Manifattura: obiettivo data strategy! Con Cloud, edge computing, intelligenza artificiale. Il report by Ambrosetti, Hpe, Intel

di Piero Macrì ♦︎ Valore della data economy italiana: 46,9 miliardi, terzo in Europa dopo Germania (126 mld) e Francia (63 mld). Il 68% delle aziende gestisce i dati con fogli di calcolo, il 30% con strumenti di analisi avanzati, il 15% con l’Ai: ritardo delle pmi. Cloud, pubblico e privato: disponibilità di infrastruttura modulabile e scalabile è prerogativa irrinunciabile. Hpe Italia (guidata da Claudio Bassoli): flessibilità operativa in dimensione ibrida, pubblica e privata. Fastweb: cloud di prossimità e potenza di calcolo a km 0 per servizi digitali innovativi

Assenza di una data strategy, investimenti insufficienti, problemi di responsabilità organizzativa, scarse competenze specialistiche sui dati, su prodotti e servizi data driven. Il valore della data economy italiana potrebbe essere di gran lunga migliore rispetto all’attuale, stimato in 46,9 miliardi, cifra che ci pone al terzo posto in Europa, dopo Germania (126 miliardi) e Francia (63 miliardi). Le cose peggiorano se la spesa viene rapportata al Pil: in questo caso retrocediamo al 18mo posto nella classifica Ue 27. «Non basta avere i dati. Serve anche la capacità di trasformarli. Solo poco più del 30% delle aziende ha definito una data strategy. Se ci muovessimo alla stessa velocità dei paesi più virtuosi il valore creato sarebbe infinitamente superiore e potremmo rapidamente ridurre il gap digitale nei confronti degli altri paesi europei». E’ quanto affermato da Alessandro Viviani, senior consultant di The European House Ambrosetti nel corso della presentazione dall’indagine sulla gestione dei dati e sull’evoluzione del cloud in Italia, “Digital Disruption: trasformarsi per rispondere alle sfide di un mondo digitale”, realizzata dalla società di consulenza strategica in collaborazione con Hpe ed Intel.

La fotografia è di un paese che si muove a più velocità. Da una parte aziende che sono già in una fase avanzata di sviluppo, dall’altra quelle che inseguono. Secondo la ricerca, svolta su un campione di 400 aziende, di cui il 63,7% con una dimensione da 10 a 49 dipendenti, il 19,5% da 50 a 249 e il 16,8% oltre i 250, solo un quarto afferma di avere ottenuto un vantaggio competitivo dall’utilizzo dei dati. Tra le medie e grandi aziende la percentuale sale però al 60%. In ritardo è la piccola impresa. Considerato che le aziende coinvolte nell’indagine appartengono per il 36,7% al settore manifatturiero, c’è di che riflettere. Poche le aziende che hanno in essere processi strutturati per acquisire, elaborare e analizzare i dati. Il messaggio è chiaro: avere disponibilità di tecnologie abilitanti vuol dire tutto e nulla, in assenza di competenze sono un vuoto a perdere. Il 73% delle piccole aziende, il 51,7% delle medie e il 38 % delle grandi dichiara di non disporre di persone esperte nell’analisi dei dati e nel cloud. Per il 68% delle aziende i dati continuano a essere gestiti con fogli di calcolo. Solo il 30% utilizza strumenti di analisi avanzati e solo un 15% ha iniziato ad affacciarsi al mondo dell’intelligenza artificiale.







«Per realizzare un’automazione di processo e una capacità predittiva supportata dall’intelligenza artificiale è indispensabile avere una visione strategica per tutte le fasi di vita del dato, dalla sua acquisizione alla sua trasformazione», afferma Mauro Colombo, technology & innovation director di Hpe Italia. «Quando si parla di dati, l’aspetto quantitativo è solo una faccia della medaglia. Quello su cui ci si deve focalizzare è la qualità dei dati», aggiunge Domenico Impellicieri, head of FastCloud Ict di Fastweb. Se queste sono le premesse non è quindi una sorpresa che la percentuale di aziende con modelli di servizio “data driven” e “product based” sia ancora limitata: per le piccole e medie aziende si aggira attorno all’8% mentre nelle grandi aziende si arriva al 15%. Dall’indagine si evidenzia, inoltre, che l’obiettivo primario degli investimenti rimane all’interno di una dimensione di sviluppo tradizionale: rendere più efficienti le attività ovvero essere più produttivi.

Il 73% delle piccole aziende, il 51,7% delle medie e il 38 % delle grandi dichiara di non disporre di persone esperte nell’analisi dei dati e nel cloud. Fonte Digital Disruption: trasformarsi per rispondere alle sfide di un mondo digitale

Ma c’è qualcosa di importante e nuovo che le aziende iniziano ad esprimere: l’esigenza di assicurare una continuità operativa o resilienza d’impresa. Una priorità che, verosimilmente, si afferma in conseguenza dei gravissimi problemi con cui le aziende si sono confrontate nell’emergenza covid. Resilienza che va di pari passo con un’altra priorità: la ricerca di una maggiore flessibilità. Come realizzare una data strategy, per avere flessibilità, resilienza, per abilitare nuovi modelli di business? Cloud, edge computing, intelligenza artificiale. Ecco i possibili percorsi per contribuire alla creazione di una data economy. Per accelerare il cambiamento servirebbe però un piano di formazione nazionale. L’urgenza di cambiamento e modernizzazione riguarda tutte le aziende, ma non ci sono le persone per realizzarla. Come fare? Automatizzare e, dove possibile, esternalizzare la complessità tecnologica, delegando al cloud o a soggetti terzi? Le domande sono all’ordine del giorno. Soprattutto nel manifatturiero dove mancano persone disposte a lavorare in fabbrica e specialisti con competenze di alto livello, di sviluppo software, di analisi dei dati, di intelligenza artificiale e di integrazione con il cloud.

Il 73% delle piccole aziende, il 51,7% delle medie e il 38 % delle grandi dichiara di non disporre di persone esperte nell’analisi dei dati e nel cloud. Per il 68% delle aziende i dati continuano a essere gestiti con fogli di calcolo. Solo il 30% utilizza strumenti di analisi avanzati e solo un 15% ha iniziato ad affacciarsi al mondo dell’intelligenza artificiale. Fonte Digital Disruption: trasformarsi per rispondere alle sfide di un mondo digitale

Cloud, pubblico, privato. La disponibilità di un’infrastruttura modulabile e scalabile in funzione della crescita del business è considerata una prerogativa irrinunciabile

La formula preferita dalle aziende oggetto dell’indagine è quella del cloud privato. Il pubblico è un’opzione che al momento viene considerata da una quota minoritaria. In media varia dal 9% al 12% ed è funzione della dimensione aziendale. Il cloud ibrido, nonostante l’hype marketing-mediatico, riguarda soprattutto le grandi aziende, ed è utilizzato da circa il 25% di queste. Rimane però immutata la visione per il futuro. «Il private cloud può essere considerato come un primo, timido, passo nel mondo del cloud, ma il vero potenziale di questo paradigma è il cloud pubblico», dice Viviani. Una delle preoccupazioni è il controllo dei dati e soprattutto la sovranità digitale. Se queste sono le ragioni che ancora frenano investimenti nel cloud pubblico è però del tutto ipotizzabile che nel giro del prossimo triennio l’atteggiamento cambi radicalmente. Il motivo è semplice. Da una parte gli hyperscalerGoogle, Amazon, Microsoft – che hanno investito cifre ingenti nella creazione di cloud region sul nostro territorio, dall’altra la rivoluzione che sta interessando il mondo del telco, con i maggiori player, da Fastweb a WindTre, da Tim a Vodafone, che si candidano ad essere cloud provider a tutto tondo per le imprese, offrendo capacità infrastrutturali, di computing, di storage, di networking attraverso un numero sempre maggiori di data center di prossimità, distribuiti lì dove si riscontra la maggiore concentrazione di imprese.

Il cloud privato è la soluzione che più soddisfa le esigenze di business. Fonte Digital Disruption: trasformarsi per rispondere alle sfide di un mondo digitale

Insomma, per capire dove avverrà l’innovazione si deve guardare alla direzione in cui si stanno muovendo gli investimenti. Il cloud di nuova generazione, con data center di prossimità è dove si realizzerà la maggiore innovazione. Se il core business applicativo di molte aziende, se pur modernizzato in versione cloud, continuerà ad essere all’interno del perimetro aziendale, nuovi servizi, applicazioni dedicati a specifici mercati verticali, in primis il manifatturiero, si svilupperanno nella dimensione pubblica. Secondo quanto emerso dalla ricerca è il 24,8% delle aziende con oltre 250 dipendenti ad aver implementato soluzioni di cloud ibrido, mentre solo il 6% di quelle con meno di 50 addetti ha scelto, o può permettersi, soluzioni di questo genere, percentuale che si alza a 13,2% per le aziende fra 50 e 249 addetti. Considerato che il campione dell’indagine è fatto per quasi il 40% da aziende del settore manifatturiero è perfettamente naturale che l’ago della bilancia sia spostato sul consolidamento di piattaforme private. In questo specifico settore l’ict aziendale deve infatti supportare capacità di elaborazione real time di dati di fabbrica, esigenza che, in massima parte, può essere soddisfatta dall’edge computing, da risorse elaborative interne all’ambiente di produzione. In altre parole, la combinazione vincente per il settore del manifatturiero è una combinazione di risorse Ot-It in logica edge-cloud, privata e pubblica.

