ondate di Coronavirus e l’aumento esponenziale dei prezzi possano rallentare la ripresa c’è eccome. È vero che i primi due trimestri dell’anno si sono chiusi in modo estremamente positivo, ma lo è altrettanto il fatto che per tornare ai livelli pre-Covid servirà ancora del tempo. Quanto? Maggiori saranno le incognite che continueranno ad addensarsi, più lungo sarà il periodo necessario. «La crescita andrà sicuramente avanti – argomenta Moretti – ma rimane da capire se ci saranno altri “inciampi” e di che natura saranno. Non vedo grandi problemi nel breve termine, ma se il tema dell’incremento dei prezzi dovesse diventare strutturale senza che si trovassero adeguate contromisure, allora il discorso cambierebbe radicalmente. Tra l’altro, comparti come la siderurgia stanno vivendo un momento di enorme transizione, si passa dagli altiforni verso una nuova logica più sostenibile. Ma ci sono delle incognite: l’acciaio verde porta con sé grandissime sfide per quanto riguarda la marginalità. Se non si trova modo di dare valore a una produzione di questo tipo, si disincentiva l’industria a farlo».

Per una volta, l’Italia è capofila. Secondo le stime di Ey presentate nei giorni scorsi, l’aumento del pil dovrebbe essere nell’ordine del 5,7%; il governo parla addirittura di un +6%. Il tutto in attesa di capire se e come verranno influenzati i conti pubblici da una riduzione del debito che lo stesso premier Draghi ha definito “sorprendente” perché inattesa e perché dimostrazione di una politica economica efficace. Il tutto, tra l’altro, in un’ottica di revisione dei sistemi produttivi e di razionalizzazione delle emissioni che, nel solco del Pnrr, caratterizzerà l’industria prossima ventura. Come recentemente raccontato in un convegno organizzato da Bcg e Hitachi, il futuro sostenibile dell’economia italiana è lì a portata di mano, ma servono investimenti per dare un’ulteriore spinta alla ripresa. D’altronde, le tematiche ambientali sono sempre più strategiche nello spingere la produzione a essere sempre più indipendente dai meccanismi tradizionali di import ed export. L’Italia è all’avanguardia da questo punto di vista in moltissimi comparti, ma nella siderurgia, a causa dei costi esorbitanti per la transizione, si fatica molto di più. Ma l’occasione è troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire.

Dopo un calo dei prezzi di materie prime come rame, petrolio e acciaio a cavallo di Ferragosto, ora si assiste a una nuova inversione di tendenza. Anche gli analisti si trovano in difficoltà: è difficile stabilire se si tratti di una normalizzazione della curva o di una nuova ondata di incrementi

Il futuro dell’automotive tra e-car, idrogeno e…

Daniele Franco, ministro dell’Economia e delle Finanze

Il mondo dell’industria automobilistica sta vivendo una fase di transizione più “pilotata” che realmente portata dallo sviluppo tecnologico. L’Unione Europea ha deciso di mettere al bando le alimentazioni tradizionali a partire dal 2035, il che significa che entro quella data tutti gli Oem dovranno essersi attrezzati per essere in grado di sostenere una produzione che non contempli più i motori termici. Non si tratta di un semplice giro di chiave da una modalità all’altra, ma di una completa rimodulazione delle catene di fornitura, degli stabilimenti e delle competenze dei lavoratori. Un percorso enorme che era già in atto e che ha subito un’accelerazione incredibile a causa della pandemia. «L’auto elettrica – chiosa Moretti – cambia il paradigma delle materie prime perché riduce la dipendenza dall’acciaio. Cambia anche la logica della produzione, come nel caso delle batterie che diventano strategiche e che di conseguenza dovranno divenire nodali all’interno di qualsiasi strategia, non più commodity».

Un altro trend che si registra nel mondo del trasporto non privato è quello dell’idrogeno. Un’alimentazione alternativa, potenzialmente rivoluzionaria perché veramente a emissioni zero ma che ha ancora enormi problemi di avviamento. «Qualche mese fa ero abbastanza pessimista sul tema – ci racconta il managing director e partner di Bcg Italia – perché mi sembrava che l’approccio fosse “trendy” ma poco concreto. Invece con l’ultima stesura del Pnrr si vede che l’idrogeno viene immaginato per essere impiegato non solo nel trasporto, ma anche in altri settori particolarmente energivori. Anche in questo caso c’è un problema di costi: quello green deve essere per forza incentivato, quello blu deve essere parte di un meccanismo di decarbonizzazione dell’industria. Senza dimenticare che alternative all’idrogeno esistono eccome, ad esempio il biometano che viene già impiegato per la filiera agricola. Tra l’altro, i Paesi dovranno andare oltre il Next Generation Eu perché una cosa è chiara: non si potranno usare quei fondi per abbattere le emissioni di anidride carbonica, serve per forza di cose battere altre strade. Se il mondo del green fuel rappresenta un tema fondamentale, è necessario approcciarlo in maniera univoca e non troppo confusa».

