Guerra e industria: potrebbe arrivare perfino la recessione!

di Laura Magna ♦︎ Non sono tanto le sanzioni a pesare, quanto i costi dell'energia e delle materie prime. Secondo l'economista Marco Fortis le conseguenze potrebbero addirittura essere estreme: recessione. Colpiti automotive, macchinari, aerospazio. Anche perché l'inflazione riduce i consumi

La guerra ucraina potrebbe costare all’industria italiana uno stop – e, conseguentemente, al nostro Paese, una recessione. Non sono tanto gli effetti diretti delle sanzioni che l’Europa sta imponendo a Putin, quanto quelli indiretti su costi di energia e materie prime, di cui Russia e in parte Ucraina sono grandi esportatori. Prezzi che già erano saliti alle stelle per la rottura delle catene di approvvigionamento innescata dal Covid. Effetti che si riversano pesantemente sull’industria siderurgica e, a catena su tutte le manifatture, che dell’acciaio hanno bisogno per produrre a loro volta. E che intaccano il potere d’acquisto di italiani, ed europei, e dunque i consumi, che valgono i due terzi del Pil.

La guerra che si sta consumando nel cuore orientale d’Europa «è una tragedia non solo per la storia ma anche per l’economia». A dirlo alla stampa italiana è stato in questi giorni Daniel Gros, l’economista tedesco che dirige a Bruxelles il Center for European Policy Studies. Abbiamo provato a misurare l’impatto di questa tragedia sull’industria italiana: è un esercizio per cui ci siamo fatti aiutare da Marco Fortis, direttore della Fondazione Edison, professore di economia industriale e commercio estero all’Università Cattolica di Milano.







«La crisi ucraina – esordisce Fortis – si innesta su una sommatoria di effetti negativi derivanti dal Covid. Ovvero su una situazione di scarsità delle materie prime, di difficoltà di approvvigionamento, di crisi tedesca (la Germania è il primo mercato per l’export dell’Italia) ed energetica. E rappresenta la rottura di ogni schema: per quanto di piccole dimensioni come altri conflitti che hanno luogo contemporaneamente sul globo, questo è diverso. È la prima volta, dall’inizio della Guerra Fredda, che questioni interne rischiano di scatenare un’escalation globale e per di più in una situazione tutt’altro che fredda, con le intenzioni di Putin che non sono ancora così palesi e la minaccia atomica. Insomma, si è rotto un equilibrio anche all’interno di rapporti economici internazionali consolidati in anni dopo la caduta del muro di Berlino. Oggi siamo in presenza di una realtà sconosciuta».

 

L’industria italiana rischia uno stop

La nostra industria stavolta rischia grosso «Va rilevato – prosegue Fortis – che le produzioni industriali hanno rallentato da alcuni mesi, prima dello scoppio del conflitto armato, perché non più in grado di sostenere i costi di produzione. Le industrie energivore, acciaio, carta, tutte quelle che comprano materie prima, per esempio rubinetterie e valvolame che necessitano di ottone e in generale tutti i sistemi centrati su costi energetici e metalli sono con l’acqua alla gola. Fortunatamente abbiamo l’edilizia in fase positiva, anche se colpita essa stessa da crisi di materiali e componenti. Il problema vero è che la guerra si innesta sulla crisi delle materie prime già in atto e la moltiplica».

i dati sulla produzione industriale italiana inglobano solo in minima parte gli effetti della guerra e sono già negativi: secondo l’ufficio studi di Confindustria la produzione industriale è attesa in diminuzione a febbraio (-0,3%), dopo la flessione più marcata di gennaio (-0,8%)

Infatti, i dati sulla produzione industriale italiana inglobano solo in minima parte gli effetti della guerra e sono già negativi: secondo l’ufficio studi di Confindustria la produzione industriale è attesa in diminuzione a febbraio (-0,3%), dopo la flessione più marcata di gennaio (-0,8%). L’indagine rapida del Centro Studi Confindustria stima oggi una contrazione della produzione industriale nel primo trimestre 2022 di -1,0% (da +0,5% nel quarto trimestre 2021 e +1,0% nel terzo). Chiaramente la guerra sta ulteriormente accrescendo le difficoltà di approvvigionamento delle imprese e spingendo ancora più in alto i prezzi di materie prime ed energia. «Gli effetti economici del conflitto russo-ucraino – scrive Confindustria – contribuiranno a generare ulteriori squilibri nell’attività industriale dei prossimi mesi peggiorando la scarsità di alcune commodity, rendendo più duraturi gli aumenti dei loro prezzi, oltre ad accrescere l’incertezza (l’indice di Baker, Bloom e Davis, sceso in gennaio a 123,7, è atteso peggiorare), rischiando di compromettere così l’evoluzione del Pil nel 2022».

