Marazzi punta su M&A, robot e nuovi stabilimenti

Lavorazione del gres alla Marazzi
Lavorazione del gres alla Marazzi

di Marco Scotti ♦ Comincia la fase due dopo l’acquisizione da parte degli americani di Mohawk Industries. Lo storico gruppo di Sassuolo potrebbe diventare un veicolo per nuove acquisizioni nel settore. E verranno fatti investimenti importanti sulla parte produttiva, comprendenti anche automazione e tecnologie. Parla il ceo Mauro Vandini

Sono trascorsi ormai cinque anni da quando, nel 2013, la multinazionale Mohawk Industries (oltre 9 mld di dollari di ricavi, quotata al Nyse) aveva acquisito Marazzi, storico marchio del made in Italy. All’epoca ci furono legittime preoccupazioni, per l’ennesimo straniero che si mangiava un pezzo pregiato d’Italia. Ma, per fortuna, col senno di poi il bilancio è positivo. Anche perché le due aziende erano perfettamente complementari. Mohawk Industries è un colosso nel rivestimento dei pavimenti (laminati, legno, parquet, tappeti, moquette) e fino all’acquisizione era debole, quasi inesistente, nelle ceramiche. Grazie all’integrazione del marchio italiano, Mohawk Industries ha potuto acquisire la leadership in questo importante segmento, potendo usare il “made in Italy” come vantaggio strategico ed efficace strumento di marketing. C’era tutto il vantaggio, insomma, a preservare e far crescere Marazzi, tutelandone l’italianità e facendola crescere adeguatamente, anche grazie ad appropriati investimenti economici.

Così è stato, ed ora inizia una seconda fase, che potrebbe vedere Marazzi come veicolo di ulteriori acquisizioni tese ad accrescerne la leadership di settore e a rafforzarne la reddività. E sicuramente vedrà un rafforzamento della parte manifatturiera. «Abbiamo sistemato – racconta a Industria Italiana il ceo Mauro Vandini – le sei fabbriche in Italia. Ogni struttura è superspecializzata in termini di tecnologia e informatica, cosa sempre più importante. Il progetto di cui vado più fiero, però, è aver raddoppiato la capacità produttiva dello stabilimento di Finale Emilia, in una zona colpita dal terremoto in cui abbiamo fatto importanti investimenti». La prima fase è durata circa 5 anni, cioè dal momento in cui gli americani hanno rilevato il controllo di Marazzi. Terminata questo primo step, proprio in queste settimane si sta discutendo su che cosa puntare per la cosiddetta “fase due”.







 

Marazzi - CERSAIE 2016 - Palazzo Re Enzo - Bologna
Mauro Vandini , Ceo Marazzi Group- CERSAIE 2016 – Palazzo Re Enzo – Bologna

La fase due

Numeri Vandini non può farne, perché la controllante è quotata alla Borsa di New York e certi dati sono price sensitive. Quello che però l’amministratore delegato di Marazzi può condividere è il fatto che la fase due «prevede la realizzazione di un nuovo modello di cui stiamo discutendo già da più di un anno e che a nostro avviso era necessario. Come tutti i nuovi modelli, non è ancora perfettamente delineato, ma è chiaro invece dove sta andando l’industria mondiale. E se l’Italia vorrà continuare ad avere un ruolo preminente dovrà modificare il modo in cui sta sul mercato.»

«Dal nostro punto di vista, le due parole chiave su cui puntare sono super-specializzazione e flessibilità. I due capisaldi, abbinati anche a un’efficienza dei costi, rappresentano sicuramente la strada da imboccare per tutta l’industria italiana, non solo per la Marazzi. Le scelte che abbiamo fatto negli ultimi anni, sia in termini di penetrazione e posizionamento, sia dal punto di vista degli investimenti fanno capire che stiamo prendendendo estremamente sul serio questa seconda fase. Se l’Italia vuole essere forte deve anche creare dei pilastri all’estero per portare il proprio prodotto: non può soltanto puntare sull’alto di gamma, altrimenti rischia la marginalizzazione, deve per forza diversificare la propria offerta».

 

Produzione alla Marazzi
Produzione alla Marazzi
Le acquisizioni

Lo dice in modo sfumato Vandini, ma è chiaro che la Marazzi sta guardando con favore alla possibilità di procedere a qualche acquisizione all’estero. «L’Italia – dice infatti l’amministratore delegato – non deve vedere gli altri mercati come se fossero semplice export, ma come dei mercati locali in cui si deve essere fisicamente presenti». Nel nostro Paese, all’inizio del 2017, l’azienda sassuolese ha raggiunto il closing dell’operazione di acquisizione di Emilceramica, storica azienda ceramica di Fiorano Modenese. Già quell’operazione finanziaria è stata un passo molto significativo nel percorso intrapreso da Marazzi, in piena intesa con la capogruppo Mohawk Industries, di investimenti e rafforzamento nel distretto ceramico di Sassuolo. Emilceramica rappresenta, infatti, una delle aziende più rilevanti del distretto.