La presenza dell’idrogeno anche all’interno del Pnrr

Il Pnrr e il ruolo del digitale

Il Piano di Ripresa e Resilienza è un’occasione fondamentale per riuscire a sanare elementi di debolezza strutturale che in questi anni hanno zavorrato l’Italia. È necessario dunque mettere a frutto i meccanismi e farli funzionare al meglio, trovando comportamenti efficaci e limando alcune “rigidità”. «Notiamo con piacere – aggiunge Moretti – che si stanno affievolendo alcune convinzioni un po’ troppo granitiche in favore di una maggiore flessibilità. È il caso, su tutti della concorrenza. D’altronde, è evidente che serve uno shock per generare un cambiamento. Abbiamo visto tutti quanto il digitale sia diventato pervasivo in un lasso di tempo estremamente breve, permettendo al Paese prima di reggere l’urto, e poi addirittura di accelerare. Ora però è il momento di avviare la “fase due” anche delle nuove tecnologie. Abbiamo settori industriali che sono bisognosi di fare investimenti in questa direzione, mentre altri sono già più maturi. In questo caso non si tratta tanto di portare avanti progetti come il Pnrr, ma di riuscire a creare un’infrastruttura efficace. Abbiamo già visto con Transizione 4.0 e Industria 4.0 che le aziende rispondono correttamente. Ma manca il raccordo».

La Componente 2 della Missione 1 ha l’obiettivo di rafforzare la competitività del sistema produttivo
rafforzandone il tasso di digitalizzazione, innovazione tecnologica e internazionalizzazione attraverso
una serie di interventi tra loro complementari

 

Come cambiano le catene di fornitura

Nei mesi del lockdown più severo, quando soltanto le merci essenziali riuscivano a varcare i confini nazionali, ci si è interrogati sulla possibilità di un modello che era stato messo in ginocchio da una pandemia. Non solo: se per anni l’industria ha teorizzato la riduzione del magazzino e la produzione just in time, la decisione di rinunciare alle scorte ha messo in dubbio perfino il paradigma del lean manufacturing. O no? «È ovvio che abbiamo dimostrato una produzione più efficiente “in casa” – chiosa Moretti – e anche più sostenibile. Il riutilizzo dei rottami o della carta riciclata, la circular economy, sono stati la prima arma per resistere alla crisi. Ma non solo: già prima dell’avvento del Coronavirus si stava notando il fenomeno del reshoring. Una tendenza che è stata poi accelerata dalla pandemia, con il ripensamento degli investimenti upstream e la necessità di coprire il rischio. Il tema non è tanto di abbandonare il lean manufacturing, ma di continuare a impiegare materiali diversi. È necessario ragionare in ampiezza e non in volume, non più magazzini giganteschi, ma diversi e specializzati».

Gas naturale. L’incremento dei prezzi delle materie prime non è di certo una novità, ma piuttosto un fenomeno che ciclicamente coinvolge l’economia mondiale. Quella cattiva è che questa volta, alle dinamiche fisiologiche si sono sommate quelle straordinarie dettate dalla pandemia, su tutte le politiche di stimolo messe in campo dai governi

Le rinnovate esigenze della clientela

Un gigante della consulenza come Boston Consulting Group ha ovviamente avuto a che fare con molteplici tipologie di clienti. Quelli che vedevano le cose andare perfino meglio durante la pandemia, quelli che erano paralizzati dalla paura, quelli che non sapevano come tamponare la situazione. Ma come si risponde a esigenze così diverse da parte della clientela? «Quello che sappiamo – conclude Moretti – è che le aziende tendono a dimenticare il problema una volta superato. Dunque, quando i prezzi delle materie prime saranno scesi e quando saremo fuori dall’emergenza, nessuno ci verrà più a chiedere come muoversi su quel versante. Nel breve però ci viene richiesto di capire come comportarsi, se sottoscrivere contratti lunghi o più corti. Insomma, serve dare una visione strategica anche per capire come rapportarsi con i consumatori. D’altronde, il tema chiave è: chi paga il rialzo dei prezzi? Se si scarica lungo la catena l’incremento, sarà l’ultimo che dovrà prendersi carico di tutti gli aumenti. Per questo è necessario mettere in piedi delle logiche win-win. E quello che troviamo più stimolante in questo momento è immaginare come ridisegnare la supply chain».














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