Emergenza industria ceramica: senza moratorie rischio chiusura o delocalizzazione!

di Marco de' Francesco ♦︎ Il fatturato 2021 ha raggiunto i 7,5 miliardi di euro per 263 aziende - tra cui Marazzi, Iris, Marca Corona, Ceramiche Caesar, Panaria Group. I prezzi di gas ed energia e l’irreperibilità delle materie prime (argilla del Donbass) stanno minando il comparto. Servono un piano europeo condiviso e una tregua sui mutui. E investimenti sulle nuove tecnologie: nuovi forni, sistemi di co-generazione… Ne parliamo con Giovanni Savorani, presidente di Confindustria Ceramica

«Occorre subito una moratoria sui mutui contratti con le banche». È l’allarme lanciato dal presidente di Confindustria Ceramica Giovanni Savorani, a seguito della crisi che ha colpito il settore, che è al contempo energivoro e gasivoro. «L’alternativa, per gli istituti di credito, è quella di avere a che fare con una miriade di insoluti. L’Abi e il governo ci ascoltino» – commenta Savorani.

L’industria della ceramica è composta in Italia da 263 aziende – tra cui Marazzi, Iris, Marca Corona, Ceramiche Caesar, Panaria Group – che occupano 26.537 addetti diretti. Il 2021 è stato l’anno del Boom: il fatturato ha raggiunto i 7,5 miliardi di euro, + 21% sul 2020; in particolare le piastrelle hanno toccato la soglia dei 6,2 miliardi di revenue, conseguendo un + 20% sul 2020 e un + 15,4% sul 2019. L’export ha fatto registrare buoni risultati, a quota 5,2 miliardi, mentre linternazionalizzazione produttiva in Europa e Nord America di aziende controllate da ceramiche italiane ha superato i 900 milioni di euro di vendite.







Nel 2022, però, dopo un primo semestre molto promettente, sono attivati i guai. la situazione è precipitata con i rincari di luglio e agosto dei prezzi dell’energia e del gas, nonché con l’irreperibilità (causata dal conflitto Russo – Ucraino) di pregiate materie prime, come le argille del Donbass. Il settore beneficia dei provvedimenti governativi che hanno stabilito crediti per l’acquisto e l’utilizzo di gas ed energia; interventi che però si sono dimostrati non adeguati alla gravità della situazione. Il rischio è quello della chiusura o della delocalizzazione di molte tra le aziende di comparto. Per saperne di più, abbiamo intervistato direttamente Savorani.  

 

D: La ceramica nel 2021 è andata bene soprattutto in Italia. Quali fattori hanno contribuito a questo risultato?

Giovanni Savorani, Presidente Confindustria Ceramica

R: Sono stati fondamentali diversi fattori: anzitutto, all’uscita dal Covid la gente ha iniziato ad investire molto nella casa. D’altra parte, è rimasta rinchiusa fra le mura per mesi, ha scoperto l’importanza di vivere comodamente in un’abitazione e ha potuto valutare quali fossero i miglioramenti da apportare. In secondo luogo, durante il Covid sono diminuite le spese che andavano in altre direzioni; ad esempio, i viaggi e le vacanze. In terzo luogo, la gente ha scoperto, in tempi di epidemia, che la ceramica è una superficie che si igienizza facilmente, più agevolmente del legno o della pietra. È un attimo, perché è liscia e ci sono prodotti appositi. Anche all’estero si è assistito ad una certa euforia immobiliare sulle ristrutturazioni: in Germania, Francia e Inghilterra; e in Italia, il 110% ha aiutato; infine, i fornitori hanno cercato di ricostituire le scorte dopo la pandemia.

 

D: La ceramica italiano rappresenta l’alta gamma mondiale?

R: L’Italia è leader nella qualità e nel design. Il settore italiano, concentrato dalle parti di Sassuolo e di Imola – Faenza per le piastrelle e di Civita Castellana (Viterbo) per i sanitari, è imbattibile, quanto ad inventiva. Il nostro prodotto ha un prezzo medio doppio rispetto alla concorrenza, e su 15 miliardi di metri quadrati di piastrelle nel mondo ne produce 450 milioni; la Cina 8,6 miliardi. Ora c’è il problema dei costi di produzione fuori controllo. Stiamo valutando un eventuale riposizionamento, ma è presto per trarre conclusioni.  

