Dal Next Generation Cloud ai big data: tutte le novità di Hpe Italia raccontate dal presidente e ceo Stefano Venturi, alla vigilia di Hpe Discover 2021

di Filippo Astone e Marco de' Francesco ♦︎ L’evento (23-25 giugno) si focalizzerà sull’utilizzo degli insight per migliorare il lavoro e la produttività. Tra le sfide, diventare completamente "as a service" entro il 2022. Il progetto Gaia-X, le data driven society e…

Stefano Venturi, presidente e ceo Hpe Italia

“Il futuro è Edge to Cloud” è il tema di Hpe Discover 2021, l’evento virtuale globale di tre giorni organizzato dalla multinazionale americana di Ict, leader mondiale in tutto ciò che è trattamento e analisi dei Big Data, nei server e non solo sia all’Edge ma anche in Hybrid Cloud. L’evento sarà focalizzato sull’utilizzo degli “insight” per migliorare l’estrazione di informazioni a valore, nonchè la produttività. E saranno svelate novità tecnologiche, che arricchiranno ulteriormente i classici cavalli di battaglia di Hpe.

La kermesse avrà inizio il 23 giugno, con l’intervento del ceo mondiale Antonio Neri. Nella stessa giornata si terrà una “sessione italiana”, con la partecipazione del presidente e ceo della filiale italiana Stefano Venturi, nonché di Claudio Bassoli e Mauro Colombo, rispettivamente vice president e Technology and Innovation director di Hpe Italia. In questo contesto, gli ospiti d’onore saranno Blu Arancio e Pirelli, che illustreranno use case davvero interessanti. Negli altri due giorni, il 24 e il 25 giugno, saranno della partita personaggi come il sette volte campione del mondo F1 Lewis Hamilton; ma anche Mary Barra, chair e ceo GM, e Bob Legters, chief data officer Fis, azienda leader mondiale nelle tecnologie per il Fintech. Il programma, con tutti gli ospiti, si può reperire qui.







Nel corso della tre giorni si parlerà ovviamente dei cavalli di battaglia di Hpe: l’Edge Computing e il Next Generation Cloud, una modalità di fruizione delle risorse informatiche in modalità “as-a-service”, e al contempo un sistema per modernizzare le applicazioni sia sviluppate in modalità “Cloud Native” che “legacy”e movimentare tali workloads applicativi in ambiente Multi-Cloud con enorme semplicità e mantenendo quella che viene chiamata “Data Gravity” ossia la proprietà intellettuale sui dati creati dai clienti stessi, ossia senza duplicazione ma elaborando i dati laddove sono generati. A poche ore dall’inizio della manifestazione, abbiamo intervistato Stefano Venturi. Il nostro colloquio è partito dall’evento per fare poi il punto su Hpe, sull’Ict in Italia e nel mondo, e su tutto quanto ruota attorno al mondo dei Big Data, decisivi per qualunque settore economico.

Claudio Bassoli, vicepresidente Hpe Italia

È emerso che in Italia, anche a prescindere dagli incentivi del programma governativo Transizione 4.0, si assiste ad una rinnovata spinta verso la digital transformation: molte aziende, che con il Covid-19 hanno rivalutato l’importanza delle tecnologie abilitanti in termini di resilienza, ora stanno comprendendo i vantaggi dell’estrazione del valore dai dati per la competitività sui mercati.

È emerso che in Italia e in Europa Gaia-X – un’iniziativa nata per creare un nuovo modello di cloud federato e interoperabile che ha il compito di dare vita a un modello diverso, «distribuito» e «ortogonale» rispetto a quello diffuso finora e tipico degli “hyperscaler”. Con questa iniziativa le aziende, creando un ecosistema digitale aperto, possono condividere i propri dati in sicurezza, anche in termini di sovranità delle informazioni e garantire quindi un nuovo slancio in termini di competitività delle imprese.

È emerso che la strategia di Hpe per la crescita è già definita, per il prossimo futuro: favorire la valorizzazione dei dati delle aziende clienti con soluzioni sempre più innovative, derivanti sia dagli investimenti in Ricerca e Sviluppo, che da una strategia di acquisizioni mirate di imprese e “start-up” in grado di arricchire ancor di più Hpe in termini di proprietà intellettuali e tecnologie. Lo scopo è quello di diventare una società completamente “as a service” entro il 2022.

