Economia green: senza la neutralità tecnologica si rischia la de-industrializzazione! Con Carlo Mapelli

di Marco de' Francesco ♦︎ L’Europa sbaglia e non considerare le differenze fra i vari sistemi energetici, industriali ed economici. L’enfasi per l’idrogeno verde è fuori luogo per Paesi come Italia e Germania. E fra sovvenzioni e oneri di sistema gli attuali parchi eolici e il solare sono costati ai contribuenti decine e decine di miliardi. Che fare? La riduzione delle emissioni deve essere conseguita con tecnologie diverse e non con alcune soltanto imposte dall’alto. L’elettrificazione dell’auto, il greenwashing e…

«Il rischio è che tra qualche anno si ponga il problema della tenuta sociale in diversi Paesi dell’Unione Europea, tra cui l’Italia» – afferma Carlo Mapelli, docente al dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano ed esperto di siderurgia. Peraltro, fino a maggio scorso è stato consigliere designato di Acciaierie d’Italia, l’ex-Ilva ora costituita da Am InvestCo Italy e Invitalia. Il problema, per Mapelli, deriva dalle politiche green dell’Ue: mentre gli obiettivi di fondo sono condivisibili, le modalità omogenee imposte dall’alto e l’elefantiaca regolamentazione sono foriere di guai seri.

All’elettrificazione forzata e al greenwashing dell’industria e della produzione dell’energia al passo serrato si è aggiunto, di recente, un accordo tra la presidenza della Ue e i negoziatori del Parlamento europeo per ridurre collettivamente il consumo finale di energia dell’11,7% entro il 2030 (rispetto alle stime formulate nel 2020). Come tutte queste azioni possano stare insieme nella pratica, non è chiaro. Ma è soprattutto la sconsiderata tempistica al fulmicotone a far temere un’esplosione dei costi che ricadrebbe sui consumatori finali: la spesa potrebbe diventare insostenibile per le fasce più deboli della popolazione.







Inoltre, la stessa ricetta non va bene per tutti. Ad esempio, l’enfasi delle politiche europee per l’idrogeno green è fuori luogo per Paesi come l’Italia e soprattutto come la Germania. Le infrastrutture per questo gas richiedono investimenti colossali e tempi assai più lunghi di quelli immaginati in sede europea. Assai meglio, in un periodo transitorio, sostituire il carbone con il metano nella produzione di energia e nella siderurgia: si otterrebbe una considerevole diminuzione delle emissioni di CO2 e di alcune sostanze perniciose. Con la pirolisi del carbon fossile, poi, si può ottenere idrogeno e carbonio in forma solida: il primo potrebbe essere utilizzato a vari scopi, e l’impatto ambientale sarebbe bassissimo. «Alla fine, il grande limite della visione europea è quello di non considerare le differenze fra i vari sistemi energetici, industriali ed economici presenti sul Continente; invece gli stessi obiettivi si possono ottenere con strumenti diversi. Insomma, occorre neutralità tecnologica» – afferma Mapelli.

 

D: Quanto all’accordo per ridurre collettivamente il consumo finale di energia, gli Stati membri assicureranno nuovi risparmi annuali dell’1,49% in media, conseguendo in modo graduale l’1,9% il 31 dicembre 2030. È un obiettivo che si può raggiungere? E con quali mezzi?

Carlo Mapelli, docente al dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano

R: Tecnicamente, è un obiettivo che può essere considerato realistico, se conseguito con la giusta strategia. Ad esempio, per i consumi domestici, recuperando energia grazie alla sostituzione delle comuni caldaie con le pompe di calore; a livello industriale, poi, si stanno portando avanti tante tecnologie in grado di recuperare il calore che altrimenti andrebbe disperso: ad esempio, dai fumi esausti si può produrre energia elettrica tramite cicli Rankine organici oppure con motori stirling di nuova concezione oppure, in alcuni casi, si possono installare sistemi di teleriscaldamento. Si tratta di soluzioni che possono riguardare settori industriali molto diversi: il vetro, il cemento, la ceramica, la metallurgia, la carta, la chimica, la petrolchimica. In buona sostanza, dovunque ci siano forni, caldaie, generatori di vapore, essiccatoi, affumicatoi, inceneritori. Ma anche vasche di frittura nel comparto alimentare.

