Manifattura: nel 2021 e per sempre il settore più importante di tutti

di Piero Formica* ♦︎ Nessun altro comparto (turismo, food, servizi, finanza) uguaglia l'Industria per capacità di creazione e distribuzione di valore economico, sociale e culturale. Ma che cosa cambia nel post Covid e con le nuove tecnologie abilitanti?

Con l’avvio della rivoluzione industriale la manifattura ha avuto il suo luogo simbolico nella fabbrica popolata da una massa di lavoratori e macchine. Sopra di essa il cielo è apparso stellato, ciascuna stella alludendo a un posto di lavoro creato, a una nuova macchina in funzione. Insomma, più occupazione e più investimenti. Ma non solo. Nella visione smithiana illustrata nel Libro terzo de La ricchezza delle nazioni, insieme al commercio la manifattura è portatrice di buon governo, ordine, sicurezza e libertà di cui beneficiano i ceti inferiori. Così, lo sviluppo economico ha potuto procedere a passo spedito rispetto al passato.

Nel firmamento dell’economia mondiale, la manifattura è ancora una stella molto splendente, con gradi di brillantezza influenzati da diversi fattori. Basti pensare alle tecnologie digitali che corrono spedite, travolgono quelle analogiche e influenzano profondamente i comportamenti individuali, le relazioni sociali e gli assetti industriali.







 

Economie di scala dinamiche

C’è la manifattura nel futuro della crescita e dell’innovazione. L’aumento della domanda di beni manifatturieri stimola il progresso tecnico, fa crescere la produttività e gli investimenti. Questa relazione era stata messa in luce sin dai primi anni Sessanta del Novecento dall’economista di Cambridge Nicholas Kaldor. Inoltre, è il boom del settore manifatturiero che permette l’espansione delle esportazioni. Anche quando, come negli Stati Uniti, l’industria manifatturiera rappresenta appena l’11% del prodotto interno lordo e l’8% dell’occupazione diretta, è dalla manifattura che dipendono il 20% degli investimenti di capitale del paese, il 30% della crescita della produttività, il 60% delle esportazioni e il 70% della ricerca e sviluppo delle imprese, secondo i dati del McKinsey Global Institute.

I produttori manifatturieri contribuiscono per il 20 per cento in più della media al reddito da lavoro e molto dislocano geograficamente la creazione di valore, grazie alle loro catene di fornitura e alla necessità di spazio fisico e di investimenti in beni tangibili. I benefici recati dalla manifattura sono, dunque, un soffio, un respiro vitale, che persiste nell’anima delle grandi nazioni esportatrici. Oltre agli USA, la Cina e il Giappone, la Germania e l’Italia. Nell’età entrante di forte interazione tra la salute dell’economia e la salvaguardia della natura, acquistano un valore strategico, al di sopra di quello di mercato, le aziende biotecnologiche, le produzioni dei dispositivi medici e ambientali, degli strumenti di precisione e delle apparecchiature di comunicazione.

I produttori manifatturieri contribuiscono per il 20 per cento in più della media al reddito da lavoro e molto dislocano geograficamente la creazione di valore, grazie alle loro catene di fornitura e alla necessità di spazio fisico e di investimenti in beni tangibili. I benefici recati dalla manifattura sono, dunque, un soffio, un respiro vitale, che persiste nell’anima delle grandi nazioni esportatrici. Oltre agli USA, la Cina e il Giappone, la Germania e l’Italia

 

Rendimenti in crescita e produzione snella

Non è più ferrea la legge dei rendimenti decrescenti nell’industria manifatturiera. Tanto più cresce il contenuto digitale della produzione, tanto più scende il costo di produzione. Già alla fine dell’Ottocento, la manifattura aspirava al flusso continuo, al tutto che dovrebbe fluire dalla materia prima al cliente. Henry Ford, un pioniere del flusso continuo, ha scritto un libro pubblicato nel 1926 intitolato “Today and Tomorrow” in cui ha così delineato la visione della produzione e della creazione di valore per il cliente che esemplifica la sua filosofia dello spreco:

“Ordinariamente, il denaro messo nelle materie prime o nelle scorte finite è pensato come denaro vivo. È denaro nel business, è vero, ma avere scorte di materie prime o prodotti finiti in eccesso rispetto al fabbisogno è uno spreco che, come ogni altro spreco, si traduce in prezzi alti e salari bassi”. Se non si aggiunge valore, c’è spreco.

