Energia e materie prime: l’impatto sui contratti. Tutto quello che le imprese devono sapere. By RP Legal & Tax

di Marco de' Francesco ♦︎ Che cosa deve fare un’azienda che per la crisi energetica e la carenza di raw material non rispetta i termini pattuiti? Contratti internazionali: penali o risoluzione. Fidic: yellow book, estensione solo per epidemia o atti governativi. Articolo 1467 cc: risoluzione per avvenimenti straordinari e imprevedibili. Appalti pubblici: compensazione per aumento prezzi materiali da costruzione oltre l'8%. Alstom: rischio default dei fornitori

Un tema fondamentale per la manifattura italiana, in questo particolare periodo storico, è quello dell’impennata dei costi nonché dell’irreperibilità delle materie prime. Soprattutto se visto da questa particolare angolazione: che cosa deve fare un’azienda – ad esempio un impiantista o un componentista – che a causa di ciò non riesce ad eseguire nei termini del contratto la prestazione pattuita? Perché l’inadempimento può comportare pesanti conseguenze, ad esempio risarcimenti che aggravano la posizione dell’impresa. 

Se si tratta di contratti in ambito internazionale – che sono per lo più basati sulla Common Law (un modello di ordinamento giuridico, di origine britannica, basato sui precedenti giurisprudenziali più che sulla codificazione) o “ricalcano” modelli standard – l’azienda italiana deve anzitutto vedere cosa è stato inserito ai tempi della pattuizione; perché, in assenza di clausole ad hoc – che ad esempio prevedano la dilazione dei tempi di esecuzione della prestazione al verificarsi dei citati impedimenti – non c’è troppo da fare. La Forza Maggiore, infatti, che peraltro deve essere espressamente prevista, non è sempre dimostrabile. La giurisprudenza britannica, inoltre, è scettica sull’esistenza di un obbligo di rinegoziazione del contratto al verificarsi delle citate circostanze.







Quanto ai contratti con realtà nazionali, qui emerge il tema degli appalti pubblici. Gli ultimi governi, consapevoli della situazione, hanno posto in essere sistemi compensativi; ma valgono solo negli appalti di lavori, non nelle forniture e nei servizi. Quanto ai rapporti tra aziende private, è difficile per l’appaltatore, cui il cliente finale riconosce poco o nulla, sostenere in qualche misura i suoi fornitori. Che così rischiano il default. Questo articolo trae spunto dal convegno “Contratti internazionali di fornitura di impianti – L’industria italiana alla prova delle nuove sfide” organizzato giorni fa a Bologna da RP Legal & Tax, studio legale (fondato nel 1949) con più di 150 professionisti, sette sedi in Italia e collaborazioni con primari studi a livello globale. Nell’occasione sono intervenuti Claudio Perrella e Alessandro Paci, avvocati partner dello studio ed esperti di contrattualistica e diritto commerciale internazionale, nonché l’Head of Legal and Contract Management in Alstom Ferroviaria Giovanni Battista Monteverde.  

 

Carenza di materie prime nei contratti internazionali

1)      Le possibili conseguenze dell’inadempimento

Alessandro Paci, avvocatiopartner dello studio RP Legal & Tax ed esperto di contrattualistica e diritto commerciale internazionale

Che succede quando un’azienda italiana non è più in grado di rispettare le proprie obbligazioni contrattuali a causa dell’impennata dei costi o della carenza di materie prime? I rischi potenziali possono essere due. Quanto al primo, spesso i contratti internazionali contengono penali per ritardo nell’adempimento. Negli ordinamenti di Common Law, come ad esempio il Regno Unito, si parla solitamente di “liquidated damages”, termine che indica l’importo dei danni che uno dei contraenti, in caso di inadempimento, si obbliga a pagare. Quanto al secondo, si parla di “termination by default”: è la risoluzione per inadempimento, che può essere totale o parziale, e che può avere conseguenze disastrose sulla parte inadempiente, a causa della perdita di lavoro e dell’opportunità di realizzare profitto, oltre che del danno da risarcire al compratore. «I rischi che l’azienda italiana corre in caso di mancato rispetto degli impegni contrattuali sono rilevanti, per questo è opportuno adottare adeguati strumenti contrattuali che tengano conto delle difficoltà derivanti dall’attuale contesto internazionale» – afferma Paci.  

