Dati, il vero motore della manifattura! Con Iconsulting

di Laura Magna ♦︎ Si tratta del principale e più abbondante asset a disposizione nel mercato, ma necessitano di un data strategy mirato. Solo così le aziende beneficeranno dal 10 al 20% di maggiori utili con gli analytics di base e del 30% o oltre se ci si sposta sull’analitica avanzata. E potranno anticipare gli scenari futuri

Efficientare i livelli di fornitura e produzione; prendere decisioni sul modo migliore di posizionare le macchine in fabbrica e su quale progetto di R&S rendere prioritario. E ancora, fare manutenzione predittiva, intervenendo prima di un guasto potenziale e limitando o annullando i danni che deriverebbero da un fermo improvviso; strutturare strategie commerciali mirate e diversificate in base alla domanda dei mercati. Sono tutti obiettivi che l’industria è in grado di realizzare se usa in maniera strategica i dati. Dati interni, ma anche esogeni all’organizzazione che vanno raccolti e soprattutto analizzati. Se lo si fa all’interno di una data strategy strutturata si ottengono benefici importanti.

«Precisamente dal 10 al 20% di maggiori utili con gli analytics di base e del 30% o oltre se ci si sposta sull’analitica avanzata. Senza considerare benefici meno misurabili in termini di reputazione, che spesso risultano in capacità di ottenere capitali con maggiore facilità, e violenti balzi positivi in Borsa per le quotate. Perché chi fa data strategy fa trasformazione digitale ed è ciò che gli investitori si aspettano quando guardano a una manifattura». A dirlo a Industria Italiana è Alfredo Formisano, director e industry leader di Iconsulting per il settore manifatturiero. La strategia sui dati abilita nuovi ricavi, nuovo fatturato, nuova marginalità: le industrie che faticano a capirlo, rischiano di restare indietro, pesantemente, sul fronte della competitività.







Abbiamo parlato con Formisano e con Flavio Venturini, direttore sede di Roma della società di consulenza (nonché direttore scientifico del Master Big Data Analytics alla Luiss Business School) del modo in cui si attua una data strategy in un’azienda manifatturiera. E in generale del livello di implementazione data strategies nelle aziende italiane con Giovanni Ciarlariello, ad di Iconsulting, che è una data driven transformation company nata come spin off universitario e oggi partner strategico di oltre 150 aziende e di tutti i più importanti vendor tecnologici internazionali. La società ha all’attivo più di mille progetti realizzati in oltre 15 anni e ha sedi a Bologna, Roma, Milano e Londra, presso cui lavorano 300 professionisti.

Il mecato degli analytics. Fonte Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano

Il più abbondante asset del mercato, ma senza data strategy non serve a niente

Partiamo da un fatto. Ovvero che i dati siano il principale e più abbondante asset a disposizione nel mercato. Ne produciamo cinque exabyte (cinque miliardi di giga) ogni due giorni, secondo quanto afferma Hal Varian, capo economista di Google, matematico del Mit. Una quantità tale che pescare in questo mare magnum le informazioni utili a ottenere un obiettivo diventa complesso. E una mission impossible se non si è dotati di un piano e degli strumenti hardware e software per attuarlo.

Così, accade che al di là di qualche eccellenza, in Italia anche tra le big corporate solo il 7% ritiene di avere dati di elevata qualità (ovvero utilizzabili per obiettivi di business) e il 43% autocertifica un livello di qualità dei dati non sufficiente alle esigenze di business o adeguato soltanto per alcune fonti (presumibilmente dati interni e strutturati). E spesso non esiste neppure la consapevolezza del patrimonio informativo da sfruttare (lo afferma il report “La Data Strategy nelle aziende italiane” stilato dall’Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano).

Analytics, la crescita 2020 per settore. Fonte Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano

La Data strategy nell’industria italiana: come attuarla passo per passo

Flavio Venturini, direttore sede di Roma di Iconsulting

Il tema è dunque che i dati sono un valore potenziale, che va sfruttato. «Ma non si può fare senza tecnologie, persone e metodologie – esordisce Formisano – Quando si parla di data strategy nella manifattura, l’azienda ha diversi obiettivi: dal miglioramento della supply chain fino ad atterrare sulla produzione e l’utilizzo del dato può essere pensato anche in logica as a service, per fornire feature aggiuntive ai clienti». Continua il collega Venturini: «Il primo step per indirizzare una strategia dati è quello di definire e implementare dei processi di Data Governance, dedicati a gestire aspetti chiave quali la sicurezza, la qualità, la comprensione del patrimonio informativo. La nostra esperienza ci dice che la qualità del patrimonio informativo a valle della istituzione di un programma di Data Governance, perlomeno raddoppia. Questo chiaramente rende possibile avere decisioni basate su un contesto informativo molto più solido e porta ad incrementi di efficienza dei processi».

Secondo Formisano per iniziare a strutturare una data strategy in una manifattura si devono fare alcuni passaggi imprescindibili. Il primo è fissare un obiettivo, per esempio migliorare l’efficienza produttiva con la manutenzione predittiva. «A questo punto si dovrà stabilire quali sono i dati che mi servono e quali tecnologie. E se le persone e l’organizzazione siano pronte all’utilizzo e alla creazione di questi sistemi. Sono le persone dentro le organizzazioni che devono guidarti. La manutenzione predittiva è uno dei temi più gettonati ma anche complessi, per via dei molti falsi negativi e falsi positivi che derivano dai dati. Ci si può muovere in anticipo su guasti che non avverranno mai».

 

Un processo graduale di miglioramento continuo, che presuppone tecnologie e cultura

Alfredo Formisano, Director e Industry Leader in Iconsulting per il settore manifatturiero

Insomma, la data strategy in ambito manifatturiero va pianificata ed è un processo graduale di miglioramento continuo. «Tipicamente disegniamo una roadmap e definiamo gli asset che servono per raggiungere i singoli obiettivi. Che possono andare dalla manutenzione predittiva, al tracciamento dei container sulle rotte di consegna del materiale: in questa fase è determinante capire se si hanno a disposizione almeno i dati grezzi anche di terze parti – per esempio dello spedizioniere nel secondo obiettivo – per poterli poi affinare».

Questa è anche la fase in cui si costruisce la consapevolezza nel top management su tempi e costi necessari al raggiungimento degli obiettivi. «Poi si passa alla tecnologia – continua Formisano – Negli ambienti di fabbrica ci sono plc che producono, vediamo sempre più che queste architetture si spostano da supercalcolatori ad architetture cloud. Il che presuppone anche un’apertura culturale che consenta di mette nella nuvola informazioni riservate dell’azienda. Infine, il metodo: si può scegliere una metodologia waterfall, basata su un singolo requisito in base a cui io sviluppo la soluzione. Oppure una metodologia agile, in cui si parte da un macro-obiettivo, che si scompone in micro-obiettivi su cui lavorare singolarmente: lo scomponi e inizi a lavorare su questo fissando tappe intermedie fino all’obiettivo finale».

 

Margini in aumento dal 10 a più del 30%

Perché una manifattura dovrebbe impegnarsi in questo cambiamento poderoso? «Perché è necessario nell’era della digital transformation, ma anche perché utile», risponde Formisano. «Molte aziende secolari italiane usano già questi progetti come leve di comunicazione verso il mercato, per esempio, per aumentare la reputation. Ma ci sono anche importanti risvolti economici che incidono sulla redditività e sulla competitività». Per calcolare il Roi della data strategy si deve guardare a due elementi: gli analytics di base, che sfruttano i dati solo interni all’azienda, e quelli avanzati. «Se ho una data strategy strutturata libero le persone dalla ricerca di dati ed elimino uno spreco: una data strategy di base consente di risparmiare il 10% del costo del personale, e di trarre benefici in termini di redditività, perché consente di individuare colli di bottiglia, e prendere decisioni come spostare macchinari, agire su canali di vendita, o condurre analisi più raffinate sul territorio, il che porta un beneficio del 20% in termini di aumento di marginalità».

Se si attua una strategia di analitica avanzata, il beneficio è uguale o superiore al 30%. «Un produttore di auto – dice Formisano – può mappare il territorio in base alle immatricolazioni, studiare la conformazione del territorio dal punto di vista demografico e strutturare campagne comunicative ad hoc, o vendere il servizio ai clienti. Un produttore di macchine per la lavorazione del legno, insieme alla macchina può strutturare un servizio di manutenzione predittiva, che vende on top al cliente btob e così via». Lo stesso dato può essere usato per scopi diversi, diventando ancora più redditizio. «Abbiamo sviluppato una soluzione che va a mettere insieme informazioni e dati cross processo. Mi spiego: con i dati della domanda che arrivano dal mercato indirizzo la produzione, calando quello che so dalla domanda sulla fornitura e modulando sia di livelli di servizio sia la logistica. Questa analisi supplychain data platform, consente di prendere decisioni su come spostare macchine e dunque come rendere più efficiente la fabbrica. Se dai allo stesso dato un valore commerciale, diventa veicolo di vendita. Le informazioni su domanda, stock, listino prezzi possono essere usati dal venditore per conquistare nuove fette di mercato. Per posizionare i prodotti forti nel territorio, o che hanno stock o marginalità maggiore».