D: Per la verità, il target è inferiore a quello del 13% proposto da RePower Eu (il piano della Commissione europea per rendere l’Europa indipendente dai combustibili fossili russi ben prima del 2030, a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina).

R: Probabilmente ci si è resi conto che si potrebbe dar vita a condizioni in cui gli investimenti sono troppo corposi, troppo pesanti, con aumenti dei costi che potrebbero trasformare un’opportunità in un freno allo sviluppo delle attività industriali.

D: Da una parte si vuole elettrificare il mondo, partendo dall’automotive, dall’altra si vogliono ridurre i consumi finali. Non è contraddittorio?

R: Tecnicamente, i due obiettivi sono separati, indipendenti: una cosa è diminuire i consumi di energia, un’altra è l’elettrificazione. Il problema grosso è che per quest’ultima nel settore della mobilità sono stati definiti dall’Unione Europea dei tempi che non sono realistici, soprattutto per quanto riguarda l’industria automobilistica. L’utilizzo di sistemi di mobilità basati esclusivamente sull’accumulo di energia all’interno di batteria può essere addirittura controproducente sotto il profilo ambientale ed economico. Un’auto elettrica richiede sei volte più minerali (alcune fra le terre rare, che sono i 15 lantanidi più lo scandio e l’ittrio) di un’auto convenzionale, e questi vengono estratti per lo più in Cina o in Paesi dell’Africa Equatoriale, in condizioni onestamente devastanti, che lasciano sul territorio ampie ferite, caratterizzati dalle presenza di composti tossici e radioattivi. Secondo uno studio dell’università di Harvard, poi, la domanda di litio e cobalto potrebbe aumentare da dieci a venti volte entro il 2050 a causa delle auto elettriche. Si stima che la domanda di disprosio e neodimio aumenterà da sette a ventisei volte nei prossimi 25 anni a causa dei veicoli elettrici e delle turbine eoliche. Da noi, in Europa, si porrà un problema molto rilevante, che è quello dello smaltimento delle terre rare, per il quale non siamo preparati. Inoltre, per trasmettere e gestire l’incremento di potenza elettrica richiesta, occorrerebbe aggiornare la rete, e ciò farebbe esplodere i prezzi di altri metalli, in particolare l’alluminio e il rame. Con questo non si vuole dire che l’elettrificazione non sia un’opportunità: ma non riusciremo mai a conseguire certi obiettivi nei tempi definiti dall’Ue, e se ci riuscissimo ciò accadrebbe a nostro danno. Occorre più realismo e meno superficialità. Alla fine, l’elettrificazione è un modello distributivo di energia, e non può essere l’unico.

Percentuale di adozione dell’auto elettrica per paese al 2035. Fonte Kpmg

D: Le risulta che Cina, India e Usa abbiano imboccato la stessa strada, in termini di riduzione dei consumi finali?

R: Gli Usa sì, insieme alla Corea del Sud e al Giappone. La Cina in modo molto timido e l’India no. Soprattutto l’ottica è diversa nel caso di Cina ed India: non cercano di risolvere il problema ambientale, ma di aumentare i margini recuperando energia. Nel mondo occidentale o in Paesi ad esso legati vi è una sensibilità ecologica diversa.

D: Per ora è stato posto un limite massimo al consumo finale dell’Unione europea, pari a 763 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, vincolante per gli Stati membri collettivamente.  È stato posto anche un limite al consumo primario (cioè a quello potenziale: gli impianti di produzione consumano energia per funzionare, e non sono esenti da sprechi e inefficienze): 993 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio. Non c’è il rischio che tutto ciò comprometta seriamente la domanda di energia da parte dell’industria?

R: Attualmente il limite è collettivo; se sarà posta una soglia a livello nazionale, il rischio c’è, eccome. Peraltro non si capisce neppure come saranno computate le energie rinnovabili, in questo contesto; è auspicabile che siano tolte dal computo del tetto, ma pare che l’orientamento sia questo. In generale, però, porre dei limiti ai consumi finali, senza fare distinzioni ed esenzioni, è molto pericoloso, perché senza energia non c’è né industria né lavoro.

Variazione della produzione di energia elettrica nello scenario delle politiche dichiarate tra il 2021 e il 2030

D: C’è chi sostiene che l’Europa punti ad una sostanziale de-industrializzazione.

R: Non credo che esista un piano per de-industrializzare l’Europa. Tuttavia, quando si pongono degli obiettivi molto elevati per la transizione green e dei termini temporali stretti per conseguirli, quando si pongono delle soglie ai consumi energetici – e si fa tutto ciò senza tener conto della neutralità tecnologica, ossia attraverso l’imposizione di alcune specifiche tecnologie, tutto ciò rappresenta un pericolo per i sistemi industriali europei ed un grosso freno all’innovazione.

D: Neutralità tecnologica?

R: Il percorso per conseguire gli obiettivi green dev’essere compatibile con i diversi modelli economici ed industriali esistenti in Europa. La riduzione delle emissioni può essere conseguita con tecnologie diverse e non con alcune soltanto imposte dall’alto. Invece si assiste ad un eccesso di regolamentazione da parte dell’Unione Europea, che definisce le strade da percorrere senza tener conto delle specificità dei singoli Paesi; e ciò comporta rischi per la competitività delle imprese. Il puntare sul cosiddetto idrogeno green, ossia quello prodotto da acqua attraverso fonti rinnovabili è un palese esempio di errore prospettico, anche perché per un paese come l’Italia è controproducente anche dal punto di vista ambientale.

Investimenti in energia pulita nello scenario delle politiche dichiarate, 2015-2030

D: Forse, l’errore più grande è stato quello di portare avanti una narrazione secondo la quale la transizione green sarà “una passeggiata”, per imprese ed utenti.

R: Infatti dev’essere chiaro che la transizione ecologica non sarà per niente una passeggiata, né sotto il profilo economico né sotto quello sotto quello dell’impatto sociale, che sarà molto evidente – a meno che non si realizzi questo passaggio epocale in modo compatibile con i diversi sistemi energetici e industriali presenti in Europa.  Nei prossimi anni, a causa dei costi imponenti della transizione e del fatto che questi pesano molto di più sulle tasche dei meno abbienti, si porrà il problema di come evitare l’ampliamento delle disuguaglianze e di come garantire la tenuta sociale dei Paesi.

D: Gli Italiani, però, non sanno che fra sovvenzioni, oneri di sistema e altro, gli attuali parchi eolici e il solare sono costati loro decine e decine di miliardi.

Impianto eolico Melowind in Uruguay. Fonte Enel Green Power

R: Non so, ma i costi di implementazione sono imponenti, e non c’è dubbio che tutto ciò abbia delle ricadute sociali.

D: La sorprende che l’export di greggio Usa sia cresciuto così tanto, a 5 milioni di barili al giorno, e che l’Europa sia diventata il primo destinatario, con una media di 1,6 milioni di barili al giorno?

R: No, è solo la conseguenza di una accorta politica di indipendenza energetica portata avanti dagli Stati Uniti. Sono stati più prudenti dell’Unione Europea, e hanno puntato anche sul fossile; quindi, con la guerra, è stato semplice per loro sostituire la Russia. Ma d’altra parte, in un periodo di transizione, non è detto che il consumo di idrocarburi sia in contraddizione con gli obiettivi ambientali.

D: Gli obiettivi ambientali sono stati fissati per fare a meno degli idrocarburi.

R: E in certi casi è un errore, gli idrocarburi ed il loro utilizzo avranno una valenza strategica nel garantire una transizione ordinata. Se si utilizzano idrocarburi per sostituire il carbone l’effetto ambientale è positivo ed immediato. Se poi si ottiene idrogeno dagli idrocarburi con cattura preventiva del carbonio, tale processo possiede impatti ambientali inferiori che quelli associati alla produzione di idrogeno con consumo di acqua dolce. Ci sono Paesi che non possono nell’immediatezza sostituire il carbone con l’idrogeno, per il quale occorrono soldi e tempi lunghissimi anche in contesti avanzati. Si pensi alla Germania o all’Italia. Ecco, utilizzando il gas naturale al posto del carbon fossile, c’è già una diminuzione di oltre il 60% delle emissioni di anidride carbonica, oltre che una forte riduzione del rilascio di composti chimici pericolosi derivanti dal carbon fossile; se poi si applicassero processi di pirolisi degli idrocarburi si otterrebbero idrogeno e carbonio in forma solida e quindi si potrebbe utilizzare idrogeno con una emissione quasi nulla di gas serra in atmosfera. Forse gli idrocarburi non sono la soluzione finale, ma di sicuro in una fase transitoria possono svolgere un ruolo importante, positivo ed irrinunciabile.














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