D: Quali sono le tecnologie emergenti nel vostro campo?

R: Va detto che la tecnologia utilizzata a livello globale, è tutta Made in Italy. Quanto alle macchine che utilizziamo, si pensi alle stampanti single pass a controllo digitaleGrazie a queste, le piastrelle riproducono fedelmente la brillantezza, le imperfezioni, le venature, e le sfumature delle varietà di marmo – ma anche di pietra e di legno – esistenti in natura. È esattamente ciò che chiedeva il mercato. Queste tecnologie si sono evolute, e ora sono in grado di riprodurre le venature in profondità, nel corpo del pezzo: quindi quando si levigano i bordi c’è continuità con quello che si vede sulla superficie. E non solo: si lavora anche sui rilievi. Si passa la mano sulla superficie, e si percepiscono tutte quelle irregolarità e caratteristiche tipiche del marmo – o della pietra e del legno – naturale. Si ottengono velocità molto sostenute, e ogni piastrella può avere un suo disegno differente dall’altra. Si è in grado di realizzare piccoli lotti, perché se si vuole cambiare progetto, basta sostituire un file. Peraltro la digitalizzazione ha ridotto di dieci volte i consumi di inchiostri rispetto alla serigrafia, con vantaggi ambientali. Importantissime, però, sono state altre tecnologie.

Fatturato e prezzo medio

D: Quali tecnologie?

R: Negli ultimi 20 anni il settore ha investito moltissimo in nuovi forni; inoltre, il calore viene recuperato per i bruciatori o per operazioni di essicamento. In molti casi, sono stati adottati sistemi di co-generazione. Non si spreca nulla, e il costo di produzione a metro quadrato di piastrelle per la sola energia è stato dimezzato. Prima del Covid, circa il 9% del fatturato annuo di comparto è stato utilizzato a questo fine.

D: Come sta andando il 2022?

R: Fino a giugno, è andata bene per una parte delle aziende, e per altre no. Le prime sono quelle che hanno avuto l’avvedutezza di fare contratti energetici a lungo termine; le seconde quelle che hanno ceduto al meccanismo di attendere prezzi migliori che non sono arrivati. In tutti i casi, fino a giugno il settore è cresciuto del 21% in via tendenziale. A luglio sono arrivati i guai, un po’ per tutti, con l’incremento della crisi energetica. Agosto, sotto questo profilo, è stato un disastro senza riscontri storici: è strano che il costo dell’energia sia sostanzialmente raddoppiato in un periodo in cui l’industria ha chiuso i battenti. Non credo che esista una giustificazione, in termini di domanda – offerta.

Investimenti del settore in Italia

D: Cosa non ha funzionato?

R: È evidente che le authority che si occupano di energia avrebbero dovuto intervenire prima. E poi c’è una questione politica di importanza continentale: che una borsa olandese (Il Ttf, Title transfer facility, il mercato di riferimento per lo scambio del gas e ha sede ad Amsterdam; Ndr) decida la vita e la morte dei cittadini e delle aziende europee stabilendo il prezzo del gas sulla scorta di contratti speculativi, è un’assurdità che nessuno di noi riesce a spiegarsi. La cosa ridicola è che Amsterdam movimenta piccole quantità di gas; ciononostante, il prezzo dipende da questa borsa. Mi sembra che la situazione sia sfuggita di mano ai governi, anche se a dire il vero il nostro esecutivo qualcosa ha fatto.

D: Cosa ha fatto l’esecutivo?

R: L’anno scorso la nostra organizzazione era andata a Roma per chiedere la cassa integrazione per motivi energetici, e ci è stata concessa. Evidentemente, a Roma sapevano dove si sarebbe andati a parare. Poi ci sono stati diversi provvedimenti a favore delle imprese energivore e gasivore. Nell’ultima versione, quella del Decreto Aiuti Ter, è previsto un credito del 40% delle spese sostenute per la componente energetica acquistata e utilizzata nei mesi di ottobre e novembre 2022 e per quelle sostenute per l’acquisto del gas naturale e consumato nello stesso periodo (e per usi diversi da quelli termoelettrici). Peraltro c’è anche il problema delle argille del Donbass.

Produzione per principali tipi di prodotto

D: Le argille del Donbass?