Fondata nel 1961, l’azienda conta circa 500 addetti e due stabilimenti produttivi in Italia. Ma è soprattutto a livello internazionale che è stata protagonista di una notevole crescita, fino a essere presente oggi con i marchi Emilceramica, Provenza, Viva e Ergon in 5.500 punti vendita e 70 Paesi del mondo, in particolare nel mercato nordamericano che presidia con 4 centri logistici e staff dedicato. Marazzi e Emilceramica si ritrovano nei valori comuni del proprio fare impresa: cura estrema della qualità del prodotto, sensibilità al gusto e al design, predisposizione all’innovazione, efficienza ed eco-sostenibilità dei sistemi produttivi nonché attenzione alla crescita professionale e alla sicurezza dei propri collaboratori. Negli ultimi anni il management di Emilceramica ha guidato con successo l’azienda in un piano di sviluppo che l’ha portata ad un deciso riposizionamento nella fascia alta del mercato.

 

Marazzi: lo stabilimento di Fiorano Modenese

Lo stabilimento di Fiorano Modenese e la sede di Sassuolo

Proprio a Fiorano Modenese, nel 2015, Marazzi aveva inaugurato un nuovo stabilimento con una capacità produttiva di oltre 9 milioni di metri quadri annui di grès porcellanato, aumentando il personale impiegato del 30%. L’area del sito produttivo oggetto dell’intervento è di 37.500 metri quadrati di cui oltre 9000 di nuova superficie coperta, oltre 15.000 mq di nuova pavimentazione, oltre 30.000 mq di asfaltatura per la nuova viabilità in cui è stata inglobata una strada prima comunale e che oggi attraversa gli impianti. Per la realizzazione sono stati utilizzati oltre 6000 metri cubi di cemento armato, 275.000 kg di ferro, 30 km di cavi per le reti elettriche, 6 km di nuove tubazioni. Lo stabilimento, inoltre, è stato tra i primi e più all’avanguardia nella riduzione degli infortuni, calati del 50% proprio nel 2015. Sempre nel 2015 è stata inaugurata anche la nuova sede di Sassuolo. Si tratta di una nuova palazzina per gli uffici, che occupa una superficie di quasi 4.000 metri quadri e di uno showroom da oltre 1.500 mq.

Il ruolo delle nuove tecnologie e dell’automazione

Il settore della ceramica vive una relazione importante con l’automazione e la robotica. Da un lato, proprio grazie alle nuove tecnologie ha potuto realizzare nuovi pezzi che prima erano sostanzialmente impossibili da creare; dall’altro, però, non può e non vuole abbandonare quella vocazione artigianale che ha reso il nostro paese uno dei leader mondiali del comparto. «Tutti i produttori mondiali – scherza ma fino a un certo punto Vandini – dovrebbero pagare le royalty agli italiani, perché se c’è un motivo per cui la ceramica viene tenuta alta è perché ci sono gli italiani. Tutte le volte che le tecnologie digitali o la standardizzazione prendono piede portano a un consolidamento. Spero però che nel nostro settore rimanga ancora quell’artigianalità che gli italiani possono mettere nella fase produttiva e che ci differenzia da tutti gli altri. »

«Non è certo un caso se gli stranieri vengono a comprare impianti e grafiche in Italia. Per questo motivo bisogna cercare di tenere sempre più alto possibile il livello di produzione. D’altra parte, però, penso anche che l’Italia abbia il dovere di cercare altri passi tecnologici, o logistici, o software che ci consentano di differenziarci ancora di più dai nostri concorrenti in giro per il mondo». Per quanto riguarda la robotica, poi, Vandini non può certo negare l’importanza di questa tecnologia nell’industria della ceramica. «Ma penso anche – aggiunge – che la componente umana sia sempre fondamentale, anche laddove il processo è automatizzato. Perché le scelte di fondo vengono sempre fatte dall’uomo e le persone che lavorano su questi impianti devono possedere una competenza sempre maggiore. Ci deve quindi essere, da parte dell’industria, uno sforzo crescente per mescolare diverse fasce di età e di conoscenze all’interno dei propri processi produttivi».

 

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Marazzi: l’headquarter di Sassuolo

 

I pannelli di ceramica

Questa commistione tra artigianalità e robotica si traduce anche nella realizzazione di prodotti che sono dei perfetti mix di inventiva e tecnologia. Si tratta ad esempio dei pannelli in ceramica alti fino a 320 centimetri con uno spessore che può variare tra 6 e 12 millimetri. Questo per andare incontro a una richiesta di sempre maggiore customizzazione e personalizzazione. La traduzione di queste istanze sono dei prodotti sviluppati lungo due capisaldi. Il primo è la lavorabilità: poiché ogni pezzo ceramico ha delle tensioni interne, la Marazzi ha insistito moltissimo sulla riduzione al minimo di queste peculiarità, in modo da rendere più facilmente tagliabile e modellabile il pannello di grandi dimensioni. Il secondo caposaldo è la superficie, che viene resa estremamente compatta e piatta, senza alcuna discontinuità, con una rifrazione perfetta della luce.

 

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Marazzi: lo showroom di Parigi
Gli showroom

Un altro sforzo compiuto dalla Marazzi per aumentare la propria presenza all’estero e generare migliori performance è quello di inaugurare showroom, proprio come avviene in altri celeberrimi settori del Made in Italy. Così, a maggio del 2017 è stato inaugurato il primo showroom del brand a Londra, nel cuore di Clerkenwell, uno dei più noti centri del design a livello internazionale. Si tratta di uno spazio di circa 300 metri quadri su tre piani, con le nuove collezioni in evidenza per offrire ai visitatori un’idea dei materiali di prima qualità e della creatività all’avanguardia del marchio, rappresentando al meglio l’unicità di Marazzi e la sua predisposizione alla ricerca e all’innovazione. Lo spazio è stato progettato dagli architetti italiani Lorenzo Baldini e Antonio Pisano, fondatori dello studio Marcel Mauer di Londra. Entrambi i professionisti vantano un’esperienza consolidata nel design, nella rigenerazione urbana e nell’architettura residenziale, con particolare attenzione al valore della sostenibilità, uno dei punti di forza della filosofia Marazzi.

Inoltre, nel settembre dello scorso anno è stato inaugurato lo showroom di Parigi. Anche in questo caso si tratta di un edificio di tre piani, collocato nel quartiere di Saint-Germain-des-Prés. In questo modo Marazzi prosegue nel cammino di rafforzamento della propria presenza nelle principali capitali europee e di posizionamento del brand nella community internazionale di architetti e interior designer. Infine, a novembre del 2017 è stato aperto uno shwroom a Varsavia, nel quartiere di Ochota. «Il mercato delle piastrelle in Polonia è in crescita con una domanda sempre più orientata all’ alto di gamma – spiega Vandini – La nostra presenza in questo paese è storica, collaboriamo infatti da tempo con tutti i retailer più importanti. Questo nuovo spazio vuole consolidare il posizionamento di Marazzi come brand di riferimento sia per i nostri clienti che per la comunità di architetti».

 

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Marazzi: l’ultimo showroom aperto, a Varsavia

 

I riconoscimenti

Per dimostrare come la presenza americana in Marazzi non sia stata da “conquistatori” ma, piuttosto, da partner, il Chairman di Mohawk Industries Jeffrey S. Lorberbaum ha ricevuto a marzo del 2017 il premio Leonardo International, conferito dal presidente Mattarella. L’azienda a stelle e strisce viene riconosciuta come “esempio di come gli investimenti stranieri possano rafforzare la competitività internazionale e le capacità innovative delle aziende italiane”. Questo perché da quando Marazzi nel 2013 è entrata a far parte del Gruppo americano, Mohawk Industries ha intrapreso un consistente piano di investimenti in innovazione, tecnologia e sviluppo delle capacità produttive in Italia, e in particolare nel distretto di Sassuolo, riconoscendo all’industria italiana del settore l’eccellenza a livello mondiale in termini di competenza, qualità e capacità innovative.

 

Lavoro alla Marazzi
Lavoro alla Marazzi

Il ruolo della ceramica nell’industria italiana

In questo momento a Sassuolo, il più importante distretto della ceramica, non si respira un’aria particolarmente positiva. La Marazzi sembra, almeno per ora, riuscire a far fronte a questo momento difficile, ma è chiaro che questa situazione deve suonare come un campanello d’allarme. Per questo, la “fase due” varata dall’azienda vuole aumentare le possibilità di crescita, minimizzando gli scossoni del mercato interno. E poi c’è un tema di cui si continua a discutere ma che non si riesce a risolvere: l’impossibilità in Italia di fare sistema. «Uno dei problemi – conclude Vandini – con cui ci dobbiamo sempre confrontare come industria è quello dell’incapacità di lavorare come un unicum con degli obiettivi condivisi. Eppure, tutto quello che porta ad associarsi in maniera intelligente come comunità d’intenti è benvenuto. Vista la grande capacità che gli italiani hanno di risolvere i problemi, dobbiamo riuscire a invertire la tendenza e tentare di fare fronte comune nelle questioni di carattere generale. Altrimenti sarà difficile accrescere il nostro peso all’interno del comparto. L’Italia ha tutte le caratteristiche per poter dire la sua, e la ceramica è uno dei capisaldi industriali da decenni. Eppure, non riceviamo di certo il trattamento che ci meriteremmo».














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