Huawei: adesso diciamo tutta la verità sul 5G

di Marco Scotti ♦︎ I vertici della multinazionale cinese, ora leader mondiale nelle reti tlc, parlano delle loro strategie sui network di nuova generazione e delle ricadute su economia mondiale e industria. Previsti oltre 7 trilioni di dollari in più nelle economie mondiali. Ma per goderne appieno servirebbero regole più rapide e maggiori investimenti. E gli over the top - da Facebook a Google fino a Netflix - andrebbero "ridimensionati" per non fagocitare l'intera banda

Hua Liang, presidente di Huawei

«Il Coronavirus ha saputo risolvere quello che noi chiamiamo l’enigma delle tlc: un settore complesso, iper normato, con alti investimenti necessari e un roi lento ad arrivare è diventato il settore chiave per la definizione del new normal». Stuart Carlaw, Chief research officer Abi Research, spiega durante il “Better World Summit 2020” di Huawei perché le nuove tecnologie abbiano ricevuto una spinta decisiva dalla pandemia. La supply chain, le infrastrutture critiche, il mondo del manifatturiero sono solo alcuni dei comparti che avranno una maggiore evoluzione con l’introduzione, ormai quasi obbligata, delle nuove tecnologie di connessione. Il mondo delle telecomunicazioni rappresenterà un motore eccezionale per la crescita del prodotto interno lordo globale, con un peso di circa 7,6 trilioni di dollari entro il 2030. Si tratta del peso equivalente dei 14 stati compresi tra la diciassettesima e la trentesima posizione a livello globale per ricchezza prodotta. Parliamo di nazioni come Olanda, Svizzera, Belgio, Svezia, Austria e Norvegia.

«Se ci concentriamo solo sul manufacturing – prosegue Carlaw – le linee di produzione flessibili, con una riconfigurazione rapida, porteranno 1.000 miliardi di dollari in ricavi entro il 2030 e contribuiranno per 2,5 trilioni al pil globale. Il generative design produrrà 16 milioni di licenze commerciali entro il 2030, e la gestione automatizzata porterà 250 miliardi di dollari in ricavi diretti e contribuirà per 750 miliardi al pil mondiale».







 

La trasformazione della supply chain e le città del futuro

Le telco guideranno la transizione verso il new normal. Portando valore aggiunto nella supply chain, nel manifatturiero e nelle infrastrutture critiche

Anche l’intera catena distributiva vedrà una profonda trasformazione, con un incremento della redditività. Le consegne automatizzate e senza contatto dell’ultimo miglio e la robotica as a service porteranno 13,4 miliardi di introiti in più entro il 2030. Circa 700 miliardi proverranno dallo sviluppo di soluzioni per l’integrità e tracciabilità delle risorse. «Per quanto concerne le infrastrutture critiche – aggiunge Carlaw – il monitoraggio da remoto tramite IoT connetterà 181 milioni di asset entro il 2026. La manutenzione predittiva e prescrittiva gestita dall’intelligenza artificiale porterà a 113 miliardi di investimenti sul monitoraggio. Il supporto tecnico da remoto tramite realtà aumentata porterà a 28,3 milioni di utenti di questa tecnologia entro il 2024».

La partita più grossa in merito alle nuove connessioni riguarda però le smart city. Un concetto che mai come ora sta tornando sulle agende dei governi per garantire maggiore efficienza e più tracciabilità. La gestione degli spazi, del traffico e dei movimenti della popolazione richiederà 14 trilioni di investimenti entro il 2030 e progetti di trasformazione e resilienza urbana avranno bisogno di ulteriori 1,2 trilioni. Si prevede che 521 città tra le più importanti al mondo impiegheranno i gemelli digitali per la pianificazione urbana entro il 2030.

 

Le telco saranno un motore a patto che si sviluppi una vera community

Le telco porteranno un valore aggiunto al pil mondiale paragonabile alla somma della ricchezza prodotta da 14 Paesi, dal 17° al 30° posto nella classifica delle economie più floride del mondo

Essere un operatore di telecomunicazioni nel mondo, ormai pensionato, del prev-Covid, non era decisamente un grande affare. Le licenze per la costruzione e la gestione dei ripetitori, ad esempio, garantiscono un Roi annuo tra una 1,4 volte l’investimento iniziale. Ma servono 10 anni per costruire questi sistemi. «Un altro tassello che necessita di una modifica – chiosa Carlaw – riguarda le policy a livello continentale. In Europa, ad esempio, le nuove norme sul roaming hanno ridotto del 50% le entrate delle aziende, che al contempo hanno dovuto incrementare la velocità di connessione e hanno visto crescere il traffico. La condivisione del traffico degli over the top in alcuni segmenti è cresciuta di 30 volte, erodendo i ricavi consumer. Infine, a causa delle recenti tensioni politiche, l’installazione del 5G procede a rilento e servono miliardi per sostituire infrastrutture di rete ormai logore».