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Produzione personalizzata e distribuita

Pur conservando la loro appetibilità, le economie di scala devono confrontarsi con una lezione impartita dal Covid-19. Produzioni e mercati di massa scivolano verso attività produttive e commerciali personalizzate, composte di piccoli lotti, svolte in prossimità dei clienti e con modalità flessibili, facendo leva sulle tecnologie di stampa 3D. Bram de Zwart, co-fondatore di 3D Hubs, una piattaforma olandese di produzione online che offre l’accesso on-demand a una rete globale di partner di produzione per una gamma di servizi tra cui la stampa 3D, sostiene: “Perché dovresti mettere mille macchine in un posto quando puoi mettere una macchina in mille posti?”

Con il dialogo tra la tecnologia della stampa a tre dimensioni e la tecnologia blockchain (catena di blocchi) che trasporta informazioni rese sicure e non modificabili, i consumatori potranno attivarsi per agire contestualmente da produttori e acquirenti di ciò di cui avvertono il bisogno. Si profila così la figura del “prosumer” (produttore e consumatore insieme) con cui le imprese dovranno misurarsi. Per quanto possa appare futuribile fabbricare la nostra autovettura nel garage di casa, all’orizzonte s’intravede una lunga coda di beni che potranno essere prodotti in proprio e personalizzati.

Motivazioni per l’adozione dell’additive manufacturing. Fonte Sps

Internet delle cose

Nel futuro della manifattura un altro protagonista di primo piano è l’Internet delle cose (IdC) che dimostra come l’impatto economico e sociale scaturito dalle connessioni intelligenti si sia sviluppato con sorprendente rapidità. La connettività che solo l’altro ieri era accesso digitalizzato all’informazione è oggi il mondo digitalizzato, ovverossia l’IdC che connette persone, processi, dati e cose. Mediamente ci sono circa 200 cose pro-capite nel mondo. Il 64% delle cose si trovano nelle economie sviluppate anche se si tratta di paesi che insieme rappresentano solo il 14% della popolazione mondiale. A poco meno della metà dello scorso decennio, Cisco Consulting Services stimava che IdC mettesse in palio 14,4 trilioni di dollari di cui 9,5 (66%) generati da singole industrie e 4,9 (34%) da interazioni tra industrie diverse. L’utilizzazione degli asset era data in miglioramento per 2,5 trilioni e nello stesso ordine di grandezza la produttività del lavoro; di 2,7 la logistica delle catene d’offerta e di 3,7 il livello di soddisfazione dei consumatori.

Oggi, sempre più persone possono connettersi in modo efficace. I processi danno giusto in tempo le informazioni giuste alle persone giuste. I dati si trasformano in informazioni sempre più utili per prendere decisioni. Le cose si presentano come dispositivi digitali e oggetti connessi a Internet e tra di loro, così consentendo di prendere decisioni intelligenti. L’IdC insegna al cliente come originare più valore e, di conseguenza, fornisce all’azienda gli strumenti informativi per produrre ciò che il cliente esige. Più complesso è il prodotto, più possibilità ha l’azienda di imparare ciò che fa la differenza.