L’indagine rapida del Centro Studi Confindustria stima oggi una contrazione della produzione industriale nel primo trimestre 2022 di -1,0% (da +0,5% nel quarto trimestre 2021 e +1,0% nel terzo)

 

Nodo materie prime e gas

Una vista delle torri e delle strutture di una stazione di pompaggio del gas nella tundra e di una grande centrale termoelettrica combinata. Industria ed energia nell’Artico. Chukotka, Russia

Perché è così rilevante l’area del mondo tra Ucraina e Russia per la nostra industria? Innanzitutto, Russia e Ucraina sono tra i principali fornitori mondiali della ghisa, con, rispettivamente, 4,5 milioni di tonnellate (che da sole pesano per il 40% del fabbisogno globale) e oltre 2 milioni. Dalla Russia arrivano inoltre 15 milioni di tonnellate di semilavorati e altri 9 dall’Ucraina. In Italia importiamo 2,5-2,7 milioni di tonnellate da ciascuno dei due Paesi. Non solo: nickel, vanadio, cromo, titanio, tutti indispensabili per gli acciai di qualità, hanno toccato quotazioni mai viste. La Russia, per il nickel, è il secondo estrattore al mondo. Gli acciaieri hanno scorte che coprono al massimo qualche settimana di produzione. E l’acciaio è materia prima indispensabile per moltissime – per non dire tutte – filiere rilevanti per il nostro Paese, dalle macchine industriali, alla componentistica auto, alla difesa, all’aerospazio.

La Russia, ancora, è il primo produttore ed esportatore di palladio al mondo e il palladio è fondamentale per costruire le marmitte catalitiche, per esempio. Il costo è quadruplicato dall’inizio del conflitto. Ma in Russia e sulla via della Seta che da Mosca porta a Pechino si gioca anche la partita delle terre rare: platino, rodio, cobalto, berillio, niobio, tantalio. Parchi eolici, auto elettriche, smartphone, senza non funzionano. O meglio, non esistono. La guerra ha impatto, infine, sul costo dell’energia perché dalla Russia importiamo in Italia circa il 40% di tutto il gas che usiamo e il 12,5% del greggio. Secondo la Transport&environment (che si basa sui dati Eurostat), l’Unione europea importa il 97% del greggio che usa e di questo il 25,7% arriva dalla Russia. Il 65% del petrolio che arriva nell’Ue è consumato dai trasporti su strada. Il Paese che importa più greggio russo è la Germania: è un dato importante per noi, vista la forte interconnessione con l’industria italiana. Che quindi subisce i rincari due volte. Nei primi giorni degli attacchi il costo medio dell’energia è arrivato a 700 megawattora, rispetto ai 200 di gennaio e al costo medio di 60 euro degli ultimi dieci anni. Insomma sull’industria gli effetti diretti della guerra ucraina sono potenzialmente devastanti.

Il Paese che importa più greggio russo è la Germania: è un dato importante per noi, vista la forte interconnessione con l’industria italiana. Che quindi subisce i rincari due volte. Nei primi giorni degli attacchi il costo medio dell’energia è arrivato a 700 megawattora, rispetto ai 200 di gennaio e al costo medio di 60 euro degli ultimi dieci anni. Insomma sull’industria gli effetti diretti della guerra ucraina sono potenzialmente devastanti