 

D: Su quale argomento verterà l’Hpe Discover 2021?

R: Sulla capacità delle organizzazioni di estrarre valore dai dati, di trasformarli in informazioni fruibili, in insight utili non solo per l’ottimizzazione del prodotto, ma anche per rendere i processi più agili e reattivi e per definire nuovi modelli di business. Insomma, il protagonista sarà il dato, come leva fondamentale per la competitività.

I focus di Hpe Discover 2021

D: Come sarà strutturato l’evento?

R: In tre giornate distinte per argomenti e pubblico potenziale. La prima (il 23 giugno) è rivolta ai ceo o ai cio (responsabili Ict) impegnati in decisioni strategiche; si discuterà dei temi più “visionari”, legati ai grandi cambiamenti di business che si possono ottenere grazie all’esame delle informazioni. Protagonista sarà Antonio Neri, insieme ad altri esponenti del comitato esecutivo. Poco prima, ci sarà una “sessione italiana”, alla quale parteciperò insieme a Claudio Bassoli e Mauro Colombo. Nella seconda giornata (il 24 giugno) si entrerà maggiormente nell’aspetto tecnico, soprattutto con l’intervento del senior vice president e cto (a livello corporate) Eng Lim Goh. Nella terza giornata (il 25 giugno) le aziende avranno l’opportunità di “mettere le mani” nella nostra tecnologia. Tra i partecipanti, Keren Bergman, professore di ingegneria alla Columbia University. A livello italiano, fra i clienti che saranno valorizzati, oltre a Pirelli, anche Bluarancio, società che progetta servizi a valore aggiunto in ambito Itc.

 

D: Quali novità tecnologiche saranno presentate?

R: Non si può anticipare molto. Posso dire che saranno presentate novità sia in ambito storage, che in quello delle piattaforme digitali avanzate con modalità di fruizione dei servizi digitali in Cloud.

Hpe Discover Tech Academies

D: A proposito della “sessione italiana”: a quali cambiamenti si assiste nel mercato nazionale delle risorse informatiche? Quali sono i trend in atto?

R: Quello che abbiamo notato, è che le aziende tendono a spostarsi verso una modalità di fruizione di risorse informatiche in modalità “as-a-service”, e cioè “pay-per-use” o come preferisco chiamare “pay as you sell”. In pratica, le imprese non acquistano le licenze, ma pagano in base all’effettivo utilizzo del servizio e del workload che vanno ad utilizzare. Come lo fanno? Portando i propri workload in Cloud Ibrido, o presso strutture in “colocation”. Sul Cloud le aziende possono trovare infrastrutture digitali complete, piattaforme e software per le elaborazioni; ed è indiscutibile che il modello “pay-per-use” comporti di per sé un risparmio e consenta a piccole realtà ancora non ben strutturate di accedere a risorse che certo non potrebbero acquistare. Detto questo, la nostra visione è un’altra: una terza via rispetto all’acquisto delle licenze e al public Cloud. In Hpe, si parla di Next Generation Cloud.

 

D: Che cos’è esattamente il Next Generation Cloud?

Antonio Neri, ceo di Hpe

R: È una modalità di fruizione dei servizi informatici as-a-service, che però unisce l’agilità e il modello economico del cloud pubblico alla sicurezza e alle prestazioni dell’IT on-premise. Il trasferimento dei dati sul Cloud non comporta un problema di “Data Privacy”; anzi, la titolarità della proprietà intellettuale è garantita. Ciò significa che, se una filiera produttiva adotta questa tecnologia, l’ecosistema di expertise locale rimane intatto. Inoltre, questo genere di Cloud è “personalizzabile”, nel senso che possono adattare le infrastrutture digitali alle proprie esigenze. E poi, a differenza del Cloud di prima generazione, il nostro pone l’accento non sul luogo dove i dati sono trasferiti, ma sull’esperienza che l’azienda può far vivere all’utente utilizzando i dati laddove sono generati.

