Viva l’idrogeno, ma attenti a considerarlo a breve termine una panacea per l’ambiente e la pietra filosofale per l’industria. Di certo, l’idrogeno, fortemente sponsorizzato dall’Ue e dal governo, introdurrebbe nuovi paradigmi produttivi in molti settori industriali, mettendo in moto imprese innovative, attivando investimenti pubblici e privati e creando un’occupazione qualificata. E ciò non può che far bene al Paese, e alla ripresa dopo la crisi del Covid-19. Puntano sull’idrogeno praticamente tutti i grandi operatori energetici nazionali, a cominciare da Eni, Enel, A2A. E soggetti come Snam. Dal punto di vista ambientale, però, l’idrogeno “verde”, quello ottenuto per elettrolisi con l’energia delle fonti rinnovabili, potrebbe rivelarsi assai poco “green”, visto che potrebbe comportare un ingente consumo di risorse idriche, di cui il Sud del Paese scarseggia.
Dal punto di vista industriale, poi, converrebbe in diverse applicazioni utilizzare l’idrogeno “blu”, quello che si ottiene da idrocarburi gassosi sottraendo e stoccando la Co2. Il motivo? Ad oggi costa assai meno della metà del “verde”, e in contesti come l’acciaieria, che comportano consumi straordinari, non si può non tenerne conto. Tutto ciò secondo Carlo Mapelli, docente al dipartimento di Meccanica del Politecnico di Milano ed esperto di siderurgia. Per Mapelli, che abbiamo intervistato, prima di lanciarsi nell’avventura dell’idrogeno, occorrerebbe definire un quadro chiaro degli impatti ambientali; e si dovrebbe agire con il bilancino, per vedere quale tecnologia (blu o verde) utilizzare nei singoli comparti industriali. Insomma, per dirla con Manzoni, «adelante con juicio».
D: L’Europa persegue obiettivi importanti sull’idrogeno verde: la costruzione di elettrolizzatori che producano un milione di tonnellate di gas entro il 2024 e 10 milioni di tonnellate entro il 2030. Il Mise prevede la penetrazione dell’idrogeno del 20% nei consumi finali di energia entro il 2050. Sono traguardi concretamente raggiungibili, visto che attualmente la quota italiana è pari all’1%, e non si tratta neppure di idrogeno da fonti rinnovabili?
R: «Tecnicamente si può fare: gli elettrolizzatori sono una tecnologia matura, che può essere ulteriormente perfezionata. Attualmente, quando sono appena installati, hanno una buona efficienza, attorno all’85%; poi ne perdono un po’ per strada. Bisogna però vedere se valga la pena di realizzare nuovi impianti per questo fine. A mio avviso, non è scontato. Ad esempio: quando parliamo di idrogeno verde intendiamo un gas che si ottiene con l’elettrolisi, e cioè con la scomposizione dell’acqua in elementi chimici di base grazie al passaggio dell’energia elettrica, a sua volta ottenuta da fonti come i pannelli solari o impianti eolici. Solo che non si utilizza l’acqua del mare, ma quella dolce, che soprattutto nelle regioni del Meridione d’Italia è una risorsa preziosa e limitata. E dal momento che occorrono 9 kg di liquido per ottenere 1 kg di idrogeno, il rischio è quello di depauperare risorse idriche essenziali per l’agricoltura. Nel calcolo degli effetti ambientali, bisognerà pure tenerne conto, secondo me. E poi c’è la questione dello sforzo finanziario per realizzare gli elettrolizzatori e dei costi finali dell’idrogeno verde».
D: Queste spese e questi costi sono ingenti?
R: «Quei livelli di produzione di idrogeno auspicati dall’Unione Europea e dal governo si potrebbero raggiungere facilmente estraendo quello blu, e cioè quello prodotto da idrocarburi gassosi, ma con cattura di CO2. Si pensi che se sostituissimo il carbone con il metano, già assisteremmo ad una diminuzione del 66% delle emissioni. Volendo, poi, potremmo puntare al prelievo dell’anidride carbonica dalla combustione del gas naturale. Esistono già delle tecnologie sperimentate, come gli impianti ad ammine o a ammoniaca raffreddata; e si stanno portando avanti nuove tecniche, come quelle ai liquidi ionici o quelle alle celle elettrochimiche che utilizzano la CO2 per produrre grafene o fullerene, allotropi del carbonio dotati di particolari qualità fisiche. Ma per questo secondo stadio servono investimenti. In tutti i casi, però, il costo dell’idrogeno blu è assai inferiore a quello dell’idrogeno verde».
D: Dunque, l’idrogeno verde non è quello più conveniente?
R: «A mio avviso, quello blu è più sostenibile dal punto di vista ambientale ed economico. E l’Italia è già dotata di un’ampia infrastruttura di gasdotti e rigassificatori».
D: La filiera dell’idrogeno riguarda la produzione, il trasporto, la distribuzione, lo stoccaggio, la mobilità, gli usi energetici e quelli industriali e residenziali. Qual è l’aspetto più problematico?
R: «Il trasporto e lo stoccaggio sono gli aspetti più critici, dal punto di vista ingegneristico. L’idrogeno non è come il metano, non è stabile: non ha bisogno di un innesco per reagire con l’ossigeno e dare luogo anche a fenomeni esplosivi. Una via percorribile è quella di arricchire il gas naturale con una quota di idrogeno che non superi il 15% o il 20%. In questo caso, si potrebbero utilizzare le condutture del metano e si abbatterebbero le emissioni senza il rischio di esplosioni. Altrimenti, per il trasporto c’è bisogno di una nuova infrastruttura, capace di evitare contatti con l’ossigeno a livello di valvole e connessioni flangiate; operazione non semplice considerato che la molecola di H2 è la più piccola e la più leggera in natura».
D: Il quadro legislativo, in materia di idrogeno, sembra piuttosto confuso.
R: «In realtà, non ha bisogno di chissà quale adeguamento; piuttosto dell’applicazione di nuove specifiche tecniche. Insomma, più che le leggi contano i regolamenti».
D: Per l’industria, si parla di più utilizzi per l’idrogeno. Ad esempio, come reagente chimico riducente in raffineria, o per sintetizzare sostanze come i polimeri. Ancora, per la produzione di materie prime come l’ammoniaca o il metanolo. Ma ha senso estrarre il gas per elettrolisi a questi fini?
R: «Dal punto di vista ambientale ha un senso eliminare l’anidride carbonica proveniente da alcuni processi industriali, anche per produrre metanolo; sotto un profilo economico, ho qualche dubbio – sempre a causa dei costi legati ai processi».
D: Sempre per l’industria, l’idrogeno può trovare applicazione per il calore di processo, nelle vetrerie e soprattutto nelle acciaierie.
R: «L’idrogeno è a mio avviso poco sostenibile per applicazioni come quelle citate, sia sotto il profilo economico che quello ambientale. Dal primo punto di vista, una tonnellata di acciaio prodotta da gas naturale costa 28 euro e richiede 270 metri cubi di metano; la stessa tonnellata prodotta con idrogeno da rinnovabili richiede 627 metri cubi di idrogeno e costa 90 euro. Una differenza considerevole, oltre il 200 per cento. Quanto alla seconda prospettiva, si pensi all’ex Ilva di Taranto. Quanta acqua dolce dovremmo sottrarre all’agroalimentare pugliese – e la Puglia è una regione abbastanza arida – per produrre questo gas? E non basterebbe sostituire il carbone con il gas naturale per ottenere grandi benefici? Lì i guai possono essere causati dal benzopirene, un idrocarburo aromatico prodotto dalla distillazione del carbone fossile: la sua azione cancerogena è provata. Ma la combustione del metano non produce questa sostanza».
D: Pensa che l’idrogeno non avrà nulla a che fare con l’acciaieria?
R: «No, non penso questo. Voglio dire che, per ragioni di costi e per altre cause strutturali, con questo gas si potranno alimentare almeno parzialmente impianti di preridotto di ferro, ma non sarà possibile con il solo idrogeno sostenere tutta la produzione di acciaio».
D: Il ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, e il governo in generale, hanno più volte affermato che l’idrogeno è parte della strategia di rilancio dell’ex-Ilva.