Ma il tema vero è che già prima dello scoppio della guerra, le indagini sulla fiducia delle imprese manifatturiere rilevavano un rallentamento, trainato prevalentemente da attese pessimistiche sulle prospettive economiche. A febbraio, il PMI della manifattura si è confermato su un valore invariato rispetto a quello di gennaio (58,3 punti), ovvero il più basso da febbraio 2021. «Secondo l’indagine di IHS-Markit, emergono rilevanti preoccupazioni degli imprenditori in merito alle difficoltà sulle condizioni operative e all’aumento dei prezzi di acquisto delle materie prime – scrive Confindustria – che hanno continuato a influenzare le aspettative delle aziende. Al tempo stesso la fiducia delle imprese manifatturiere si è contratta (113,7 da 114,9). Tale dinamica riflette la difficoltà delle imprese industriali nel fronteggiare il rincaro dell’energia che, nonostante gli interventi governativi messi in campo a sostegno delle imprese per il primo trimestre per far fronte allo shock, comprime i margini delle imprese al punto da rallentare la produzione».

L’Europa dipende dal petrolio russo per oltre un quarto del suo greggio. Mentre alcuni paesi europei come la Slovacchia dipendono dalla Russia per oltre il 90% del loro petrolio, la dipendenza del continente nel suo insieme, sebbene significativa, non è insormontabile, mostra l’analisi

 

Gli effetti diretti delle sanzioni sulle filiere

Regione di Leningrado / Russia. Lavori di costruzione di un tunnel sotto il canale Saimaa per il gasdotto Nord Stream. Tubi con il logo di Gazprom, predisposti per il trascinamento e la posa

L’export italiano in Russia vale 7 miliardi di euro una cifra tutto sommato piccola e poco concentrata (macchinari e apparecchiature, il settore che esposta di più vale quasi 2 miliardi; abbigliamento, che vale 250 milioni e prodotti chimici, per 571 milioni di euro; l’arredo vale 300 milioni). Il dato è più o meno costante dal 2015.

In generale, dice Fortis «i primi 100 prodotti dell’export italiano arrivano al 40% del valore totale, mentre nel G20 questi coprono 50-60%: il che vuol dire che Italia ha un export più diversificato e dunque difese immunitarie più alte». Questo è un elemento positivo, probabilmente l’unico. «Nello scambio di colpi tra Ue e Russia, sul fronte delle sanzioni, ci sono anche settori che vengono toccati direttamente perché non riescono più a esportare in quel Paese, e hanno immediato impatto in termini di mercato – dice Fortis – Per esempio le calzature marchigiane e altri generi di abbigliamento, o il caffè torrefatto sono tutti settori per cui la Russia è un mercato importante se non vitale. La situazione più preoccupante non è tuttavia questa se non per ambiti e distretti specifici, ma l’impatto sull’approvvigionamento di materie prime e sul costo dell’energia».

L’export italiano in Russia vale 7 miliardi di euro una cifra tutto sommato piccola e poco concentrata (macchinari e apparecchiature, il settore che esposta di più vale quasi 2 miliardi; abbigliamento, che vale 250 milioni e prodotti chimici, per 571 milioni di euro; l’arredo vale 300 milioni). Il dato è più o meno costante dal 2015

 

…e quelli indiretti

L’Ue ha inasprito, a partire dal 24 febbraio, le sanzioni verso la Russia. Inasprito, sì: perché le sanzioni esistono dal 2014, come spiega bene l’Ispi, e da marzo a dicembre di quell’anno hanno ridotto l’export russo verso Ue del 7% e del 43% l’anno successivo. Ora, il 68% di quello che esporta la Russia è gas e petrolio. E tuttavia, ancora oggi l’Europa importa il 40% del suo gas da Mosca.

È da ormai quasi cinque anni, in seguito all’annessione della Crimea da parte della Russia nel marzo 2014, che l’Unione europea ha introdotto una serie di sanzioni nei confronti di Mosca

Con un blocco ulteriore del gas, «per l’Europa una recessione è probabile». Ma ci sono anche strategie per riuscire a sfruttare questa eventualità a nostro favore, accelerando tutti gli sforzi di diversificazione delle fonti, di cui peraltro si parla da decenni nel nostro Paese. «Noi dipendiamo da gas e rinnovabili, prima che queste seconde possano coprire il fabbisogno ne passerà tempo – dice Fortis – Il Gas è la materia prima di transizione, ma abbiamo dormito dei gran sonni e ne paghiamo le conseguenze, abbiamo osteggiato il Tap, il gasdotto che consente di portare gas naturale dall’Azerbaijan, non abbiamo fatto impianti di rigassificazione. Abbiamo una situazione che è frutto del divieto di costruire rigassificatori. La Spagna anche, ha tanto gas in eccesso, ma non esiste l’infrastruttura per portarlo fino a noi perché la Francia non ne ha bisogno, grazie al nucleare. Questa potrebbe essere una soluzione, portare il gas dalla Spagna, costruire gasdotti che vengano non solo dalla Russia».

Con un blocco ulteriore del gas, «per l’Europa una recessione è probabile». Ma ci sono anche strategie per riuscire a sfruttare questa eventualità a nostro favore, accelerando tutti gli sforzi di diversificazione delle fonti, di cui peraltro si parla da decenni nel nostro Paese

È una strada, quella della diversificazione, che in qualche misura ha seguito Edison: che infatti dipende dal gas russo solo per il 7% e importa il 20% del fabbisogno italiano. Come mai? «Perché ha comunque sempre ragionato in termini di diversificazione. E ha da poco inaugurato un rigassificatore al largo delle coste di Rovigo, a Porto Rivo grazie a cui può importare gas qatarino e dell’Arzebaijan». Insomma, in realtà non è impossibile svincolarsi dalla dipendenza dal gas e dal petrolio russo e questa sarebbe una buona occasione: una maggiore cooperazione tra stati europei sarebbe un buon punto di partenza.

all’estrema destra del grafico compare l’esportazione di macchinari, che ha fatto registrare una contrazione di oltre 2 miliardi di euro. Accanto ai macchinari appaiono altri settori di punta dell’export italiano, come l’abbigliamento, il calzaturiero e il settore dei mobili. Ancora nel 2017, tutti questi settori facevano registrare minori esportazioni per almeno 400 milioni di dollari l’anno, e una contrazione del 35%-55% rispetto al 2013. Infine, malgrado il dibattito pubblico in Italia si sia concentrato sul settore dell’agroalimentare, quest’ultimo non figura tra i 10 settori più colpiti in termini assoluti (con un calo di circa 250 milioni di dollari), anche se ha fatto registrare un calo di circa il 45% in termini percentuali

 

Nodo consumi: perché una recessione è probabile per l’Italia

L’embargo al gas e al petrolio russi è promosso e attuato da Joe Biden per gli Usa, approvato dal Regno Unito e proposto agli Stati membri dalla Commissione Europea – che proprio oggi ha definito un piano d’azione per diversificare gli approvvigionamenti e tagliare di due terzi l’import dalla Russia

La corsa folle dei prezzi non ha impatti sulla manifattura. «L’aumento dei prezzi di energia e materie prime si trasforma in aumenti dei prezzi dei beni finali, ovvero in inflazione che erode il potere di acquisto delle famiglie e provoca rallentamento o stop della crescita dei consumi», spiega Fortis «I consumi rappresentano i due terzi della domanda aggregata che genera il Pil. Pertanto rischiamo di vedere pregiudicata la crescita economica che per il 2022 si prevedeva del 4% per l’Europa e poco più alta per l’Italia. Oggi questi sono già traguardi irrealistici».

E il timore è che i consumi possano raffreddarsi parecchio. «Sono aumentati i fertilizzanti, e i generi alimentari risentono del maggior costo del carburante quando devono essere trasportati da Sud a Nord, ma anche di quello che si usa per i trattori. Pensiamo pure al sistema moda, che non è solo alta moda, ma anche prêt-à-porter – dice Fortis – già era stato penalizzato dalla pandemia, quando si era preferito spendere per sistemare la casa o prendere un abbonamento Netflix, se si abbassa il potere di acquisto oggi il rischio è che gli italiani continuino a non spendere in abbigliamento». E non solo. «Il potere di acquisto delle famiglie sarà toccato anche altrove in Europa. Penso soprattutto quelle tedesche, in quanto la Germania dipende energeticamente dal gas russo, come noi. Come calano i consumi degli italiani, calano quelli dei tedeschi e dei francesi, ovvero del primo e del secondo mercato di sbocco per i prodotti italiani. Del potenziale inflattivo che già sta districando i suoi effetti soffriremo moltissimo».














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