Per questo motivo serve trovare un nuovo equilibrio tra misure positive e l’attuale meccanismo di relazione con le telco. Senza una community vera e propria, le infrastrutture critiche, i servizi e le economie di tutti i paesi del mondo sarebbero deficitari. «Tra le misure che ci sentiamo di consigliare – prosegue Carlaw – ce ne sono quattro: la prima riguarda una riforma delle frequenze e dei ripetitori. Serve

liberare più frequenze e ridurre le clausole sulle licenze come è stato fatto durante l’epidemia di Covid da parte di Usa, Irlanda, Giordania, Arabia Saudita, Panama e Brasile. Serve inoltre ridurre gli oneri di licenza per le antenne di nuova concezione e le tempistiche burocratiche, dal momento che oggi il 36% dei costi è legato proprio all’antenna e servono quattro mesi per ottenere il via libera. Infine, servirebbe abbandonare la tassazione sulle licenze per ottenere la banda, come avviene con il 5G in Nuova Zelanda».

Altre misure proposte sono quelle relative alla regolamentazione del ruolo degli Ott e alla loro gestione della banda complessiva, un po’ quello che è successo con Netflix durante il lockdown quando si è deciso di chiedere la riduzione della definizione dei filmati per evitare che venisse “cannibalizzato” l’intero network. Altro tema fondamentale è quello relativo alla connessione delle zone di campagna in modo da garantire la connessione al 5G. Si tratta di un tema che ha movimentato negli Usa 20 miliardi di dollari attraverso la creazione del Rural Digital Opportunity Fund. Infine, serve garantire l’accesso alla banda locale alle infrastrutture critiche e a determinate industry, come già avviene in Uk, Usa e Germania.

 

La creazione di un ecosistema digitale

Vengono individuati sette diversi modelli di sviluppo della digitalizzazione, ognuno precipuo di alcune tipologie di Paesi

Quello che emerge chiaramente ora che la morsa del Coronavirus si sta allentando, anche se in modo disomogeneo, è la necessità che il digitale sia ancor più parte integrante della vita lavorativa dei Paesi. Non è più una questione di vedere film in streaming o di utilizzare i social network ma, soprattutto, di creare le condizioni per poter svolgere le mansioni che prima venivano fatte in presenza attraverso remote control e tecnologie alternative. «I paesi – ci spiega Rajesh Duneja, partner della società di consulenza Arthur D Little – stanno spendendo miliardi di dollari in digitalizzazione. L’economia tecnologica sta crescendo tre volte più rapidamente del pil tradizionale, vale il 5% dell’economia mondiale e contribuisce al 15% del valore aggiunto complessivo. Quello che stiamo vedendo è che esistono sette modelli di digitalizzazione, sette “archetipi”, che hanno peculiarità intrinseche e che devono essere ben conosciute per poter migliorare la trasformazione digitale».

Riconoscersi all’interno di questo quel modello consente di massimizzare gli sforzi. Nazioni come Svezia, Israele e Corea del Sud, che hanno ampia innovazione in diverse aree e che vengono chiamati “innovation hub; Paesi come la Germania, “efficient prosumer”, che guidano l’innovazione tecnologica nell’industria locale; i “service powerhouse” come l’Irlanda, che hanno una forza lavoro in grado di adattarsi e un’economia aperta; i “global factory”, come la Cina o il Messico, che aumentano la competitività nel manifatturiero; i “business hub” come Singapore, che incrementano il loro ruolo di terra ideale per gli investimenti; gli operatori Ict più maturi, che individuano i settori chiave della digitalizzazione per aumentare la competitività: è il caso della Bulgaria; infine, gli “ict novice”, che devono puntare soprattutto sulla creazione e sullo sviluppo di un’infrastruttura digitale, come avviene con la Bosnia. Appartiene agli ultimi due gruppi l’80% dei Paesi del mondo, fa parte dei business hub il 6% delle nazioni, il 7% si identifica nel terzo e nel quarto gruppo mentre i veri innovatori rappresentano solo il 6% del complessivo.

 

Focus sulla Germania

Il piano da 200 miliardi messo a punto dal governo tedesco per promuovere la digitalizzazione del paese

In Germania esiste un’associazione, Eco, che mette insieme tutti i principali operatori di internet. La prima cosa che deve essere segnalata è che il lockdown, per quanto duro e doloroso, non si è mai tradotto in una serrata complessiva. Il comparto della logistica, quello della comunicazione digitale, le fabbriche, la gdo: tutti hanno continuato a lavorare nonostante le restrizioni. «Quello che abbiamo notato nel pre-Covid – ci spiega Alexander Rabe, amministratore delegato di Eco – è che la Germania non era particolarmente all’avanguardia: eravamo al 12° posto per digitalizzazione in Europa e la maggior parte delle aziende non aveva una cultura di mobile working. Poi, dopo il lockdown, tutti si sono accorti dell’importanza del digitale. Il traffico di dati è schizzato a 9,3 Terabit/sec, un record mai registrato prima. Per questo non possiamo che applaudire al pacchetto di aiuti che il nostro Paese ha messo in campo per la digitalizzazione. Sono 200 miliardi per lo stimolo e lo sviluppo di progetti innovativi, che puntino su 5G, intelligenza artificiael, quantum computing e accesso alla banda ultralarga. Entro il 2025 il 5G sarà disponibile per tutti e il Coronavirus ha dato un’ulteriore accelerata, facendo crescere le infrastrutture digitali di un altro 1,7%».

 

La Cina… è vicina. E i progetti di Huawei nel mondo

La diminuzione degli investimenti da parte della Cina in infrastrutture di rete

Nonostante Pechino abbia da tempo puntato sull’eccellenza nelle nuove tecnologie, la crescita di investimenti in infrastrutture digitali ha progressivamente rallentato passando da un +42,2% nel 2009 a un +3,3% nel 2019. «Nel nostro paese ci siamo posti sei priorità – ci racconta Wei Liurong, della China Academy of Information and Communication Technology – per migliorare la qualità della connessione. Oggi il 98% delle aree rurali è comunque coperta dal 4G. Ma gli obiettivi che vogliamo perseguire si concentrano su sei macroaree: incoraggiare investimenti su larga scala per garantire lo sviluppo economico; sviluppare riforme strutturali per facilitare lo sviluppo delle industrie; stimolare i consumi attraverso la creazione di nuovi modelli e nuovi servizi; nuovi modelli di business che danno vita a nuovi lavori; integrazione tra i servizi dedicati agli stili di vita per la promozione dell’avanzamento sociale; impiegare il mercato domestico particolarmente forte per testare nuove tecnologie e innovazioni».

Ovviamente, tra i protagonisti di questa trasformazione in Cina c’è anche Huawei, che sta supportando lo sviluppo di queste soluzioni sia in patria, sia all’estero. Il livello di disoccupazione, al momento, è tra i più alti dalla Grande Depressione e oltre il 50% della popolazione mondiale non ha accesso a internet. «Ma l’attività economica sta tornando alla normalità – ci spiega Catherine Chen, corporate senior VP and director of the board Huawei – grazie al fatto che l’Europa ha stanziato 1,1 trilioni per ridare vigore alla crescita, che ne sono stati investiti oltre due per l’economia digitale e che soltanto il 5G porterà a 140 miliardi di investimenti nei prossimi cinque anni. Per quanto riguarda il nostro impegno, abbiamo messo a disposizione reti sempre più sicure ed efficaci che hanno consentito di poter lavorare anche durante il lockdown, creando oltretutto nuovi modelli di business. I medici hanno lavorato insieme all’intelligenza artificiale per fare diagnosi più rapide; nella logistica il remote control ha permesso di gestire i container appoggiandosi a reti di nuova concezione; nel mondo dell’energia sono stati fatti controlli e manutenzione con i droni, rendendoli più veloci ed efficaci di 80 volte. Huawei, inoltre, continua a sviluppare il suo programma, lanciato nel 2008, che vuole promuovere una profonda conoscenza dell’industria Ict, incoraggiando a costruire digital community. Di questo programma hanno beneficiato oltre 30.000 studenti e più di 400 università. E durante la pandemia abbiamo trasferito il medesimo programma online».

 

Chi è Huawei

Huawei è un fornitore globale leader di infrastrutture per la tecnologia dell’informazione e della comunicazione e dispositivi intelligenti. Con soluzioni integrate in quattro domini chiave – reti di telecomunicazioni, IT, dispositivi intelligenti e servizi cloud – l’obiettivo è offrire il digitale a ogni persona, casa e organizzazione per un mondo completamente connesso e intelligente. Ha 194.000 dipendenti e opera in oltre 170 paesi e regioni. Fondata nel 1987, Huawei è una società privata di proprietà dei suoi dipendenti.














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