R: Le migliori: sono bellissime, e bianchissime. La ceramica italiana, che punta sulla qualità, le utilizzava prima del conflitto tra Russia e Ucraina. Ora non arrivano più. Ci siamo riorganizzati. Molte aziende hanno attivato forniture da altri Paesi, come la Turchia, l’India, e il Brasile. Ma costano molto, e la qualità non è la stessa. Altre aziende hanno preso accordi con la Germania, e le argille arrivano via treno. Anche queste costano un occhio. Comunque sia, questa è una crisi strana.

D: Una crisi strana, quella che state sperimentando?

R: Certo: la ceramica carsicamente, ogni tot anni, ha sperimentato, come tutti i settori, una crisi di volumi, dovuta alla flessione della domanda. Si pensi al 2008, come riflesso alla congiuntura finanziaria globale. Qui, invece, il problema è la fornitura: di gas, di energia, di argille. Non abbiamo formato gli anticorpi per una crisi del genere. E onestamente non abbiamo l’esperienza per dare delle risposte.

Zone di produzione in Italia

D: Cosa vi aspettate che si faccia per aiutare il vostro settore ad uscire dalla crisi?

R: Fondamentale è che si faccia una moratoria sui mutui che le aziende di comparto hanno contratto. Anche per le banche, razionalmente, la moratoria è meglio dell’insoluto: se il cliente non si salva, come fanno a rientrare nei crediti? Per questo abbiamo parlato assieme a Confindustria con le omologhe europee (soprattutto con l’associazione tedesca) – affinché si attivino per dare al settore un respiro finanziario; e con l’Abi, l’associazione bancaria italiana. Comunque, l’unico modo per uscirne è quello di spostare il problema sul piano continentale. Senza una presa di posizione europea sull’energia c’è poco da fare.

D: Cosa farete in caso di razionamento?

R: Fermate programmate per ridurre i consumi. Il nostro obiettivo, in questo momento storico, è quello del mantenimento dei posti di lavoro.  

D: A proposito del problema dell’energia: quali Paesi si possono avvantaggiare dai vostri guai?

Linea di produzione piastrelle in ceramica

R: Potremmo avere dei problemi con la Turchia, perché è un Paese competitivo: sta sperimentando un’inflazione paurosa, ma i costi restano bassi, in proporzione ai nostri, e la tecnologia è italiana. Altri Paesi in crescita, nel nostro settore, sono l’India e il Vietnam.  Potrebbero avvantaggiarsi anche la Cina, che è il primo produttore mondiale ma che sta avendo dei problemi con il Covid, e gli Usa.

D: Sempre a proposito del problema dell’energia: c’è la possibilità che aziende di settore delocalizzino per produrre in Paesi più appetibili? Dove in particolare?

R: Ci sono diverse aziende che hanno già stabilimenti produttivi negli Usa, perché altrimenti, a causa dei costi dei trasporti, perderebbero il mercato. È evidente che in questo momento la spinta a mettere qualche forno in più negli Usa, dove l’energia costa molto di meno, è molto sostenuta.  Altro Paese che un possibile target in termini di delocalizzazione è la Turchia. Di recente un fondo inglese, che in passato ha investito in Italia e in Spagna, ora lo ha fatto in Turchia: per noi è stato un brutto segnale. Significa che ci sono tutte le condizioni per investire in quel Paese.

D: C’è una soluzione tecnologica al problema dell’energia?

Anche la ceramica guarda al 4.0. Here è un software sviluppato da Sacmi per gestire in modo digitale e integrato i dati e i processi dell’industria ceramica, dalle materie prime fino alle spedizioni

R: Direi che siamo già il Paese più avanzato del mondo quanto a tecnologia verticale. Certo, con le risorse del Pnrr si potrebbe realizzare una filiera fortissima, con i costruttori di macchine, le industrie della ceramica, quelle chimiche che fanno gli smalti, le università di Bologna e Modena, e i centri di ricerca dell’Emilia Romagna. Si possono sfruttare cinque linee di ricerca previste nel Pnrr, realizzando prodotti innovativi e che comportino un minor consumo di anidride carbonica. Si potrebbe digitalizzare tutto il sistema di distribuzione per capire cosa è stato venduto e quello della logistica, lavorando con le ferrovie e il porto di Ravenna. Stiamo a vedere quello che si riuscirà a realizzare.














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