 

D: In che senso il Next Generation Cloud ha a che fare con l’esperienza dell’azienda che lo utilizza?

R: Anzitutto, come si è detto, c’è un’esperienza di budget, con la modalità di pagamento a consumo. In secondo luogo, il sistema consente la possibilità di incapsulare le applicazioni in “containers”: in pratica, le applicazioni vengono isolate e pacchettizzate all’interno di “containers” che sono agili e facilmente trasportabili dall’Edge al Public Cloud, al DC e viceversa. Dal momento in cui ciò accade, le applicazioni possono essere trasferite da un data center all’altro ed eseguite con assoluta trasparenza senza modifica del codice dell’applicazione stessa. I workload appliucativi diventano “mobili” a tutti gli effetti, a prescindere dal “luogo” di destinazione, ossia danno la possibilità di rispondere molto più velocemente alle esigenze del business e garantiscono un’ottima e più efficace risposta alle richieste di mercato . Il Next Generation Cloud ha anche altri pregi.

 

D: Quali sono gli altri vantaggi del Next Generation Cloud?

R: Il Next Generation Cloud di Hpe prevede l’utilizzo di GreenLake Central, una console operativa centralizzata e sviluppata in modalità “Software as a Service” che esegue, gestisce e ottimizza l’intero patrimonio IT dell’azienda. Dal cruscotto centralizzato di GreenLake Central si possono gestire applicazioni virtualizzate, containerizzate oppure Bare Metal e ridurre la complessità nella gestione di workload di Advanced Analytics e workload di tipo gestionale come Sap Hana.

Hpe GreenLake in numeri. Hpe ha 4 miliardi di dollari di contratti in essere su GreenLake, suddivisi su oltre mille clienti che operano in più di 50 Paesi diversi

D: Qual è il vostro obiettivo in termini di soluzioni “as a service”?

R: Entro il 2022, intendiamo rendere disponibile il 100% delle nostre tecnologie in questa modalità. Questo non significa che non potremo più offrire infrastrutture in modalità tradizionale ma anzi arricchiremo la nostra offerta anche con la modalità “as a service” a seconda di quello che è la richiesta dei nostri clienti.

 

D. Voi avete dichiarato che entro il 2022 Hpe sarà una società completamente “as a service”. Questo significa che se un’azienda verrà da voi per acquistare un server portandoselo poi a casa non glielo venderete più perché o “as a service” o niente?

R. Grazie della domanda che mi consente di chiarire un misunderstanding che talvolta si è creato in riferimento a questo obiettivo così importante per noi e per tutta la community dei nostri stakeholder. L’obiettivo è che il 100% delle nostre tecnologie sia disponibile in questa modalità, ed è un target ambizioso. Ma il portafoglio di soluzioni di acquisto è ampio e variegato, e i clienti potranno sempre scegliere quelle che preferiscono.

Tutti i numeri di Hpe Discover 2020

D: Sempre a proposito della situazione italiana, e a parte la tendenza ad utilizzare le risorse informatiche in modalità “as-a-service”, quali altri trend sono in corso nel Belpaese?

R: La pandemia ha acceso le intelligenze, in termini di digitalizzazione. Ha accelerato un processo già in corso, quello della trasformazione digitale, divenuto oggi indispensabile per la continuità del business e la competitività delle aziende sul mercato. Sempre più le aziende comprendono l’importanza del dato e la necessià di estrarne valore, e ambiscono a diventare “data driven society”, e cioè imprese che considerano la gestione delle informazioni non come un mero fattore tecnico, ma come un pilastro strategico del business. In questo schema le decisioni vanno basate su fatti oggettivi, che derivano dall’analisi dei dati raccolti (con frequenza) sul campo, ma anche da fonti esterne all’impresa, se si ragiona in termini di filiera. Oggi un ceo, un manager, un operatore di linea, devono scegliere velocemente, perché i tempi dell’industria sono sempre più incalzanti; e le serie storiche e le analisi metriche non bastano più.

 

D: Questo passaggio alla “data driven society” riguarda solo aziende di una certa dimensione?

R: In una forma così “estrema”, per ora sì; ma anche aziende piccole, che ormai da tempo sentono parlare del valore dei dati per la competitività, vogliono capire come entrare in questo mondo.  E poi, in un certo senso, queste aziende sono “costrette” a farlo: i grandi produttori, ma anche i Tier 1 (fornitori di primo livello che si collocano al vertice della supply chain, orchestrandone l’attività) non chiedono soltanto componenti, ma anche tutti i dati ad essi relativi. Esigono, per così dire, il pedigree digitale del pezzo.

L’architettura IoT a quattro livelli elaborata da Hpe

D: Chi si occupa, nelle aziende, di questi cambiamenti?

R: Anzitutto va detto che la spinta in questa direzione arriva dal vertice, perché il cambiamento risponde ad esigenze di business. Quindi sono gli “stakeholders” delle singole funzioni e unità operative che, avendo intercettato le richieste dalla clientela, si rivolgono all’IT perché dia vita a risposte in termini tecnologici con tempi molto stretti e fra l’altro, sono sempre di più quelli che hanno il budget dedicato per questi progetti.

 

D: Quali sono gli effetti del pacchetto di incentivi legati al piano Transizione 4.0?

R: Presto per dirlo. Ma una cosa si può affermare sin da subito: la molla della trasformazione digitale risiede nella volontà dell’azienda di migliorare il proprio business e il proprio posizionamento sul mercato. Gli incentivi costituiscono lo strumento per avviare questo processo. Peraltro, fra non molto si assisterà ad un incremento generale della competitività di molte industrie, grazie all’iniziativa Gaia-X.

Con il piano Transizione 4.0, per cui sono stati stanziati 18,45 miliardi di euro, prosegue la politica di supporto alle imprese italiane avviata con Industria 4.0. Le novità introdotte riguardano principalmente gli incentivi per innovazione tecnologica, Ricerca e Sviluppo, formazione del personale in tecnologie 4.0. I contributi per investimenti ad alto contenuto tecnologico vanno nella direzione di maggiore efficienza e competitività delle imprese, ma anche verso una sostenibilità che abbraccia tematiche ambientali e sociali

D: Che cos’è esattamente Gaia X?

R: L’iniziativa Gaia-X nasce per creare un nuovo modello di cloud federato e interoperabile che dia vita a un modello diverso, «distribuito» e «ortogonale» rispetto a quello diffuso finora e tipico degli hyperscaler. Il nostro obiettivo non è quello di avere nuove regole che creino muri attorno alla tecnologia europea, ma quello di dar vita a una nuova generazione di cloud che, a differenza di quella attuale, non sia concentrata all’interno di pochi grandi data center, governati da tecnologie non europee, come nel caso degli hyperscaler. Soprattutto, Gaia-X è importante perché deve garantire la sovranità dei dati, un elemento chiave per prosperare nell’economia digitale.

Le soluzioni Hpe per Gaia-x

D: Perché la sovranità dei dati è così rilevante?

R: Perché i dati non sono più un sotto-prodotto dell’attività industriale digitalizzata, ma sempre più il suo core business. Perché attraverso l’analisi delle informazioni si può collegare ad esempio il mondo dell’IT con quello “di fabbrica”, migliorando la flessibilità dell’azienda e il controllo dello “shop floor”; perché si possono attuare nuovi modelli di business e processi decisionali “data driven”, di cui abbiamo parlato; e perché in un mondo in cui i prodotti si fanno commodity, si possono offrire valore e nuove esperienze ai clienti, oltre che risolvere più velocemente i loro problemi. Insomma, non a caso si parla di centralità dei dati: costituiscono una risorsa strategica per le imprese. Il problema è che le aziende talora non sanno neppure dove sia conservato questo patrimonio informativo; normalmente è parcheggiato in piattaforme Cloud di provider diversi, non europei, e le aziende non sono in grado di sfruttarne l’integrale potenzialità. Qual è, dunque, l’obiettivo di Gaia-X? I dati e i servizi devono essere resi disponibili, raccolti e condivisi in un ambiente che noi definiamo “Zero-Trusted” ossia di “estrema fiducia”. L’impresa deve essere posta nella condizione di accedere alle informazioni che la riguardano, e di poterle utilizzare nei tempi utili per l’industria.

 

D: Gaia X è un’idea europea. Perché le società americane sono entrate in Gaia-X-Aisbl, l’associazione funzionale alla realizzazione di Gaia-X, dal momento che non dispongono neppure del diritto di voto, riservato alle aziende europee?

R: Perché Gaia-X regola un mondo concepito come un ambiente completamente aperto. Negli Usa, alcune corporation basano la propria strategia di business su standard chiusi; ma altre no, puntano su modelli open e intendono mettersi alla prova su questo terreno, in Europa. Vale anche per noi, che peraltro siamo “One-day member” di Gaia X: significa che abbiamo aderito immediatamente sin dalla nascita. D’altra parte, già venti anni fa, quando non ci eravamo ancora scissi da Hewlett Packard Company, abbiamo adottato il sistema operativo aperto Linux, uno dei più riusciti esempi di software “open source”. Al tempo, quest’ultimo era considerato più adatto alle console dei videogame che per una grande società dell’IT quale la nostra. Invece, a mio modo di vedere, se siamo saliti in cima alla classifica mondiale dei server, lo dobbiamo anche a questa scelta. Adottare gli open standard rappresenta infatti un grande vantaggio: anzitutto, cambia la cultura aziendale, perché in un mondo aperto devi tenere il passo, non puoi mai fermarti a riposare perché gli altri, quelli che si misurano sullo stesso campo da gioco, non lo fanno; in secondo luogo perché in un mondo chiuso non c’è spazio per l’innovazione, che per noi è una leva fondamentale di crescita. Dunque, alla fine noi siamo entrati nel progetto perché Gaia-X risponde ad un nostro credo cruciale, che è quello secondo il quale il mercato dell’erogazione dei dati e dei servizi deve rimanere aperto, in Europa come altrove, anche se deve essere normalizzato e standardizzato.

Hpe roadmap service per Gaia-X

 

D: Perché pensa che Gaia X porterà molte industrie ad essere più competitive?

R: Perché la possibilità di elaborare dati provenienti da varie fonti, esterne al perimetro aziendale, può portare l’azienda ad ottenere insight attualmente inimmaginabili, e alla definizione di nuovi modelli di business. Facciamo un esempio che ha già dimostrato la sua efficacia: in Germania c’e’ un progetto importante che fa parte dell’iniziativa chiamato Catena-X che vede la collaborazione dei più grandi produttori nel mondo dell’automotive tedesco ma non solo e i produttori di pezzi di ricambio in modo da condividere i dati di produzione, riducendo così i tempi di riparazione e aumentando la qualità dei pezzi prodotti e tagliandone i costi allo stresso tempo.

Schema del progetto Gaia-X-crop

 

D: Lei è al vertice di Hpe Italia dal 2015. Che azienda ha trovato più di cinque anni fa? Come è cambiata?

R: Io la conoscevo bene, perché prima del 2015 ero ai vertici della filiale italiana di Hp: quella che ora è Hpe, al tempo era una divisione. Comunque sia, da allora Hpe è cambiata molto, perché proprio in quegli anni Hpe ha iniziato un percorso di open innovation molto rilevante: via-via, ha acquisito aziende anche piccole ma che disponevano di tecnologie con grandi proprietà intellettuali e capacità ingegneristiche che hanno integrato le nostre competenze e che ci hanno aiutato a fornire ai clienti soluzioni per valorizzare i dati. Due anni e mezzo fa, Hpe ha lanciato un programma di investimenti pari a 4 miliardi di dollari sull’Edge Computing, che è ora il core business di Hpe. L’Edge, che porta l’analisi del dato più vicina alla sua origine, è fondamentale: consente di ridurre la latenza, alleggerire la dipendenza dalla connettività, diminuire gli investimenti sulle infrastrutture di networking, spostare verso il Cloud solo le informazioni rilevanti per la storicizzazione. Tutte queste iniziative hanno inciso sull’attività della filiale italiana. Quanto al futuro, intendiamo continuare con forza su questa strada, perché il trend Edge-to-Cloud è appena iniziato, ma quando diventerà una “soluzione mainstream”, noi godremo del vantaggio di quelli che hanno iniziato per primi e che quindi sono molto più avanti rispetto agli altri fornitori.














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