L’interconnessione in un componente chiave delle macchine utensili: al via Electrospindle 4.0 by Hsd Mechatronics

di Marco de' Francesco ♦︎ Pienamente operativo il lighthouse plant del CFI. Lo stabilimento ha un duplice obiettivo: realizzare elettromandrini sensorizzati e digitalizzati, che trasmettono una pluralità di informazioni relative a diverse grandezze da “incrociare” in un apposito data lake; creare una linea di produzione Zero Defects che riguarda aziende a monte e a valle. Il risultato previsto è la realizzazione di una filiera interconnessa e avanzata. La Zed Control Room e lo smart tester

Mandrini

Prende corpo, dopo anni di studio e preparazione, il progetto Electrospindle 4.0 del Lighthouse Plant Hsd Mechatronics. La società marchigiana guidata dal ceo Fabrizio Pierini, 80milioni di fatturato, è parte di Biesse Group di Pesaro, leader nella tecnologia per il trattamento di legno, vetro, pietra, plastica, metallo e materiali avanzati e quotata in Borsa nel segmento Star da giugno 2001. Hsd è il secondo produttore mondiale di elettromandrini, dispositivi per macchine utensili destinate appunto a realizzare quelle lavorazioni. Hsd è un protagonista del mondo delle macchine utensili e, in generale, del machinery, mondo che, come Industria Italiana ha scritto più volte, rappresenta una colonna del manifatturiero italiano, insieme a componentistica auto, chimica e farmaceutica, siderurgia.

Il progetto, delineato nei dettagli nel corso del recente evento “Zero Defect: Manufacturing Lighthouse plant”, ha un duplice obiettivo. Il primo è la realizzazione di una nuova generazione di elettromandrini, del tutto sensorizzati e digitalizzati, in grado di trasmettere una pluralità di informazioni relative a diverse grandezze da “incrociare” in un apposito data lake. Il secondo è la creazione di una linea di produzione Zero Defects che riguarda aziende a monte e a valle: nel data lake, infatti, saranno convogliati anche i dati dei componenti mission critical (dei fornitori) e quelli dei test di qualità (delle imprese clienti), in modo da intercettare le imperfezioni e puntare al miglioramento continuo. Perciò, il risultato previsto è la realizzazione di una filiera interconnessa e avanzata.







Fabrizio Pierin, ceo di Hsd Mechatronics

Come vedremo meglio dopo, il piano comporta l’implementazione di tecnologie innovative: AI, machine learning, digital twin e altre. E il contributo di due atenei, l’Università Politecnica delle Marche e la Sapienza di Roma; nonché quello di En4, piccola realtà tecnologica (12 persone) umbra nata come spin-off dell’università di Perugia. Alla fine dello scorso anno, in vista della definizione del progetto, Hsd Mechatronics è diventata un Lighthouse Plant del Cluster Nazionale Fabbrica Intelligente (Cfi), l’associazione che – presieduta dal cdo di Ansaldo Energia e ceo di Ansaldo Nucleare Luca Manuelli – riunisce aziende, regioni, università ed enti di ricerca (in buona sostanza tutti gli stakeholder del settore) con l’obiettivo di creare una comunità manifatturiera avanzata, stabile e competitiva.

I Lighthouse sono anche dimostratori tecnologici: hanno il compito illustrare gli sviluppi di tecnologie “pratiche”, a far constatare a imprese più piccole (in genere appartenenti alla loro filiera, o comunque presenti sul loro territorio di riferimento) che certe applicazioni sono efficaci. Hsd è stata la prima media azienda ad assumere questa qualifica, dopo multinazionali Abb, Tenova-Ori Martin, Hitachi Rail e Ansaldo Energia.  Di recente, la lista dei Ligthuouse del Cluster Fabbrica Intelligente si è arricchita con Wärtsilä Italia.

Tavola Rotante 5 assi Hsd

Per Manuelli «con il Lighthouse Plant di Hsd, il Cluster Fabbrica Intelligente riafferma la sua missione di accompagnare l’evoluzione delle industrie manifatturiere italiane verso le prossime frontiere tecnologiche indispensabili per competere ed affidando la missione di Impianto Faro ad eccellenze italiane di dimensione più contenuta, dopo le grandi aziende capo-filiera con il quale il Cluster ha avviato le Fabbriche Faro di prima generazione». L’attività dei Lighthouse ha un considerevole effetto moltiplicatore sulla filiera: perché l’impianto faro svolge un ruolo di innovatore a beneficio della comunità manifatturiera, contagiando, con le proprie tecnologie, le aziende del territorio. Secondo Manuelli, il progetto è strettamente connesso a tematiche portate avanti dal Cluster.