2)      La proroga dei termini prevista nei contratti Fidic

contratti Fidic (Fédération Internationale des Ingénieurs Conseils) costituiscono oggi modelli standard tra i più utilizzati a livello internazionale nel settore construction e dell’impiantistica industriale. Ce ne sono diverse declinazioni, indicate con il titolo di libro e dal colore: giallo, rosso, blu, bianco, verde e d’oroAd esempio, quello giallo viene utilizzato quando il contractor si occupa dell’attività di progettazione e realizzazione di impianti industriali. Ecco, lo Yellow Book prevede ad esempio che il contraente abbia diritto ad un’estensione dei termini per il completamento dei lavori nel caso in cui si assista ad un’imprevedibile carenza di personale o di materie prime; tuttavia l’estensione è giustificata solamente quando il ritardo è causato da un’epidemia o da atti governativi«I modelli contrattuali più diffusi non prevedono specifiche previsioni a tutela dell’azienda costruttrice per far fronte alle difficoltà derivanti dall’attuale congiuntura internazionale» – afferma Paci.  

3)      La forza maggiore

Per liberarsi dall’obbligazione o quantomeno evitare il pagamento delle penali, l’azienda può valutare se invocare la forza maggiore. In questo caso l’azienda italiana sostiene che per ragioni imprevedibili, insuperabili, e che non dipendono dalla propria attività, non è più in grado di procedere con l’esecuzione di opere, con la consegna di beni o con la fornitura di servizi. Va sottolineato che mentre questo principio è solitamente riconosciuto negli ordinamenti di “Civil Law”, esso non è direttamente contemplato in quelli di “Common Law”: in questi sistemi, la forza maggiore deve essere espressamente indicata in apposite clausole.  E anche se il contratto contiene questa pattuizione, la possibilità di invocare la forza maggiore dipenderà dalla sua formulazione, oltre che naturalmente dalle specifiche circostanze. Dunque occorre leggere attentamente le espressioni che sono state utilizzate nel contratto. Inoltre non è semplice dimostrare la ricorrenza dei requisiti tipicamente richiesti per far valere efficacemente la force majeure: e cioè che l’impedimento sia al di là di ogni ragionevole controllo da parte dell’azienda inadempiente; che all’atto della conclusione del contratto l’evento non fosse prevedibile; e che gli effetti dell’impedimento non potessero essere evitati o superati. «Pertanto, non è semplice capire come le clausole di forza maggiore possano intercettare eventi quali la carenza delle materie prime o anche l’impennata dei costi» – afferma Paci.  

Eccessiva onerosità sopravvenuta nel diritto italiano

4)      Clausole specifiche, al di fuori dell’ambito della Forza Maggiore

Un’altra opportunità è quella di inserire, in fase di contrattazione, una clausola ad hoc, specifica, a tutela del contractor o venditore e al di fuori dell’incerto contesto della forza maggiore. In questo caso si può prevedere che al verificarsi dell’evento che ha cagionato la carenza di materie prime, su richiesta del contractor (o del seller) la prestazione di quest’ultimo possa essere eseguita in tempi più ampi senza applicazione di penali. Il problema è che non è probabile che l’azienda acquirente accetti queste condizioni. Perché mai dovrebbe farlo? Perché dovrebbe accollarsi questo rischio? «È più probabile che la parte acquirente accetti una versione diversa della clausola, che si limiti a impegnare i contraenti, al verificarsi dell’evento, ad una revisione in buona fede delle modalità di esecuzione del contratto, in modo che riflettano le nuove circostanze» – afferma Paci.

Clausole predisposte ad hoc a tutela del venditore

5)      Attenzione alle clausole di Advance Warning

Nei contratti internazionali nel settore dell’impiantistica sono solitamente inserite clausole di Advance Warning, che impongono alla parte che scopre che un evento può impattare negativamente l’esecuzione dei lavori di comunicarlo all’altra con prontezza. Talvolta si parla di pochi giorni. «Peraltro può essere richiesto che la prima debba descrivere non solo la causa del ritardo, ma anche le attività che sta ponendo in essere per mitigarne gli effetti, e che debba stimare la durata dei lavori sulla scorta delle circostanze» – afferma Paci. Se il contractor non si attiva tempestivamente, può perdere il diritto all’estensione dei tempi dei lavori.

 

È possibile rinegoziare i termini del contratto a causa del boom dei costi?  

1)      La rinegoziazione del contratto nel sistema italiano

Claudio Perrella, avvocato partner dello studio RP Legal & Tax ed esperto di contrattualistica e diritto commerciale internazionale

Chissà quante aziende hanno ricevuto una lettera nella quale un’impresa che fornisce beni o servizi, di fronte agli aumenti dei prezzi dell’energia degli ultimi mesi che hanno inciso sui costi della produzione, afferma sic et simpliciter di «ritenere indispensabile un adeguamento dei prezzi di vendita che includa almeno un parziale assorbimento dei costi aggiuntivi». In pratica, con tali lettere si applica unilateralmente una maggiorazione di costi all’azienda destinataria. «Ma a norma di legge non dovrebbe funzionare così» – afferma Perrella. Che si riferisce all’articolo 1467 del codice civile italiano, che dice che nei contratti di durata, che comportano un’esecuzione differita e protratta nel tempo, è possibile chiedere la risoluzione del contratto nel caso in cui la prestazione di una parte sia diventata eccessivamente onerosa a causa di avvenimenti straordinari e imprevedibili. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto. «In altre parole – continua Perrella – i maggiori costi dovuti alla crisi energetica non possono essere semplicemente “ribaltati” su altre aziende. L’impresa che li sperimenta deve chiedere la rinegoziazione dei contratti». Va detto, però, che il rimedio offerto dall’articolo 1467 cc è di natura eccezionale. Infatti la stessa Cassazione Civile (18 febbraio 1999, n. 1371) afferma che sono necessarie «abnormi cause di natura economica e finanziaria… il cui verificarsi non sia stato neppure implicitamente contemplato come possibile dalle parti del contratto».   

2)      C’è un obbligo di rinegoziazione nella Common Law?

Tantissimi sono i contratti di fornitura internazionale che si basano sulla Common Law. Questo modello prevede un obbligo di rinegoziazione del contratto, nei casi di impennata dei costi o irreperibilità delle materie prime? «La giurisprudenza britannica – afferma Perrella – è assai scettica su un obbligo di rinegoziazione in good faith, e cioè secondo il principio per cui bisogna agire nello spirito del contratto e secondo le ragionevoli aspettative dell’altra parte. Anche un accordo previsto nel contratto di pattuire extra costi o una dilazione dei tempi è nullo a meno che l’oggetto della trattativa (il “reasonable extra costs and extra time”) sia definito in modo specifico e possa essere determinato dal giudice in caso di disaccordo (come da sentenza Petromec Inc vs Petroleo Brasileiro SA Petrobas del 2005)». In pratica, nella Common Law gli “agreement to agree”, sono in genere ritenuti privi di efficacia, in quanto troppo vaghi e indeterminati per avere forza vincolante. Peraltro, nei contratti internazionali sono spesso inserite espressioni come “best endeavours” o come “reasonable endeavours”. In pratica, per fare un esempio, in un contratto di fornitura una parte si obbliga a compiere gli sforzi più intensi o quelli ragionevoli per adempiere la sua obbligazione nei tempi richiesti dall’acquirente. Il problema è anzitutto interpretativo: quali sono i criteri che consentono di capire se l’obbligato ha fatto veramente del suo meglio per realizzare la sua prestazione? E in ogni caso, non sempre tali espressioni comportano un dovere di rinegoziazione.

Petromec vs Petroleo Brasileiro

Rialzo dei costi e appalti pubblici in Italia

L’Head of Legal and Contract Management in Alstom Ferroviaria Giovanni Battista Monteverde