Il mercato IoT in Italia. Fonte Osservatorio Internet of Things della School of Management del Politecnico di Milano

Automazione e posti di lavoro

Qui si apre uno scenario controverso. Un rapporto del World Economic Forum risalente al 2018 ha previsto che tra quell’anno e il 2022, “75 milioni di posti di lavoro potrebbero essere soppressi in conseguenza di un cambiamento nella divisione del lavoro tra umani e macchine, mentre potrebbero emergere 133 milioni di nuovi ruoli più adatti alla nuova divisione del lavoro tra umani, macchine e algoritmi”. Secondo la Federazione Internazionale della Robotica, l’adozione dei robot in settori come la produzione di auto risulterà in una crescita netta dell’occupazione.

Per contro, le ricerche condotte dal McKinsey Global Institute e dall’IZA, un think tank tedesco, giungono alla conclusione che il 14% e il 35% dei lavori, rispettivamente, sono vulnerabili all’automazione. Carl Benedikt Frey e Michael Osborne dell’Università di Oxford stimano che quasi la metà dell’occupazione statunitense è a rischio. Nei paesi a reddito elevato, prima si è registrato un declino secolare della quota relativa di posti di lavoro in fabbrica e successivamente al 1980 una caduta del loro numero assoluto. Ad eccezione dei settori con la più bassa produttività del lavoro, la produzione manifatturiera è aumentata, non così l’occupazione.

L’Automazione industriale manifatturiera e di processo per principali segmenti. Fonte Anie

Esperienza e apprendimento

Cumulando esperienza, aumenta di parecchio (si è stimato tra il 20 e il 30 per cento) l’efficacia dei costi del processo produttivo. Con l’apprendimento che si allarga e si approfondisce, la produttività sale. Costi in discesa e produttività in ascesa sempre più dipendono dalla capacità degli operatori di utilizzare i simulatori digitali e testare modi innovativi per migliorare il tasso di esecuzione. Mente e materia ben combinate permettono di migliorare l’andamento dei costi e della produttività dell’impianto di produzione.

L’accelerazione della digitalizzazione e del lavoro a distanza, determinati dalla pandemia Covid-19, hanno aumentato l’esigenza di reskilling. Il 50% circa degli intervistati (in Italia il 62%) desidera sviluppare un approccio di apprendimento continuo (lifelong learning). Fonte Hp

Il peso ingombrante delle Superstar

I giganti della manifattura, le Superstar, oscurano i loro fornitori, specialmente le piccole e medie imprese, quando si tratta di remunerare le attività da queste ultime svolte per conto dei grandi. Pagando meno i fornitori in percentuale delle loro entrate, le superstar mettono in difficoltà le pmi che sono ad alta intensità di lavoro. Valutazioni vertiginose attraverso la finanziarizzazione dell’economie e potere monopolistico dei colossi industriali non permettono di beneficiare come si dovrebbe i fornitori e l’ampia gamma di stakeholder. La ricchezza generata dalla manifattura è tanta, ma la sua condivisione lascia molto a desiderare. Ciò è causa di forti tensioni sociali oltre che economiche.

 

Verso il futuro

L’intelletto non può viaggiare verso il futuro con le spalle rivolte all’indietro e cariche di tanto peso. Con un tale comportamento si impiegherebbe tanto tempo da perdere di vista l’obiettivo di far avanzare le conoscenze. L’esperienza conta fino a un certo punto. Essa, affermava il filosofo Paul Feyerabend ripercorrendo il pensiero di Aristotele, “è ciò che percepiamo in circostanze normali in un ambiente normale e che descriviamo con parole di uso abituale”. Gli eventi estremi sospingono l’essere umano fuori dalla normalità. La rivoluzione industriale è stata innescata dalla tecnologia del vapore e, più tardi, dall’elettrificazione che ha favorito il progresso della manifattura. L’intreccio tra scienze, tecnologie e le arti è l’energia che ha scatenato la rivoluzione della conoscenza. La conoscenza in azione è la fonte energetica che accende e muove i valori della manifattura.

 

*Piero Formica è Professore di economia della conoscenza, Senior Research Fellow dell’International Value Institute presso la Maynooth University in Irlanda. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale














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