Ad esempio «la resilienza, la digitalizzazione e la sostenibilità industriale sono i cardini della visione di “Produrre un Paese Resiliente e Sostenibile”», documento «indirizzato dal Pnrr» e diretto al decisore politico con l’obiettivo di rendere le imprese capaci di reagire agli imprevisti e di superare eventi traumatici, come il Covid-19. Infatti, sempre per Manuelli, «la focalizzazione dell’applicazione delle nuove tecnologie digitali verso un modello “Zero Defects” implica minori sprechi e riutilizzabilità di un componente o di un bene in una seconda vita in una logica pienamente sostenibile». Già ai tempi del Piano Calenda, il Mise aveva affidato al CFI il compito di selezionare gli Impianti Faro. Occorre poi che l’accordo di innovazione, quello che definisce la mission del Lighthouse e le tecnologie abilitanti che si intendono sviluppare, sia formalizzato da Mise, azienda e eventualmente dalle Regioni coinvolte. Un anno fa l’allora titolare del dicastero, Stefano Patuanelli, ha firmato il decreto autorizzativo relativo all’accordo su Hsd: prevedeva investimenti per 11 milioni, 3,6 dei quali coperti dal ministero.

Il progetto, delineato nei dettagli nel corso del recente evento “Zero Defect: Manufacturing Lighthouse plant”, ha un duplice obiettivo. Il primo è la realizzazione di una nuova generazione di elettromandrini, del tutto sensorizzati e digitalizzati, in grado di trasmettere una pluralità di informazioni relative a diverse grandezze da “incrociare” in un apposito data lake. Il secondo è la creazione di una linea di produzione Zero Defects che riguarda aziende a monte e a valle: nel data lake, infatti, saranno convogliati anche i dati dei componenti mission critical (dei fornitori) e quelli dei test di qualità (delle imprese clienti), in modo da intercettare le imperfezioni e puntare al miglioramento continuo. Perciò, il risultato previsto è la realizzazione di una filiera interconnessa e avanzata

Lelettromandrino interconnesso

1)     Che cos’è l’elettromandrino e a cosa serve

Il presidente del CFI Luca Manuell

Hsd già produce l’elettromandrino e-core, un motore elettrico in grado di trascinare in rotazione un utensile per eseguire lavorazioni sul pezzo: smerigliatura, affilatura, trapanatura, fresatura, filettatura, rettificazione. Opera in frequenza, perché variando quest’ultima si possono ottenere prestazioni diverse, a seconda del tipo di trattamento. L’azienda è stata fondata per realizzare questo strumento. Trent’anni fa il gruppo Biesse decise di dar vita ad una impresa per sviluppare il componente, che è “strategico” dal momento che è presente in una pluralità di macchine utensili. Ora, grazie ad avanzamenti nella meccatronica, e cioè in quella tecnologia che unisce competenze meccaniche, elettroniche e informatiche, il dispositivo è in grado di “leggere” le principali grandezze fisiche relative al pezzo che si va a lavorare: ad esempio, la temperatura.  E l’intelligenza intrinseca di cui il mandrino è dotato è in grado di rilevare le differenze in gioco, e quindi comunica alla macchina queste informazioni; quest’ultima, a sua volta, modifica la posizione dei tre assi xyz in modo da compensare i possibili scostamenti.

 

2)     Come sarà l’elettromandrino al termine del progetto

HSD Elettromandrino. Hsd è il secondo produttore mondiale di elettromandrini, dispositivi per macchine utensili destinate appunto a realizzare quelle lavorazioni

Ciò che si vuole realizzare è la totale digitalizzazione dell’elettromandrino. L’obiettivo del progetto è invece quello di mettere in correlazione le informazioni raccolte da sensori posti su più device, in modo da ottenere insight che altrimenti non sarebbero mai rilevati. Ad esempio, se una dimensione non raggiunge una certa soglia, l’informazione non viene attualmente raccolta ed elaborata. E se più grandezze presentano contemporaneamente valori anomali, ad oggi non si è in grado di stimare in anticipo gli effetti di tali variazioni. Bisogna interpretare al contempo tutte le forze in gioco. Circa le tecnologie coinvolte, se ne parlerà in seguito.