R: «Il ministro esprime un concetto sensato se sviluppato su un orizzonte temporale adeguato ed è giusto che un politico esprima una visione prospettica. D’altra parte non sarà possibile applicare questa prospettiva nell’immediato e anche il ministro Patuanelli lo ha espresso chiaramente. Servirà un processo di diversi anni per rendere praticabile questa prospettiva a livello industriale».
D: Quale sarà, allora, l’utilizzo dell’idrogeno nell’industria?
R: «Secondo me, dal momento che il gas naturale è più conveniente, l’utilizzo dell’idrogeno verde, non mescolato al metano, riguarderà una nicchia abbastanza ristretta di applicazioni. L’emissione di anidride carbonica si può realizzare con altri metodi, come dimostra la Ternium, una società della multinazionale industriale argentina Techint (fondata a Milano nel 1945 da Agostino Rocca; Ndr) che ha realizzato un impianto a Monterrey, in Messico, che funziona bene e che “sequestra” tutto l’anidride carbonica prodotta dal processo di riduzione del minierale di ferro per poi rivenderla a Pepsi e CocaCola per usi alimentari».
D: Giorni fa è stato presentato al consiglio dei ministri il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), il programma di investimenti che l’Italia deve inoltrare alla Commissione Europea nell’ambito del Next Generation EU – strumento per rispondere alla crisi pandemica provocata dal Covid-19. C’è un capitoletto sull’idrogeno dove, in via molto generale, si parla di produzione, distribuzione e utilizzo di idrogeno verde, nonché di realizzazione degli elettrolizzatori.
R: «Penso che alla fine si cercherà un bilanciamento tra la produzione di idrogeno verde e idrogeno blu. Non va premiata necessariamente la prima, ma va favorita una soluzione che tenga conto, per la questione ambientale, sia della riduzione delle emissioni di anidride carbonica che della conservazione delle risorse naturali utili all’agroalimentare e che prenda in considerazione la questione dei costi, che non è secondaria. In ogni caso, prima di prendere una direzione definita, serve un quadro completo di tutti i possibili impatti; attualmente non è stato disegnato da nessuno. Ci si attende che il framework sia completato prima della versione dettagliata del Pnrr, quella da inoltrare a Bruxelles».
Snam, una delle principali aziende di infrastrutture energetiche al mondo, è fortemente impegnata nella transizione energetica, con investimenti per 1,4 miliardi di euro al 2023 (nell’ambito di un piano complessivo da 6,5 miliardi) dedicati al programma SnamTec (Tomorrow’s Energy Company) e destinati all’aumento dell’efficienza e all’abbattimento delle emissioni, all’innovazione e a nuove attività come l’efficienza energetica, la mobilità sostenibile e i gas rinnovabili. Rientrano in quest’ultimo filone le iniziative di ricerca e sviluppo avviate nel mercato dell’idrogeno, che può rappresentare la chiave di volta nella lotta al cambiamento climatico. Nel 2019 Snam ha costituito un’unità di business dedicata specificamente all’idrogeno e nel 2020 ha avviato collaborazioni sull’idrogeno con Rina e Alstom, rispettivamente nell’ambito industriale e in quello dei trasporti ferroviari. Ad aprile 2019, per prima in Europa, Snam ha sperimentato l’immissione di un mix di idrogeno al 5% in volume e gas naturale nella propria rete di trasmissione. La sperimentazione, che ha avuto luogo con successo a Contursi Terme, in provincia di Salerno, ha comportato la fornitura, per circa un mese, di H2NG (miscela idrogeno-gas) a due imprese industriali della zona, un pastificio e un’azienda di imbottigliamento di acque minerali. L’iniziativa ha avuto risalto a livello internazionale, con articoli e reportage dedicati da Bloomberg, Financial Times e New York Times. La sperimentazione di Contursi è stata replicata a dicembre 2019, raddoppiando la percentuale di idrogeno in volume al 10%. L’azienda è oggi impegnata nella verifica della piena compatibilità delle sue infrastrutture con crescenti quantitativi di idrogeno miscelato con gas naturale, nonché nel supporto allo sviluppo della filiera italiana, per favorire l’utilizzo di idrogeno in molteplici settori, dall’industria ai trasporti. Attualmente circa il 70% dei tubi dei metanodotti di Snam sono compatibili con l’idrogeno