Com’è noto, il Codice contratti pubblici (d.lgs. n. 50 del 2016) distingue tra appalti di lavori, forniture e servizi. Questa distinzione si è approfondita con le misure che il governo ha preso per aiutare gli appaltatori in difficoltà a causa dell’aumento dei costi delle materie necessarie allo svolgimento della loro opera. « I meccanismi compensativi fanno espresso riferimento agli appalti di lavori, con esclusione di quelli di forniture e servizi. Forse ha pesato su questa scelta una certa impostazione storica, per cui lo stesso concetto di appalto pubblico nasce per le opere dell’edilizia; o forse si è pensato che le filiere degli appalti di lavori fossero più ampie, e che quindi “meritassero” una maggiore tutela. Comunque sia è tutto un po’ strano, perché oggi le forniture e i servizi non sono meno importanti dei lavori» – afferma Monteverde. Ma di quali misure parliamo? Il decreto Sostegni-bis (DL n. 73/2021, convertito con modificazioni dalla Legge n. 106/2021) ha introdotto un meccanismo obbligatorio di compensazione nel caso di aumento dei prezzi dei materiali da costruzione oltre la soglia dell’8% (con riferimento ai livelli del primo semestre del 2021). Le stazioni appaltanti devono far fronte alle compensazioni attraverso il ricorso alle proprie disponibilità nei limiti del 50% delle risorse appositamente accantonate per imprevisti nel quadro economico di ogni intervento. Con il decreto Sostegni Ter (d.l. 4/2022 convertito in legge 25/2022) la soglia è stata abbassata al 5%, mentre la compensazione è stata stabilita nella misura dell’80% (per la sola parte eccedente il 5%).

Con il Decreto Aiuti, per fronteggiare gli aumenti eccezionali dei prezzi dei materiali da costruzione, nonché dei carburanti e dei prodotti energetici, si fissano nuove tariffe. Si dice che anche in deroga a specifiche clausole contrattuali, si applicano i prezzari aggiornati, adottando lo stato dell’avanzamento dei lavori alla fine del 2022 come riferimento. Infine, con il Pnrr 2, si è fornita una interpretazione autentica dell’articolo 106 del Codice contratti pubblici (“Modifica di contratti durante il periodo di efficacia”), chiarendo che tra le circostanze impreviste ed imprevedibili, tali da consentire una modifica dei contratti, possono includersi quelle che «alterano in maniera significativa il costo dei materiali necessari alla realizzazione dell’opera». Queste misure hanno funzionato? «Nella nostra esperienza, no. Noi abbiamo anche appalti di lavori, ad esempio con Rfi. Anzitutto non ci sono ancora i fondi: Rfi ha riconosciuto un’anticipazione agli appaltatori di quello che è previsto essere l’aumento medio dei costi; ma ci sono anche problemi di calcolo, perché i decreti attuativi sono di difficile interpretazione e applicazione ai casi specifici. È un lavoro difficile, quello di definire quanto va riconosciuto all’appaltatore: ad esempio, se si considera l’aumento del ferro, in un appalto di lavori ci sono in realtà anche i cavi, i gabbiotti per il cemento e tanto altro ed alla fine l’indennizzo non rispecchia i veri extra costi» – afferma Monteverde.  

 

Il rischio di default dei fornitori

Alstom è supplier di lavori, forniture e servizi; ed è anche al vertice di una filiera di fornitori.  Come vanno le cose nei rapporti tra privati? «L’unica differenza che ravviso rispetto ad un appalto pubblico è che c’è la possibilità di negoziare le clausole contrattuali, e quindi c’è quella di includere clausole “a tutela”. In effetti il rapporto dipende da ciò che c’è scritto nel contratto: se è prevista una clausola di revisione prezzi o di forza maggiore o che preveda la rinegoziazione al verificarsi di eventi eccezionali, la posizione di chi deve fornire la prestazione è più solida. Il problema è che, ad esempio, le clausole che abbiamo sempre inserito non prevedevano la pandemia» – afferma Monteverde.  

E se clausole particolari non sono state inserite? «Posso parlare della nostra esperienza con il parco fornitori. Ovviamente anche noi riceviamo richieste di revisione di prezzo o di indennizzo. Il più delle volte, al momento, rispondiamo di no, salvo casi eccezionali. Il principio è che se il cliente finale non ci dà nulla, perché non riconosce l’aumento dei prezzi, è molto difficile per noi aiutare i supplier. Ad oggi riusciamo a gestire la situazione: ma il rischio è arrivare al default di diversi fornitori. Se l’inflazione continua a questi livelli, noi abbiamo pochi margini di azione» – afferma Monteverde. 














Articolo precedenteDigital twin, IIoT, edge, cloud, Ai: è così che si lavora il marmo! Con Siemens
Articolo successivoEmergenza industria ceramica: senza moratorie rischio chiusura o delocalizzazione!






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui