Big Blue vorrebbe diventare Big Green: la sostenibilità è il nuovo purpose di Ibm

di Barbara Weisz ♦︎ Big Blue ha scelto la sostenibilità (che non a caso è abilitata dal digitale) per definire la sua ragion d'essere. Coniato il metodo "Digigreen" in cinque step: roadmap, paradigma data driven, asset e infrastrutture intelligenti, Green IT, supply chain visibile. Il digital twin di Leonardo. Intelligenza digitale per il delivery in Bofrost: riduzione impatto ambientale e tempi di consegna. A2A e le smart grid. Banca Intesa e le metriche Esg per la finanza. Parlano il ceo Italia Stefano Rebattoni e il managing partner Gianni Margutti

Per le imprese, la sostenibilità nel 2023 dovrebbe essere un po’ come la digitalizzazione nell’ultimo decennio: pervasiva. Riguarda il modo in cui si produce, l’intera supply chain, i prodotti e i servizi, l’accesso al credito, la produttività, la competitività. Ma ci sono molte sfide aperte: il rapporto con le istituzioni, la scelta delle tecnologie, le competenze. L’obiettivo per le imprese è «tradurre l’ambizione della sostenibilità in azione» sottolinea Gianni Margutti, Managing partner Ibm Italia. Il problema è che se da una parte è sempre più frequente l’accento sull’importanza del tema per le imprese, dall’altra in realtà le azioni concrete sono meno frequenti di quanto si pensi. È per questo che, sottolinea ancora Margutti, «parliamo ancora di ambizione: c’è bisogno di un percorso strutturato verso la sostenibilità».

In Italia, «quattro Ceo su cinque pensano che la sostenibilità abbia un impatto sul business, ma solo uno su cinque ha una strategia» in materia. Quindi, la sfida è «allineare sostenibilità e business». Come si fa? Ci vogliono alcuni ingredienti fondamentali: approccio data driven, tecnologie e competenze. La sostenibilità diventa un elemento non più in antitesi con gli obiettivi di profitto e Roi o su cui trovare un giusto compromesso, ma una componente basilare e imprescindibile della strategia aziendale in cui le tecnologie digitali – cloud ibrido, intelligenza artificiale, cybersecurity, blockchain, quantum computing e internet delle cose – sono gli strumenti principali per riconfigurare i modelli di impresa, i processi operativi, le catene del valore e di approvvigionamento, la sicurezza e resilienza, l’attrattività dei talenti e la continua formazione delle competenze del capitale umano. Per Big Blue, ovvero un colosso informatico globale con storia ultracentenaria, la sostenibilità è diventata il Purpose aziendale, ovvero un modo per definire tutta la propria strategia di creazione valore per gli stakeholder, interni ed esterni.







Aiutare i clienti a essere sostenibili è diventato un imperativo categorico, e non è banale visto che, come Industria Italiana ha scritto molte volte, la sostenibilità è abilitata dal digitale. Sostenibilità di Ibm che può essere rappresentata dall’espressione Digigreen, «un binomio tra le nuove tecnologie, come cloud ibrido, Ai e IoT, e capitale umano per un approccio concreto alla transizione ecologica che dia vita a modelli virtuosi», sintetizza Stefano Rebattoni, Ceo Italia. Proprio in occasione del Digigreen – Day organizzato da Ibm Italia a inizio marzo -, abbiamo raccolto diverse best practices, per esempio l’utilizzo dell’intelligenza digitale per il delivery in Bofrost, che riduce insieme impatto ambientale e tempi di consegna, il digital twin di Leonardo, che abilita una progettazione più efficiente e sostenibile (ecodesign), e riduce le spese (test virtuali invece che fisici). Vediamo perchè la strategia che unisce questi due paradigmi può essere vincente, anche in ottica di creazione di valore per l’impresa, oltre che per il pianeta. E soprattutto, forniamo elementi che possono essere utili per seguirla.

 

Da Ibm, un approccio per la strategia DigiGreen

Margutti individua cinque step fondamentali:

  • avere la capacità e la volontà di definire una strategia specifica. Qui, sottolinea il manager, Ibm puoi aiutare le imprese a definirla e inserirla in roadmap (per esempio, con il nuovo programma Ibm Partner Plus).
  • Approccio data driven: bisogna partire dalla centralità dei dati, usare quelli Esg (relativi quindi ad ambiente, impatto sociale, governance) per gestire il risk management. Su questo fronte, le competenze delle persone e le soluzioni digitali sono fondamentali per avere dati affidabili.
  • Asset e infrastrutture intelligenti: significa ad esempio mettere a fattor comune le tencologie (iot, cloud, ai), definire impatto (per esempio, il miglioramento del foootprint), fino ad arrivare alla vita utile degli asset (life cycle management).
  • Green IT: individuare soluzioni che ottimizzano l’impatto ambientale della funzione IT (pensiamo al tema della sostenibilità dei data center).
  • Supply chain: il trasferimento del know how e delle pratiche di sostenibilità, circolarità, tracciabilità, all’intera catena di fornitura. Anche qui, la tecnologia è un fattore abilitante.

Alcune sfide legate alla sostenibilità sono trasversali ai settori industriali, altre molto verticalizzate.

 

Il nodo regolatorio e delle infrastrutture

Stefano Rebattoni, Ceo Ibm Italia

C’è però in molti casi l’esigenza di avere maggiori certezze regolatorie, e ci sono criticità legate alle infrastrutture. Emblematica in questa senso può essere l’esperienza di Bofrost. L’azienda sta valutando la possibilità di puntare sull’elettrico per la propria flotta di automezzi. «Facendo tanti chilometri – spiega il direttore marketing, Enrico Marcuzzi -, è un obbligo morale capire quali sono le alternative sostenibili», ma l’infrastruttura in questo momento non è adeguata. Ipotizzando di sostituire tutti i 25 mezzi della filiale di Milano, «avremmo bisogno di 300 Kw di potenza. L’Enel prevede che si debba avere una cabina elettrica ogni 100 kw». Significa che ci vorrebbero tre centraline solo per la flotta di una singola azienda.

Per ora, quindi, «bisogna essere pragmatici. Utilizziamo sistemi di intelligenza artificiale per il tracciamento dei veicoli. L’ottimizzazione dei percorsi ci consente di ridurre i chilometri», con un risvolto positivo sui conti «e anche un impatto positivo per l’ambiente». Certo, nel futuro «verosimilmente dovremo sostituire il parco macchine, ma ora non siamo in grado di sapere se sarà elettrico, oppure a idrogeno. E’ difficile in questo momento progettare investimenti a lungo termine, ci servirebbe chiarezza dai governi». Quindi, c’è una «difficoltà di pianificazione dell’investimento». Segnaliamo, a questo proposito, che il Consiglio Ue (capi di stato e di Governo) ha rinviato a data da destinarsi l’approvazione della direttiva europea sulle zero emissioni dei veicoli al 2035, anche per una serie di criticità rilevate da una serie di paesi, fra cui l’Italia, legati alla neutralità tecnologica.

 

Perché il Digigreen è strategico per le imprese

Gianni Margutti, Managing partner Ibm Italia

Il ruolo dei decisori politici e delle istituzioni è uno dei volani della trasformazione in chiave ecosostenibile delle imprese. Ma non l’unico. La trasformazione digitale dell’impresa ormai va di pari passo con le pratiche Esg per una serie di motivi. Innanzitutto, lo chiedono i consumatori, quindi il mercato.

Secondo uno studio di Ibm Institute for Business Value (Balancing sustainability and profitability), nel 77% dei casi utilizzano criteri di sostenibilità nelle decisioni d’acquisto e il 64% dichiara di preferire i prodotti acquistati da aziende con una strategia di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale. In secondo luogo, il rispetto dei criteri Esg è sempre più spesso richiesto da banche e sistema finanziario per ottenere prestiti e finanziamenti. Infine, i criteri Esg di per sè stessi abilitano risparmi. Solo per fare qualche esempio, l’economia circolare fa diventare i rifiuti delle materie prime, sottolinea Lucia Leonessi, direttore generale Confindustria CisAmbiente. I dati digitali consentono risparmi di energia.

 

La declinazione green nel manufacturing

Il competence center Made 4.0 ha un’intera area dedicata a queste tematiche.  Persino in un segmento ad alto impatto ambientale, come l’industria aerospaziale. Anzi, forse bisognerebbe dire proprio in un settore come l’aerospazio, dove l’innovazione tecnologica è praticamente il core business. Ma, sottolinea Renata Mele, Senior Vice President Sustainability di Leonardo, spesso si tratta di «tecnologie che possono avere grande impatto sulla sostenibilità». Quindi, Leonardo sviluppa il tema green in relazione a tutte le tecnologie. Per esempio, «sviluppiamo infrastrutture digitali che usiamo internamente per migliorare le nostre performances».

Oppure, i digital twin: «il gemello digitale di un elicottero consente di simulare come intervenire, come fare manutenzione predittiva, ma anche di utilizzare i materiali migliori. Diventa quindi strumento di progettazione» in ottica di ecodesign, consente di effettuare «test virtuali invece che fisici (significa meno missioni, meno materiali)». Infine, Leonardo intervenire sulla sostenibilità dell’intera catena del valore, dai fornitori ai clienti. «Facciamo dei training virtuali, abbiamo cicli di addestramento dei piloti dei nostri clienti, che sono anche Governi. Molta parte viene fatta con simulatori di volo», che riproducono situazioni non facili da trovare nelle condizioni reali. Le tecnologie aerospaziali abilitano la transizione green di altri settori, come l’agricoltura. L’utilizzo dei dati satellitari consente di monitorare territori. Mele cita le applicazioni per l’agricoltura: «vengono forniti dati su acidità terreni, gradi di umidità, capire dove intervenire con i fertilizzanti. tutti temi legati a tecnologie, innovazione e sostenibilità.

Nel mondo del lavoro è sempre più importante la strategia di sostenibilità aziendale. È in grado anche di far cambiare società agli impiegati

Il digitale per l’energia pulita

In altri settori, come quello dell’energia, il rapporto con la sostenibilità è di immediata comprensione. Qui, sono centrali tecnologie come l’intelligenza artificiale e l’Iot. Spiega Stefano Saglia, consigliere Arera: «le reti sono centrali e il dispacciamento di energia è fondamentale. Le rinnovabili non sono programmabili, la produzione è legata al clima. Ci sono ore del giorno in cui produciamo più del 50% da fonti rinnovabili». Ma c’è comunque bisogno di immettere energia in rete anche nelle ore senza sole e vento. E qui interviene il tema dell’intelligenza della rete. Non solo per l’ulteriore sviluppo delle rinnovabili, ma anche per la gestione ordinaria.

In A2a, per esempio, spiega Gianluca Fusco, Head of BU Smart Utilities, «con le smart grid la rete di distribuzione è fortemente digitalizzata, riguarda tutte le attività operative ma anche analitiche, nel senso che sfruttiamo il dato per pensare cose che oggi non facciamo ancora». Questo necessita di nuove competenze. Anzi, «ci vogliono più che nuove competenze, è necessaria una nuova cultura. Prima c’erano i tecnici informatici, che facevano sperimentazioni, e unità di business concentrate sugli aspetti operativi industriali. Oggi chi si occupa di tecnologia deve conoscere i processi, e chi gestisce i processi non può non conoscere la tecnologia».

I criteri di sostenibilità spostano anche gli equilibri del mercato

Le metriche Esg per il settore finanziario

Le nuove tecnologie a favore della sostenibilità dei modelli di business

Infine, un settore non immediatamente riconducibile alla trasformazione green: la finanza. Intesa San Paolo ha un modello di governance che integra business, digitale e ambiente. C’è «una cabina di regia Esg che affronta tutte le tematiche (progettazione, messa a terra, sinergie) – spiega Anna Monticelli, Head of Circular Economy Desk Intesa Sanpaolo -. Nel piano strategico 2022-2025 sono previsti 76 miliardi euro solo per i finanziamento della transizione green delle imprese. Li stiamo utilizzando, c’è tantissima richiesta, stiamo mettendo a terra una grande quantità di progetti su trasformazione ecologica, sicurezza energetica, decarbonizzazione. Aderiamo a tutte le iniziative net zero, come la NetZero Banking Alliance (Nzba), Net Zero Asset Managers Initiative (Nzami). Gli obiettivi: zero emissioni nette proprie entro il 2030, zero emissioni nette entro il 2050 per i portafogli prestiti e investimenti e per l’asset management e l’attività assicurativa».

Romano Stasi, segretario generale Abi Lab (centro di ricerca e innovaizne banche italiane), e direttore operativo Coo CertFin (Computer Emergency Response Team del settore Finanziario Italian, co presieduto da Abi e Banca d’Italia), rileva come il tema delle strategie Esg del settore sia al centro di attività regolatorie anche a livello europeo. «C’è una volontà europea di arrivare a modelli di rendicontazione, rappresentare impatti ambientali, valorizzare iniziative reali attraverso indicatori e metriche, utilizzando standard diversi, e metterle a disposizione degli stati membri». Monticelli conferma che Intesa riscontra il problema. «Da qualche anno misuriamo l’impatto Esg dei clienti, abbiamo un nostro sistema, prendiamo i dati dai provider disponibili, ma gli standard sono diversi, ognuno rendiconta come vuole. I dati non sono sempre confrontabili, noi cerchiamo di prendere quelli “migliori”,  effettivamente confrontabili». C’è una sfida sugli open data nel settore Esg, anche in ottica di ottenere finanziamenti. Come è noto, i parametri di sostenibilità sono sempre più spesso un criterio valorizzato nella fase di valutazione di un prestito. E in questo senso, la disponibilità e la condivisione dei dati possono giocare un ruolo importante.














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