Per calcolare il Roi della data strategy si deve guardare a due elementi: gli analytics di base, che sfruttano i dati solo interni all’azienda, e quelli avanzati. Se si attua una strategia di analitica avanzata, il beneficio è uguale o superiore al 30%. Fonte Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano

I dati per anticipare gli scenari futuri

In conclusione, aggiunge Venturini «impostare una corretta Data Strategy significa mettere in campo un piano d’azione di lungo termine volto al raggiungimento di un obiettivo specifico: la corretta organizzazione e valorizzazione del patrimonio informativo al servizio delle esigenze e della strategia di business».

Il patrimonio informativo è costituito non solo dai dati interni all’azienda ma anche dalla integrazione degli stessi con fonti esterne. E la valorizzazione di questo patrimonio «è essenziale non solo per comprendere i fenomeni di business mentre avvengono, ma anche per comprendere i possibili scenari futuri, sia a livello micro (ad esempio prevedendo la probabilità di abbandono di un singolo cliente) ma anche a livello macro (ad esempio prevedendo il margine di un certo canale di vendita a fronte di variazioni di pricing)», dice Venturini. Questo processo insieme agli strumenti algoritmici e modellistici su di esso basati è quindi uno strumento essenziale per il management, «soprattutto in un contesto quale quello attuale in cui le variazioni di contesto e di mercato avvengono ad una velocità e su scale difficilmente gestibili da un gruppo di manager che non abbia strumenti avanzati di questo tipo», chiosa Venturini.

Impostare una corretta Data Strategy significa mettere in campo un piano d’azione di lungo termine volto al raggiungimento di un obiettivo specifico: la corretta organizzazione e valorizzazione del patrimonio informativo al servizio delle esigenze e della strategia di business. Fonte Osservatorio Big Data & Business Analytics del Politecnico di Milano

Le sfide culturali in corso (l’apertura dei dati aziendali e una figura dedicata alla data governance)

Giovanni Ciarlariello, ad di Iconsulting

A che punto è l’industria italiana in termini di implementazione della data strategy? Risponde Giovanni Ciarlariello, ceo di Iconsulting, che nota alcuni elementi di rivoluzione recenti molto significativi. «Le aziende utilizzano sempre più algoritmi di apprendimento automatico, che dal punto di vista della gestione dei dati, pongono sfide non banali. E rompono un tabu: quello della resistenza a condividere i dati. Oggi le aziende sono sempre più disponibili a questo genere di commistione, facendo uscire dati proprio o acquistandone di esterni – dice Ciarlariello – e c’è un’altra novità rilevante: è forte il focus sul presidio dei dati nell’organizzazione. Ad oggi, nelle aziende più mature a livello internazionale, è nata una figura C-level con obiettivi di coordinamento su entrambe le anime: Data Science e Data Governance».

Si tratta solo di piccoli segnali e la strada da fare è ancora lunga: la struttura di Data Governance è presente soltanto nell’8% delle aziende grandi (dai 250 ai 999 addetti) e nel 35% delle aziende grandissime (dai 1000 addetti in su). La mancanza di figure dedicate o addirittura l’assenza di una discussione interna su questo tema coinvolge il 59% delle aziende grandi, a fronte del 37% per le aziende con più di 1000 addetti. Non solo, appena il 23% delle grandi aziende dichiara di avere internamente la piena consapevolezza dei dati a disposizione. «Quest’ultimo numero è allarmante – conclude Ciarlariello – I dati sono le fondamenta della strategia, solo da essi si può trarre la corretta conoscenza sulla quale poi basare delle decisioni ponderate. Una strategia nel tempo può essere affinata, una governance può essere migliorata, ma se l’architettura dei dati non è solida fin dall’inizio i costi di “correzione” possono essere molto alti».














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