I vantaggi del cloud. Fonte Digital Disruption: trasformarsi per rispondere alle sfide di un mondo digitale

Hpe, flessibilità operativa all’interno di una dimensione ibrida, pubblica e privata

Mauro Colombo, technology & innovation director di Hpe Italia

Il consiglio di Hpe alle aziende che stanno affrontando la trasformazione digitale? Sviluppare una strategia digitale di breve medio periodo, da uno a tre anni. «L’importante – dice Colombo – è essere nella condizione di poter aggiornare la strategia con una certa flessibilità, senza necessariamente affrontare costi elevati. E questa è una delle prerogative del cloud, la leva naturale per sostenere il digital journey. Quello che possiamo offrire alle aziende come partner tecnologico sono competenze e innovazione. Quest’ultima deriva sia da uno sviluppo organico sia collaborazioni con software house, telco provider e hyperscaler, da operazione di m&a, anche di startup» Le ultime, in ordine cronologico, sono quelle dell’israeliana Axis Security, e quella dell’italiana Atonet, azienda vicentina specializzata in soluzioni 5g per il manifatturiero, l’aeroportuale e l’oil & gas». Per Hpe la strategia di valorizzazione del dato è sempre più legata ad, algoritmi, a software e piattaforme abilitanti.

In stile GreenLake innanzitutto, il modello “everything as a service” di Hpe con il quale gestire una qualsiasi infrastruttura cloud – privata e pubblica, on e off premise – in modo centralizzato e con una sostenibilità coerente con obiettivi di business. Un impegno che si estende in più direzioni. «In queste settimane abbiamo lanciato un’offerta di intelligenza artificiale nel public cloud in collaborazione con una startup tedesca», dice Colombo. La piattaforma supporta le aziende di qualsiasi dimensione nello sviluppo di nuovi modelli algoritmici. La prima region in cui è stata implementata è il Canada e a breve seguirà l’Europa. «La nostra strategia è nel solco dell’hybrid cloud, che combina il meglio di due mondi, privato e pubblico, sottolinea Colombo. Greenlake rende al momento disponibili una settantina di cloud services pronti all’uso. Vantaggi della piattaforma? 75% di riduzione dei tempi di implementazione e 85% riduzione tempi di downtime».

Meno di un quarto delle aziende utilizza i dati per progettare nuovi servizi. Fonte Digital Disruption: trasformarsi per rispondere alle sfide di un mondo digitale

Fastweb, cloud di prossimità e potenza di calcolo a km zero per erogare servizi digitali innovativi

Domenico Impellicieri, head of FastCloud Ict di Fastweb

Il piano di sviluppo di Fastweb prevede la creazione di mini data center distribuiti sul territorio. L’obiettivo è potenziare in modo pervasivo la propria rete di data center, che già vede infrastrutture presenti a Milano e a Roma. Prevista la realizzazione entro il 2025 di 40 nodi edge, server computazionali localizzati e distribuiti in modo capillare sul territorio nazionale per portare la potenza di calcolo sempre più vicina al cliente, abilitando applicazioni che richiedono bassissimi tempi di latenza. Potenza di calcolo a kilometro zero, quindi, per erogare servizi innovativi che necessitano di elaborare enormi quantità di dati in tempo reale.

«La cultura nelle aziende sta cambiando, dice Impellicieri. C’è molta più disponibilità all’innovazione. Il digitale ha cambiato la percezione del valore che può essere generato dalle tecnologie. Gli investimenti in tecnologie non sono più pertinenza della sola organizzazione It aziendale, ma coinvolge aree di business trasversali e lo stesso vertice aziendale». Insomma, sono le decisioni a livello di business che portano a investire in nuove soluzioni: il driver del cambiamento non sono le tecnologie, ma le idee e le persone. E riguardo all’intelligenza artificiale non esistono dubbi. «E’ la nuova frontiera tecnologica a supporto del business digitale. Non è una moda passeggera. E’ la base su cui si svilupperanno nuovi servizi e applicazioni».














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