 

Il progetto zero defect

1)     L’obiettivo Zero Defects e la Zed Control Room

Pierini, nel definire l’obiettivo del progetto, ha utilizzato termini cui abbiamo accennato all’inizio: per il ceo di Hsd si tratta di creare «una filiera digitalizzata, interconnessa, intelligente, resiliente, focalizzata sulla qualità e sul time-to-market». La capacità di produrre in modalità “Zero Defects” riguarda perciò una pluralità di aziende che si scambiano dati e dipende dalla capacità di estrarre valore da queste informazioni. Ma in pratica, come si intende conseguire questo traguardo?

La sede di Hsd

Così: convogliando (grazie al Cloud Hsd) e incrociando dati e numeri nella stessa cabina di regia, la Zed Control Room. Questa è la destinazione finale di informazioni relative alle componenti critical to quality del mandrino, che sono fornite dai supplier dell’azienda; ma anche quelle concernenti i processi interni di di Hsd e quelle inerenti al funzionamento delle macchine utensili nonché ai i test di qualità e alle attività di collaudo che si verificano a monte e a valle dell’azienda. È qui, nella Zed Control Room, che si intercettano errori e imperfezioni che possono essere catalogate e corrette. Inoltre le imprese della filiera si impegnano ad esercitare un controllo di qualità sul componente di propria produzione, con sensori, telecamere, misure laser, analisi vibrazionali, monitoraggi di temperatura ed altro. In pratica, la produzione del mandrino diviene parte di un unico processo linearizzato e sistematicamente ispezionato in modo sequenziale lungo tutta la catena del valore.

 

2)     La filiera di Hsd

La filiera è composta, a monte, da circa 150 fornitori. A valle, tra i clienti stranieri, DaimlerTeslaBoeingBell HelicoptersSamsungLG, BuffaloHaasTrimill,  C.R. Onsrud; tra quelli italiani, BiesseMasterwoodMecalFagimaBacciFom Industrie e altri costruttori di macchine utensili.

 

3)     I risultati attesi

Paolo Galli, Hsd product & innovation manager

Secondo Paolo Galli, Hsd product & innovation manager, «ci si attende un miglioramento dell’affidabilità del prodotto, e anche della sua vita operativa, grazie all’introduzione di nuove metodologie per l’individuazione dei guasti». Sempre per Galli, «tutti i membri della filiera vedono le stesse informazioni, per cui è improbabile che si verifichino contestazioni sui risultati».

4)     Grazie all’elettromandrino digitalizzato, i costruttori di beni strumentali possono fare il salto verso le macchine interconnesse

In particolare, secondo il docente al dipartimento di meccanica del Politecnico di Milano nonché presidente del comitato scientifico di Cfi Tullio Tolio, «grazie all’innovazione che l’elettromandrino digitalizzato esprime i costruttori di beni strumentali possono fare il salto verso le macchine interconnesse.

La produzione in Hsd

Si assiste ad un effetto amplificatore enorme e ad un salto tecnologico significativo. Il Lighthouse fa crescere il territorio coinvolgendo la filiera e anche altre piccole realtà (ad esempio, start-up o scale-up) tramite le attività di open innovation (approccio strategico in base al quale le aziende, per essere più competitive, decidono di fare ricorso a competenze e idee esterne al proprio perimetro)». 

Secondo Tolio, gli effetti dell’attività del Lighthouse non sono destinato a concludersi nei tre anni previsti dall’accordo di innovazione, perché «l’Impianto Faro è un abilitatore per successivi sviluppi». Innesca, cioè, dei meccanismi a lungo termine di ottimizzazione e di miglioramento di filiera. Peraltro, potrebbero essere studiati e messi in pratica nuovi modelli di business, «grazie a nuovi servizi resi possibili dall’interconnnessione degli elettromandrini e delle macchine che ne fanno uso: si pensi al pay per use (sistema di pagamento a consumo)».  

 

5)     La sostenibilità in tre declinazioni

Si accennava all’inizio ad un obiettivo ulteriore, che nella pratica sarà portato avanti grazie alle competenze dell’Università Politecnica delle Marche: quello della sostenibilità. Il traguardo, secondo il docente di disegno e metodo di ingegneria industriale nonché delegato del rettore per la terza missione dell’ateneo Michele Germani, si declina in «sostenibilità ambientale, tenendo conto sia del prodotto che del processo; sociale, per rendere il lavoro più confortevole all’interno dell’azienda; ed economica, con soluzioni cost-oriented e ispirate alla servitizzazione dei beni».   

Michele Germani, docente di disegno e metodo di ingegneria industriale dell’Università Politecnica delle Marche

Proprio nel corso del citato evento da cui trae spunto l’articolo è stato lanciato un nuovo Corso di Laurea triennale in Ingegneria per l’Ecosostenibilità Industriale, che l’ateneo marchigiano avvierà nel 2022 in collaborazione con Hsd e altre aziende locali. Il corso avrà sede a Pesaro-Fano ed avrà l’obiettivo di formare un ingegnere industriale in grado di progettare e realizzare prodotti e processi eco-sostenibili e ad elevata efficienza energetica, driver strategici per la concezione di beni e servizi nei prossimi anni.

 

Tutte le tecnologie coinvolte nel progetto

1)     Lo smart tester

Chi testerà l’elettromandrino 4.0? Ci penserà la citata EN4. Questa sviluppa banchi di prova per industrie automobilistiche, manifatturiere e meccaniche, sia per applicazioni R&D che per fine linea di produzione. Secondo il director of manufacturing di EN4 Nicola Mariucci serve «uno strumento particolarmente avanzato, uno smart tester, a causa dell’ingente trasferimento di dati dal campo e della comunicazione bidirezionale tra le aziende coinvolte nel progetto».

 

2)     L’intelligenza artificiale e machine learning

Tiziana Catarci, docente di informatica e ingegneria della Sapienza

Chi, nel progetto, si occuperà delle tecniche di intelligenza artificiale? La Sapienza di Roma. Con quale approccio? L’AI è costituita da software (talora utilizzati in collaborazione con hardware) che sono in grado di percepire l’ambiente che li circonda, acquisire ed interpretare dati, e formulare decisioni basate sull’evidenza raccolta per raggiungere un obiettivo prefissato.  Fanno delle scelte che potrebbero essere assimilate a quelle degli umani. «Ma siamo molto lontani da Hal 9000 – ha affermato Tiziana Catarci, docente di informatica e ingegneria all’ateneo capitolino – il supercomputer di Odissea nello Spazio.  Attualmente, per ogni problema da risolvere, occorre un algoritmo, che è un particolare procedimento di risoluzione a step». Si punta, più che altro, sul machine learning. È l’apprendimento automatico: il sistema impara dall’esperienza. È in grado di svolgere ragionamenti induttivi, elaborando regole generali definite associando l’input all’output corretto. Ciò che si vuole evitare, è che l’analisi sia affidata in toto a algoritmi black box: «Ci sarà sempre un contributo attivo dell’essere umano nelle scelte. È questo il meccanismo che cerchiamo di adottare con Hsd».

 

3)     IoT, edge, fog e Cloud

Secondo Massimo Mecella, docente al dipartimento di ingegneria informatica della Sapienza, «i dati, raccolti con tecnologie IoT, saranno analizzati a tre livelli differenti: at the edge (alla fonte, e cioè su un computer posto in prossimità della macchina), fog (dall’elaboratore della fabbrica) e Cloud (quando l’esame viene realizzato grazie a capacità computazionali virtualizzate)». Le indagini più sofisticate saranno svolte nel Cloud Hsd.

 

4)     L’architettura Rami e il digital twin

Gianluca Drudi, research & development Hsd

Quale modello di architettura si utilizza nel progetto? Quello definito “Rami” (acronimo di “Reference architecture model industrie 4.0”), che richiede una rappresentazione tridimensionale: l’asse verticale descrive i componenti IT nell’Industria 4.0; quello orizzontale sinistro mostra la durata dei prodotti; quello orizzontale destro illustra le responsabilità e gli oneri che il business deve sostenere. «Un concetto base del modello è quello dei digital twin» – ha affermato Francesco Leotta, anche lui docente al dipartimento di ingegneria informatica della Sapienza. Ma di che si tratta? Di repliche digitali di entità fisiche, l’alter ego di dispositivi, infrastrutture, sistemi, prodotti e processi industriali. Grazie alla raccolta e all’elaborazione di dati, la copia virtuale che ne deriva è una rappresentazione dell’oggetto in tutte le sue caratteristiche funzionali, dall’elettronica alla meccanica, dalla fluidica alla geometria. 

«In genere – ha continuato Leotta – il digital twin è un simulatore. Si possono imitare le prestazioni presenti e future, a variate condizioni. Dunque, questa tecnologia è anche utile in termini di manutenzione preventiva». Secondo Gianluca Drudi, research & development Hsd, il digital twin è una tecnologia cardine per il conseguimento dell’obiettivo Zero Defect: «Grazie alla simulazione, infatti, si può ottimizzare il funzionamento non solo del prodotto, ma di tutti i componenti».














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