Intelligenza artificiale e innovazione: utopia o distopia?

di Piero Formica* ♦︎ Riuscirà l’Ia a valicare il confine tra lo stato additivo e quello generativo, generando idee originali così valide da non lasciare adito a perplessità? Una domanda filosofica ma soprattutto etica. Perché oggi la tecnologia è in grado di rispondere alle nostre domande, ma presto potrà generare pensieri originali, anche superiori a quelli degli umani. Con il rischio di accentuare ulteriormente le disuguaglianze

Gli eventi dell’industria sono scanditi dall’orologio a pendolo che oscilla tra il miglioramento delle pratiche adottate e il loro cambiamento radicale. A far muovere il pendolo molto contribuisce la ricerca. In Italia, la quota di R&S delle università e degli istituti di istruzione superiore finanziata dall’industria è storicamente tra le più basse nell’ambito dei paesi Ocse. Con l’intelligenza artificiale che si insinua nei meccanismi di oscillazione del pendolo, dovrà essere spostata più avanti la frontiera degli investimenti industriali in ricerca, sia nel mondo del probabile che nel mondo del possibile.

L’industria si muove con familiarità nel mondo del probabile ed esplora con curiosità il mondo del possibile

Nel primo mondo, qualcosa non è solo possibile, ma è anche probabile che abbia più possibilità di avvenire anziché no. La probabilità è frutto di un calcolo matematico. Nel secondo, qualcosa potrebbe accadere ma non sappiamo quanto sia probabile.







«Nella mente del principiante ci sono molte possibilità; nella mente dell’esperto ce ne sono poche», diceva Shunryū Suzuki, monaco e maestro zen di Sōtō. Albert Einstein riteneva che quanto più si diventa esperti e famosi, tanto più si è stupidi; «l’intelletto si storpia, ma la fama scintillante è ancora drappeggiata intorno al guscio calcificato» – come riporta Walter Isaacson nella sua biografia dell’illustre fisico (Einstein: His Life and Universe. New York, NY: Simon & Schuster, 2007). Questa è la conseguenza dell’esperto che scende nel buio più profondo del pozzo della conoscenza parcellizzata. La sindrome del pozzo agisce come una barriera che impedisce all’esperto di praticare lo sport del contatto tra scienze umane e scienze. Una volta usciti dal pozzo si intrecciano e si fondono le forme di conoscenza più disparate. Si acquisiscono nuovi patrimoni cognitivi che gli stessi protagonisti trasformano in imprenditorialità innovativa.

L’innovazione incrementale, quella che migliora i contesti esistenti e viene incontro ad esigenze espresse, è probabile. L’innovazione radicale, quella che dischiude contesti inediti e soddisfa richieste latenti, è possibile

L’economista John Maynard Keynes (Fonte: Wikipedia)

Il dubbio e l’incertezza sono coperti dal velo della conoscenza accumulata nel tempo. Facendo il necessario per salvaguardare la continuità, l’incrementalista (l’innovatore incrementale) è abile nell’esercitare l’arte della previsione. Questa tecnica è tanto più ardua quanto maggiore è l’orizzonte temporale. Le previsioni basate sul “tendenzialismo” (una tendenza che non è destinata a continuare) sono una luce che, pur corroborando il proprio punto di vista, può essere ingannevole. L’incrementalista è indotto a guardare dove essa si diffonde rapidamente, ma non è lì che si trova l’innovazione che cambia il mondo. Indossando questa veste culturale, i sacerdoti dell’incrementalismo calcolano il tempo in base a considerazioni finanziarie che riflettono il rendimento atteso dell’investimento. I loro calcoli riflettono il pregiudizio che le perdite facciano più male di quanto i guadagni della stessa entità portino benefici. Per non parlare del fatto che, come ammoniva l’innovatore degli investimenti John Maynard Keynes, «la saggezza orale insegna che è meglio per la reputazione fallire in modo convenzionale che avere successo in modo non convenzionale”» (The General Theory of Employment, Interest, and Money, capitolo 12, “The State of Long-Term Expectation”. London: Palgrave Macmillan, 1936).

Nella Silicon Valley, gli incrementalisti sono chiamati “braccianti”, cioè coloro che lavorano giorno per giorno raccogliendo i frutti più bassi, cioè gli operatori di Wall Street concentrati sui risultati trimestrali prodotti dalle aziende.

L’innovatore incrementale manca di motivazioni oltremisura (non è esagerato) e si chiude in se stesso. È, dunque, soggetto a sindromi. Qui ricordiamo la sindrome della vela e la sindrome della carrozza

La sindrome della vela è termine derivato dalla perseveranza dei costruttori di velieri nell’investire in una tecnologia da tempo in uso, nella convinzione che i piroscafi non fossero altro che un brutto anatroccolo. Di questa sindrome una lucida esposizione si deve a Carlo Maria Cipolla, tra più noti storici dell’economia nel suo saggio Guns, Sails, and Empires: Technological Innovation and the Early Phases of European Expansion, 1400-1700, London: Collins, 1965.

Secondo un articolo del New York Times del 22 giugno 1902, «Cinque o sei anni fa […] c’erano meno di cinquanta veicoli a motore di vari modelli (tipi, modelli) in tutta quella che ora è la Grande New York. Sembrava che non sarebbe stato facile convincere le persone abituate a viaggiare in carrozza a passare all’automobile». Appena due decenni dopo, tuttavia, le automobili si erano diffuse oltre le più rosee aspettative. Il 6 giugno 1924 il New York Times riportava che i 23 milioni di dollari di capitale investiti 20 anni prima nell’industria automobilistica avevano un valore di quasi 2 miliardi di dollari nel 1919 e che il numero di lavoratori del settore era passato da 13.000 a 161.000.

L’Intelligenza Artificiale (Ia) si muove nel mondo della probabilità, a fondamento dell’apprendimento automatico, per ricombinare in modi migliorativi le idee familiari

Nel mondo della probabilità, l’Ia è additiva: si concentra, come l’emisfero sinistro del cervello, sull’analisi sistematica e logica che viene accelerata dall’automazione rispetto ai tempi che occorrono agli esseri umani per portarla a compimento. Il suo è un pensiero rivolto ad esplorare specifici set di dati. Secondo le istruzioni dettate dai progettisti di algoritmi, l’Ia additiva raccoglie, analizza informazioni e ne elabora i dati per ottenere un particolare risultato. Non potendo deviare dal tragitto tracciato dai progettisti, il suo cammino e le sue azioni sono prevedibili. L’utilità del raggiungimento dei risultati che le vengono richiesti è percepita alta nelle attività che premiano anzitutto la precisione – si pensi a settori della medicina, dell’ingegneria e della finanza – sull’apertura mentale alle più variegate interpretazioni cui si concedono quanti sono alla ricerca di prospettive originali e di soluzioni inaspettate per estendere le frontiere della conoscenza umana.

Per addestrare ChatGpt viene usato un modello di reinforcement learning in tre passi, come spiegato in questo schema

Intanto, cospicue risorse finanziarie vengono convogliate verso modelli di Ia basati sull’apprendimento automatico per rendere l’interazione con l’intelligenza umana più naturale e intuitiva. ChatGpt, il nuovo modello di “Generative Pretrained Transformer” di OpenAi (un’azienda di ricerca e sviluppo dell’intelligenza artificiale, posseduta dai magnati del digitale) è il caso più famoso. ChatGpt e altri strumenti di apprendimento automatico a volte simulano una conversazione, colgono le sfumature del linguaggio umano e rispondono appropriatamente e in modo articolato alle domande poste; talaltra, forniscono risposte imprecise o completamente sbagliate, commettono errori nei calcoli matematici, disinformano e creano false narrazioni, finti testi e dipinti di scrittori e artisti. Per un altro verso, i compiti noiosi e ripetitivi da essi svolti conducono ad esiti che gli umani considerano così stupidi da essere imbarazzati a renderli noti, ma che possono rivelarsi portatori di una visione da cui scaturiscono risultati creativi.

Per muoversi nel mondo del possibile dove si rinvengono connessioni originali tra cose che a prima vista non sembrano collegate, l’Ia non dovrebbe essere costretta entro un insieme di equazioni e formule matematiche che marcano i confini del problema in esame

Riuscirà l’Ia a valicare il confine tra lo stato additivo e quello generativo e, quindi, persuadere gli umani che le idee originali da essa generate sono davvero valide così da non lasciare adito a perplessità?

Amartya Kumar Sen Premio Nobel per l’economia 1998 (Fonte: Wikipedia)

Di essere irrorato dall’originalità ha tanto bisogno il campo dell’industria. La saggezza convenzionale vuole che la priorità assoluta dell’industria sia la massimizzazione della sua crescita affinché si possa ottenere la massima pesantezza del Pil. L’Ia additiva va indirizzata al raggiungimento di questo risultato. Tra i suoi frutti, maggiore e migliore sanità, istruzione e alimentazione. Tale saggezza è stata messa alla prova da Amartya Sen, Premio Nobel per l’economia. L’economista di Cambridge ha dimostrato che quelli che si ritengono essere frutti della crescita sono «ingredienti importanti per la produttività umana». In loro assenza, non c’è crescita. «Il perseguimento esclusivo di essa è [..] una strategia autolesionista», sottolinea Sen nella sua autobiografia (Home in the World: A Memoir. London: Penguin Books, 2021) richiamando il pensiero di Adam Smith. Se il progettista di algoritmi si chiamasse Amartya Sen, la priorità spetterebbe ai problemi posti dalla disuguaglianza, dalla povertà e dallo sfruttamento delle persone: in altre parole, al modo di trattare gli esseri umani.

L’immaginazione umana che si manifesta con idee originali è un processo imprevedibile e ritenuto inspiegabile. Al sorgere di idee inedite contribuiscono vari fattori, tra questi il bagaglio culturale arricchito e modificato, per quanto riguarda le convinzioni radicate, dal background delle persone che si frequentano e dalle sessioni generative di originalità che si svolgono nelle reti sociali. L’Ia generativa si propone di aggiungere una o più sessioni a quelle esistenti. La possibilità che ciò accada è avvolta nella nebbia dell’incertezza. L’imprevedibilità è intrinseca agli agenti dell’Ia i cui comportamenti emergenti gli stessi programmatori non riescono a prevedere. 

Muovendosi tra il mondo del probabile e il mondo del possibile, l’Ia creerà un mondo distopico?

L’Ia che nel futuro operasse come l’emisfero destro del nostro cervello, sarebbe impulsivamente e spontaneamente creativa, nell’accezione di essere originale uscendo fuori dagli schemi familiari. Abbattute le barriere della convenzione, essa genererebbe idee mai prima immaginate. Al pari degli altri agenti dell’economia e della società, l’industria, affronterebbe i problemi da altre angolazioni, in un modo affatto nuovo. Le soluzioni trovate che si traducono in combinazioni inattese non sarebbero tanto accurate da essere perfette. Farebbero premio sulla precisione l’originalità dell’approccio al problema entrando in terre incognite, al di là del vasto territorio delle conoscenze accumulate e acquisite. L’industria andrebbe incontro a irregolarità e stranezze mai pensate prima.

È qui che si presenta con tutta la sua potenza la questione filosofica ed etica. Cosa ne sarebbe degli esseri umani se si finisse con delegare all’Ia le nostre capacità linguistiche e il nostro spirito critico? Immaginiamo che la rivoluzione dell’Ia, di concerto con quella biologica, concepisca pensieri originali e superiori a quelli umani, oltre che dare risposte alle nostre domande. Aggiungiamo che proprio questo è la missione dei magnati che giocano a fare i “creatori” di Ia generativa. Ergo, ci troveremmo di fronte a livelli di disuguaglianza oggi impensabili e, ancor più, a un senso di disagio. L’Ia generativa farebbe capolino all’orizzonte come Homo Nouveau, che esercita la sua supremazia e sottomette la specie Homo Sapiens, l’uomo intelligente che l’ha concepita.

*Piero Formica è Professore di Economia della conoscenza. Senior Research Fellow dell’International Value Institute, Maynooth University, Irlanda. Docente e advisor, Cambridge Learning Gateway, Cambridge, UK. Presso il Contamination Lab dell’Università di Padova e la Business School Esam di Parigi svolge attività di laboratorio per la sperimentazione dei processi di ideazione imprenditoriale














Articolo precedenteNasce RedZone, l’acceleratore di start-up di Saes per scienziati, ingegneri e inventori
Articolo successivoViaggio nel Cyber Operation Center di Kyndryl, per “toccare con mano” la cybersecurity






LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui